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E’ arrivato il momento che le lesbiche, i gay, le persone transessuali e bisessuali, entrino nelle istituzioni in quanto omosessuali e non si impegnino solo attraverso la militanza nelle associazioni“: Luisa Bordiga (SEL) è stata una delle candidate dichiaratamente lesbiche che più ha premuto il tasto della necessità di “votare LGBTQ*” nelle appena concluse elezioni comunali, avanzando proposte esclusivamente per la popolazione omo e transessuale (leggi). Ma l’appello al “voto gay”, come ad ogni tornata elettorale, è stato rilanciato anche da altri candidati “visibili”.

Altri candidati, pur militando da anni nell’associazionismo LGBTQ*, hanno preferito incentrare la propria proposta programmatica su una rosa più ampia di ambiti e di problemi: volendo amministrare un’intera città, hanno fatto notare, occorre promuovere soluzioni a una grande pluralità di temi. Per loro il tema fondamentale è stato il rispetto dei diritti di tutti, e non esclusivamente delle persone LGBTQ*. Anche perché la capacità e la volontà (o la loro mancanza) di difendere i diritti non è sempre collegata all’orientamento sessuale della persona.

Il dibattito è aperto ed è sinceramente difficile capire quanto la retorica del “voto gay” venga riproposta da molti candidati LGBTQ* per reale convinzione o per convenienza elettorale. Cerchiamo comunque di valutare se e quanto le “schede arcobaleno” riescono a riempire le urne. Per farlo, nella tabella sintetizziamo quante preferenze ha raccolto ciascun candidato LGBTQ*, in termini assoluti e relativi (quante preferenze ogni 100mila voti, ricordando che non tutti i votanti esprimono anche una preferenza per il consiglio comunale).

candidature-lgbtqA Bologna i cinque candidati LGBTQ* hanno collezionato oltre 2mila preferenze: l’1% dei votanti bolognesi (non è poco) ha deciso di appoggiare un candidato dichiaramente omosessuale. La vendoliana Chaty La Torre (sito) è la più votata, ma anche i due PD Sergio Lo Giudice (ex presidente nazionale di Arcigay) (sito) e Benedetto Zacchiroli (sito) ottengono ottimi risultati, di fronte ai quali risulta poco entusiasmante la performance elettorale di Franco Grillini, il volto più noto del movimento gay italiano (sitoIl Grande Colibrì). Stefano Guida, il candidato omosessuale della Lega Nord, ha fatto parlare di sé per il suo passato da porno attore (leggi), ma raggranella solo 16 voti.

Nel resto d’Italia è tutta un’altra storia: nessuno dei candidati, a Milano, Ragusa, Rimini, Rovigo, Torino e Trieste, ha ottenuto risultati particolarmente rilevanti, con l’unica eccezione di Anita Sonego (sito), candidata comunista nel capoluogo lombardo, con le sue oltre 500 preferenze (comunque non paragonabili, in termini relativi, a quelle raccolte dai “colleghi” bolognesi). A Milano agli altri otto candidati dichiaratamente LGBTQ* sono andate poco più di mille preferenze, non molte per una metropoli di un milione e 300mila abitanti…

La tabella, inevitabilmente, risulta un po’ fredda e non fotografa molte cose, come il fatto che nella scelta di un candidato pesano davvero molti fattori e non solo – non tanto, si spera – il suo orientamento sessuale. Ad esempio, pesa molto la lista per la quale si concorre: il torinese Roberto Ceschina non ha raccolto molte preferenze, ma è stato l’unico candidato “visibile” a essere il più votato nella propria lista e forse, considerando che la sua candidata sindaco ha ottenuto solo lo 0,3% dei voti, non poteva proprio fare meglio.

Il valore politico di una candidatura, poi, non sta solo nei numeri e nei voti: le persone LGBTQ* milanesi hanno preferito altri nomi, ma forse dovrebbero ringraziare soprattutto Carlo Daniel Cargnel, il meno votato di tutti, ma anche l’unico candidato a partecipare al tavolo programmatico di Giuliano Pisapia sulle politiche per la popolazione LGBTQ*, ottenendo l’importante risultato di inserire l’anagrafe dei diritti nel programma del centrosinistra.

A proposito di quel tavolo programmatico, qualche riflessione va fatta. Ci siamo ritrovati in quattro (ben pochi rispetto non solo alle 200mila persone LGBTQ* che popolerebbero Milano, ma anche alle 9 candidature della “comunità”), tra l’altro tutti legati all’Associazione Radicale Certi Diritti (sito), con l’appoggio di Marilisa D’Amico (eletta con il PD), per discutere e approvare tre progetti (l’anagrafe dei diritti, l’istituzione di un’agenzia di parità e la promozione di un turismo LGBTQ* di qualità) (leggi) da proporre alla coalizione di centro-sinistra.

Il processo con cui Certi Diritti ha discusso, individuato e dettagliato le proprie proposte in tempo utile per l’inserimento nei programmi elettorali è stato un processo lungo e serio, attento sia alla realizzabilità legale, tecnica e finanziaria sia alla necessità di avanzare idee il più ambiziose possibile. In questo modo si è riusciti ad inserire nel programma ufficiale del candidato vincente l’anagrafe dei diritti, strumento rivoluzionario nella sua apertura a ogni forma di affettività, e ad aprire un vivace dibattito sugli altri punti (vedi gli attacchi di Libero – leggi).

Le proposte avanzate da altri attori, invece, non hanno avuto impatto nella campagna elettorale, forse perché spesso si sono sbagliati tempi e obiettivi. Le 10 ricette proposte dall’Arcigay meneghina (sito), ad esempio, non solo sono spuntate quando i programmi erano già stati fatti e confezionati, ma soprattutto richiedevano impegni spesso solo formali (adesione alla rete Re.A.D.Y.), piuttosto anacronistici (sportelli legali) o addirittura molto meno ambiziosi di quelli presenti nei programmi già pubblicati dalle coalizioni (registro delle unioni civili).

In definitiva sembra che il vero punto su cui urge una riflessione non sia tanto quello della scelta e della forza delle persone da candidare, quanto quello della scelta e della forza delle proposte politiche da avanzare. Proporre nuove politiche pubbliche per la popolazione omosessuale e transessuale, soprattutto a livello locale e regionale, che siano al tempo stesso tecnicamente realizzabili e concettualmente avanzate è un lavoro lungo e complesso, ma assolutamente necessario se vogliamo trasformare i nostri sogni in azioni.

Pier Cesare Notaro
©2011 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì

2 Comments

  • Il Grande Colibrì ha detto:

    @ Viviana: Condivido in larghissima parte quello che scrivi, tanto è vero che nelle proposte che abbiamo elaborato come Certi Diritti tutte queste riflessioni erano state avanzate ed elaborate.

    Sul fronte della necessità di offrire risposte globali (sia perché esiste il problema dell'intersezionalità, cioè delle discriminazioni che si intersecano, sia perché l'istituzione è al servizio dell'individuo-cittadino, non di gruppi identitari) avevamo proposto la creazione di una agenzia di parità che si occupasse non solo di combattere ogni tipo di discriminazione (azione "difensiva"), ma soprattutto di diffondere la cultura dei diritti (azione propositiva).

    Per quanto riguarda i modelli familiari, la proposta, accolta nel programma di Pisapia, di istituire una anagrafe dei diritti rappresenta un fortissimo passo avanti rispetto ai tradizionali registri delle unioni civili perché non si basa esclusivamente sul modello della coppia, ma si apre a tutte le diverse forme di convivenza e ai diversi stili di vita. In altre parole, non si riconosce solo la libertà di scegliere con chi sviluppare una relazione già codificata, ma si riconosce la libertà di determinare anche il tipo di relazione.

    Non concordo invece sul fatto che le proposte più stantie vengano da "vecchi militanti del movimento": ci sono militanti vecchi (in termini anagrafici e di esperienza) che hanno grande apertura mentale e idee innovative e militanti giovani che non sanno fare altro che ripetere a pappagallo le sacre regole dell'ortodossia gaia…

  • Anonimo ha detto:

    Complimenti per il post… è una riflessione interessantissima. Da femminista posso dirvi che come non amo le quote rosa non amo quelle lgbtiq, e non perché non ne capisca l’utilità ma bensì perché trovo che scegliere un candidato per il suo genere o orientamento sessuale, sperando che ciò coincida con leggi a favore delle donne o della comunità lgbtiq, sia davvero avvilente. Se mai dovessi ritornare a votare, cosa che per ora non farò, nello scegliere a chi dare il voto mi baserò esclusivamente sui programmi, sulle idee, sulla visione di insieme. Perché ciò che trovo interessante in questo post è la lucidità e chiarezza con cui si evidenzia come molte proposte in realtà siano stantie e miopi, perché estranee al resto delle esigenze dell’intera società, e come queste provengano da vecchi militanti del movimento. Un programma funziona solo se è innovativo e globale, ovvero se pretende di risolvere numerosi problemi della società, anche perché sono tra di loro collegati. Non posso non pensare che le unioni di fatto e l’acquisizione di certi diritti possano essere ben poca cosa se non si lavora sul problema delle discriminazioni, che è principalmente culturale. Vi faccio un esempio: Insegnare alla società che la definizione donna è qualcosa di arbitrario, che come diceva la Beauvoir “donne non si nasce ma si diventa” non aiuta sole le donne a spogliarsi dei ruoli impostegli dalla cultura ma aiuta anche le lesbiche e le trans perché a quel punto non sarebbero più le “diverse” ma solo donne, in quanto "donna" sarebbe una categoria aperta e quindi chiunque potrebbe rientrarci. E se ciò vale per l'una vale per l'altro e lo stesso discorso si potrebbe fare per gli uomini. Ma le lotte alle discriminazioni non posso viaggiare da sole, si devono legare o intersecare con altre lotte, come quella contro il razzismo e la precarietà, per esempio. Se io sono lesbica e afroamericana, e per giunta precaria, sarò discriminata come donna-lesbica-afroamericana-precaria… e nessuna di queste discriminazioni è più importante dell’altra. Sono tutte intersecate e in tal senso vanno risolte. Per questo urge un programma che colleghi le istanze, giustissime, della comunità lgbitq a quelle dell’intera società. Anche la questione delle famiglie arcobaleno non può essere risolta se non si affronta il problema che oggi impera la famiglia modello patriarcale, che miete vittime, donne e bambin*, ogni giorno. Se ancora non si accetta che le donne possano avere pari dignità all’interno della famiglia come si può pensare che queste famiglie "altre" siano riconosciute e rispettate? Bisogna lavorare assieme per decostruire i modelli che ci sono stati imposti e cercare di non imporne dei nuovi. Lasciare la libertà di scelta è una priorità che non voglio solo per le donne, l’autodeterminazione deve essere di tutt*. Quando troverò qualcun* che proporrà un programma globale, che affronta alla radice i problemi e allo stesso tempo cerca di rendere vivibile il presente, dato che so che il cambio culturale non avviene in pochi anni, allora non mi interesserà ne il suo genere ne il suo orientamento sessuale, saprò che è la persone giusta e lo approverò. Complimenti ancora per il post davvero interessante ^^

    Viviana

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