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Il mistero dei burqa omofobici: pro o contro Israele?
Gruppi LGBTQ* e leader religiosi contro i tagli di Cameron
ILGA-Europe, si è conclusa la conferenza di Torino
Incentivi alla rottamazione: i diritti civili secondo Renzi

CULTURA Si sa che la chiesa romana non vede di buon occhio i gay, per cui non stupirà più di tanto leggere che l’Università cristiana cittadina chieda ai propri dipendenti di firmare un documento dove si afferma di non essere omosessuale. Quello che può far sorridere è che questo succede a 8110 chilometri dalla capitale italiana, a Rome in Georgia; quello che mette tristezza è che quando c’è da essere gretti e intolleranti tutto il mondo è paese, e l’università in questione tenta decisamente di conquistare il primato dell’intolleranza: tutto ciò che non risponde a quanto prescritto dalla Bibbia sarà infatti proibito, i dipendenti omosessuali o adulteri saranno licenziati (Daily Mail). Il lato comico della faccenda è che si tratta evidentemente della prima università al mondo riservata ai santi: nessuna tolleranza per il peccato significa che tutti quelli che ci stanno dentro non hanno nulla da farsi rimproverare, rispetto ai dettami della Sacra scrittura (il che è naturalmente più facile se a giudicare sei tu stesso e non la tua divinità). Ma al di là delle battute, la preoccupazione cresce tra i dipendenti: chi sarà oggetto di invidia da parte di colleghi, potrà essere denunciato come omosessuale ed allontanato. Per il momento, comunque, almeno agli studenti non sarà richiesto di sottoscrivere il documento. Pagare la retta è senz’altro più importante, anche per i cristianissimi della Shorter University.

MOI Cosa sia successo di preciso nessuno lo sa: certo è che la (probabilmente) finta protesta di tre persone in burqa sulla St. Denis Street di Montreal (già teatro di varie proteste anti-israeliane) ha suscitato più di una perplessità, qualche ironia, ma rischia di inasprire rapporti già tesi tra le organizzazioni filo-palestinesi e quelle filo-israeliane che operano nella principale città francofona del Canada. L’episodio merita comunque di essere raccontato: qualche giorno fa, sulla nota strada di Montreal, compaiono tre persone in burqa (a detta dei presenti si trattava di tre uomini), ciascuna con un cartello: “Picchiare la moglie è un atto criminale in Israele“, “Israele non uccide i dissidenti politici come l’Iran” e “Israele è un rifugio per i gay arabi” e su ciascuno la medesima chiusa: “Morte a Israele” (The Canadian Jewish news). Con ogni evidenza rimostranze come queste sono troppo estreme per non portare acqua al mulino di chi si finge di contestare: quindi l’azione è stata certamente ideata da qualcuno filo-israeliano, anche se nessuno si è fatto avanti per rivendicare l’azione, ripresa anche da un videomaker del gruppo Paju (Palestinian and Jewish Unity), che da settimane occupa uno spazio sui marciapiedi della via rivendicando i diritti palestinesi (YouTube). Bisogna infine ricordare che accostamenti troppo facili tra Islam e omofobia non sono granché graditi anche dagli attivisti LGBTQ* dei paesi islamici, che certamente da queste campagne non traggono alcun vantaggio (Il grande colibrì).

MONDO Se comunque è vero che molti sono i paesi omofobi (non solo islamici e dove certo non solo gli islamici contribuiscono all’odio di genere), è meno facile di quanto sembri trovare la risposta per spingere tutti sulla via del riconoscimento dei diritti LGBTQ*. Nelle scorse settimane ha fatto parecchio rumore l’iniziativa britannica di ridurre gli aiuti ai paesi omofobi (Il grande colibrì): certamente apprezzabile lo scopo di promuovere diritti, forte il sistema (i soldi sono spesso l’unica leva compresa non solo dai governi ma anche dai singoli cittadini), apparentemente privo di controindicazioni e di opposizioni. La misura è stata rilanciata nei giorni scorsi da un’intervista del Premier Cameron alla BBC. Intanto, dopo le prime proteste (Il grande colibrì), le controindicazioni sono state evidenziate da un massiccio schieramento di oltre cinquanta gruppi che agiscono per i diritti LGBTQ* in molti dei paesi che potrebbero essere coinvolti dalle sanzioni inglesi (AWID). In particolare viene evidenziato come questa politica di fatto peggiori ulteriormente le condizioni delle popolazioni, mentre per i militanti (o sospettati tali) di organizzazioni LGBTQ* il rischio è che le persecuzioni e i rischi aumentino in misura esponenziale. Tra le altre osservazioni fatte dagli estensori del documento c’è un interessante cenno al fatto che per i diritti delle donne nulla di simile è stato fatto dal Regno Unito e che comunque i diritti non si difendono un po’ alla volta ma tutti insieme (cfr. anche l’articolo su Il grande colibrì). L’appello è inoltre, anziché a tagliare, ad incrementare i fondi per i paesi terzi, destinandone una parte alle organizzazioni che operano per i diritti civili nel territorio, finanziando progetti concreti. Di ben altro tenore è invece un’altra opposizione alle sanzioni inglesi, quella dei leader cristiani (cattolici e presbiteriani) e musulmani ghanesi che hanno condannato il comportamento del governo Cameron perché favorirebbe in questo modo comportamenti immorali (Ghana Broadcasting Corporation). Ancora una volta, nell’intolleranza, i leader religiosi vanno a braccetto amorevolmente: un bel quadretto che vorremmo veder scomparire dalle immagini della nostra quotidianità.

MOVIMENTO Si è conclusa a Torino, per la verità senza sorprese, la quindicesima conferenza annuale dell’ILGA-Europe, l’organizzazione che raccoglie le associazioni LGBTQ* europee. Prima di dare l’appuntamento a Dublino per l’anno prossimo, sono state approvate le nomine del consiglio direttivo ed è stata ratificata una mozione (ILGA-Europe) relativa alla situazione di Cipro del nord, dove negli ultimi mesi si sono succeduti arresti ingiustificati di persone omosessuali (Il grande colibrì). I partecipanti hanno manifestato inoltre apprezzamento per l’attenzione delle autorità italiane (Torino, in effetti, in quanto ad attenzione alle tematiche LGBTQ* è certamente all’avanguardia) e in particolare per il messaggio del Presidente Napolitano, che ha ricordato che “la piena libertà e il rispetto delle scelte di ciascuno in ambito sessuale sono infatti certamente tra gli aspetti più delicati e cruciali per una più compiuta affermazione dei diritti delle persona umana nel mondo contemporaneo“.

POLITICA Tre righe scarne, un testo apparentemente inclusivo e quindi apprezzabile. Il punto 89 delle 100 proposte di Matteo Renzi, l’astro nascente del centrosinistra italiano, rottamatore forse, sicuramente sparigliatore (piace a destra e al centro, molto meno a sinistra), propone una regolamentazione delle unioni civili: “La legge deve assicurare pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo e assistenziale. Ciascun convivente può beneficiare dell’assicurazione sulla malattia del compagno e l’unione conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza” (Big Bang). Con questa formuletta Renzi pensa di aver risolto la questione dei diritti civili, delle unioni LGBTQ* e probabilmente anche dell’omo e della transfobia. Tuttavia il sottacere, tipicamente democristiano, non è mai un buon sistema per definire le cose: certo Renzi è un uomo pratico che bada alla sostanza, ma forse una riga in più, per definire che i beneficiari della norma non siano solo gli elettori eterosessuali, magari poteva aiutare. Altrimenti non siamo lontani dalla proposta contenuta nel programma del centrosinistra alle elezioni del 2006 che ciascuno interpretò a suo modo e che aiutò non poco l’infido Mastella a trovare una scusa per far cadere il governo.

 

Michele
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