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Se l’Islam è un modo di vivere, come possiamo dire che chi vuole vivere i suoi principi nella sfera legale, sociale, politica, economica e politica non sia un musulmano, ma un islamista, e che creda nell’islamismo e non nell’Islam?“. La domanda posta da Abid Uallah Jan (leggi) è furba, perché evita abilmente di fare distinzioni tra il vivere personalmente o comunitariamente la propria fede e l’imporre ad altri principi religiosi che magari non condividono. Eppure, in questa contemporaneità caratterizzata da una radicalizzazione conservatrice delle principali religioni, sarà apparsa coerente alla maggior parte dei lettori. Come appare coerente (magari barbaro, ma coerente) il musulmano che si professi contrario ai diritti delle donne e degli omosessuali, alla libertà di culto e di espressione, alla separazione tra Stato ed Islam, ecc…

Il linguaggio che adottiamo tutti i giorni è rivelatore: il musulmano appena descritto lo chiamiamo “fondamentalista” e con questa parola diciamo che è un credente che vive la propria fede sin dalle sue fondamenta, in tutta la sua interezza. In altre parole, identifichiamo il musulmano “fondamentalista” (che sarebbe da definire invece “dogmatico” o “integralista”) come un credente al 100% e, di conseguenza, sosteniamo che il fedele che non condivida e che non voglia imporre le posizioni “fondamentaliste” non sia un “vero musulmano”, almeno non in senso pieno. Insomma, stiamo adottando, magari involontariamente, la stessa visione retorica del dogmatismo religioso! Promuoviamo il dogmatismo a interpretazione autentica del Corano e additiamo i liberali come infedeli. Diventiamo noi stessi promotori attivi del dogmatismo.

Come siamo arrivati a questo punto senza rendercene neppure conto? Semplice: l’equazione “Islam = fanatismo antidemocratico e violento” ha due eccezionali sponsor. Da una parte, l’Arabia Saudita trasforma i fiumi di dollari che incassa dalla vendita di petrolio in moschee che costruisce e gestisce in mezzo mondo e che riempie di predicatori che, a suon di parole e di opere caritatevoli, cercano di screditare l’Islam liberale e di diffondere il wahhabismo e il salafitismo, due delle ideologie più dogmatiche dell’Islam. Dall’altra, l’immagine del pericolo rappresentato dal musulmano fanatico e barbuto suscita reazioni di difesa identitaria in Occidente e, quindi, risponde agli interessi di molti in Europa e in America: le tv aumentano lo share, i partiti di destra aumentano i voti, i conservatori cristiani aumentano i fedeli…

Partendo dall’analisi di chi si avvantaggia dalla diffusione di un’idea dogmatica dell’Islam, possiamo facilmente svelare il gioco: quello a cui assistiamo è un meccanismo perverso e crudele di scontro e alleanza tra forze conservatrici. Non c’è bisogno di immaginare piani segreti e superiori che gestiscono il mondo: lasciando perdere ogni fantasiosa ricostruzione cospirazionista, è evidente che ogni mossa del fanatismo islamista viene enfatizzata dal fanatismo islamofobo e che, specularmente, ogni mossa del fanatismo islamofobo viene enfatizzata dal fanatismo islamista, alimentando, ad ogni passaggio, risposte sempre più fanatiche. E’ una ruota che gira da sola, facendo la fortuna delle destre d’Oriente e d’Occidente e schiacciando senza pietà le vittime dei fanatici islamisti e islamofobi, ed in particolare i musulmani liberali.

Non sorprendono, allora, gli ottimi rapporti che intercorrono spesso tra i promotori politici del dogmatismo islamico e dell’islamofobia. Ricordate gli abbracci e gli affari tra George W. Bush e re Abdullah d’Arabia, tra il commander-in-chief della guerra per sradicare la barbarie fanatica e uno dei maggiori finanziatori della propaganda integralista? Complotto? No, semplice comunanza di interessi. D’altra parte le destre condividono anche altri aspetti, come il tradizionalismo, che è invenzione di una tradizione: ecco i taliban afgani che sognano una tradizione priva di musica e poesia o gli islamisti indonesiani che negano millenni di storia transgender (per approfondire: Il grande colibrì) e, per esempio, le radici celtiche abbozzate, con scarsa fantasia, dalla Lega o la famiglia “tradizionale” immaginata dalla Chiesa cattolica…

Il dogmatismo, insomma, è solo uno strumento per raggiungere l’obiettivo politico di ottenere potere, controllando le vite altrui attraverso la manipolazione di credenze e identità religiose. E’ uno strumento potente e totalitario perché penetra in ogni anfratto della vita umana e perché modifica la percezione stessa della realtà nelle persone che soggioga, ma è anche uno strumento che diventa fragilissimo di fronte allo sguardo dell’amore e della razionalità. E in questo il tema dell’omosessualità è particolarmente rivelatore.

Gli islamisti dogmatici affermano, rifacendosi soprattutto agli ahadith e, ancor di più, alla giurisprudenza successiva (quale arroganza nel mettere in bocca al Dio parole pronunciate dagli uomini pur di giustificare la violenza e l’ignoranza umana!), che l’Islam condannerebbe esplicitamente e chiaramente l’omosessualità, ma è significativo che essi stessi siano in disaccordo: se la condanna è davvero così esplicita e chiara, perché non si capisce ancora se l’omosessuale debba essere condannato a morte, all’ergastolo, alla fustigazione o ad altra pena? Perché qualcuno ritiene colpevole solo chi, in un rapporto anale omosessuale tra uomini, si fa penetrare e qualcun altro, al contrario, biasima entrambi i partner allo stesso modo? Perché qualcuno distingue tra gli uomini sposati e quelli celibi e altri, invece, non fanno differenze?

E perché non è chiara, neppure dal loro punto di vista distorto, l’essenza dell’omosessualità? Perché alcuni di loro parlano di peccato assolutamente contro natura, altri riconoscono una predisposizione genetica comunque da non assecondare, altri ancora, rifacendosi agli studi pseudo-scientifici di pseudo-psicologi cristiani alla Joseph Nicolosi, iniziano a parlare di una malattia psichica più da curare che da punire? E perché fanno ancora più confusione quando devono affrontare l’omosessualità femminile? E perché quello che fino a qualche tempo fa era definito da molti un “vizio persiano” oggi è chiamato “malattia occidentale“?

Quest’ultimo “perché?” non solo svela, come i precedenti, la fragilità del dogmatismo, ma dimostra un bisogno proprio di tutti i fanatismi: per esistere, hanno bisogno di un nemico, che può variare nel tempo senza troppi problemi di coerenza. I due aspetti (fragilità interna e nemico esterno) sono fortemente correlati: per preservare un’identità personale o comunitaria troppo fragile, si cerca di difenderla con una gabbia rigida e si cerca di rafforzarla enfatizzando – o anche inventando – quegli elementi che distinguono se stessi dagli altri. E allora il dubbio si fa forte: non è che i musulmani “fondamentalisti”, che appaiono così forti e sicuri, in realtà hanno una fede molto più fragile dei musulmani “moderati” (moderati in che senso, poi?), i quali non hanno bisogno di corazze politiche per vivere il proprio rapporto con il Dio?

D’altra parte il dogmatismo si concilia male soprattutto con una religione come l’Islam. Basta leggere la Sura V, La tavola, 48: “Per ognuno di voi abbiamo fatto una legge e un modo di vivere. Se avesse voluto, il Dio avrebbe fatto di voi una nazione unica, ma invece ha voluto mettervi alla prova in quello che vi ha dato, dunque fate a gara nel bene. Verso il Dio tornerete tutti insieme, allora vi mostrerà la verità su quello su cui siete soliti discordare“. Il Dio offre “shir’atan wa minhajaan” ( ًشِرْعَة ً وَمِنْهَاجا), una legge e una strada. Fatte, però, per ciascuno di noi (likullin ja’alna minkum, لِكُلّ ٍ جَعَلْنَا مِنْكُمْ).

Il Corano, in altre parole, non solo ricorda a tutti gli esseri umani quanto la verità sfugga come acqua tra le loro dita, dal momento che può stare saldamente solo nelle mani del Dio, ma addirittura afferma che la diversità dei modi di vivere viene dal Dio e che l’uniformità – e dunque a maggior ragione anche il dogmatismo – è stata scartata dal Dio stesso. Non c’è anarchia o caos in tutto questo, perché ogni legge deve tendere al bene, perché ogni strada deve avvicinarsi al bene. Perché, in definitiva, “verso il Dio è il vostro ritorno tutti insieme“. E’ un universo ordinato quello descritto nella Sura, ma nient’affatto statico, monolitico, incolore come quello che vorrebbero imporre i conservatori: è un ordine pulsante, vitale, costituito dall’intrecciarsi, come trama e ordito, di miriadi di scintille variopinte.

E allora sì, in questo universo non è la stessa cosa essere musulmani o islamisti: da una parte c’è la luce, l’amore, la giustizia, la pace e la compassione, dall’altra un buio muto d’angoscia.

 

Pier
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