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In Malesia, la situazione per la comunità LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) non sembra migliorare e, anzi, nell’arco di tutto il 2016 è peggiorata ancora di più [Human Rights Watch]. Purtroppo le leggi contro l’omosessualità e i rapporti omosessuali sono molto dure: le sezione 377A e 377B del codice penale criminalizzano i “rapporti carnali contro l’ordine della natura” con la carcerazione fino a 20 anni e la possibilità di essere fustigati. Si tratta di una norma di epoca coloniale, come quelle presenti in tanti altri paesi africani e asiatici [Il Grande Colibrì].

In alcune aree, invece, vige un’interpretazione della sharia secondo cui avere una relazione con una persona dello stesso sesso, sia per gli uomini che per le donne, è un reato punibile con la reclusione fino a 3 anni, una multa in denaro e fino a 6 frustate, ed è assolutamente proibito il travestitismo [76 Crimes].

Un altro problema che affligge la Malesia sono le violenze perpetrate senza possibilità di sottrarsi quando un individuo viene arrestato: questi abusi, come si può immaginare, si moltiplicano e si trasferiscono sul piano sessuale quando le vittime sono omosessuali o, peggio ancora, transgender.

In questi giorni si sta facendo sentire soprattutto l’appello del Jabatan Agama Islam Selangor (Dipartimento religioso islamico del Selangor; JAIS) che esorta tutti, dalla comunità intera alle famiglie, a far ritornare sulla retta via le persone transgender e chiede la cooperazione delle famiglie, della comunità e di varie organizzazioni non governative (ONG) per fornire supporto e creare programmi di recupero.

Il JAIS lancia l’allarme per la diffusione di questi “gruppi di persone” che pretendono di formare associazioni, si mobilitano per giustificare tramite la legge le loro azioni e, come le “persone normali”, combattono per avere diritti come il matrimonio. Il Dipartimento è molto preoccupato perché nessuno li ferma. D’altra parte, la maggioranza musulmana in Malesia è fortemente contraria a questo aumento delle attività della comunità LGBTQI, ritenendolo un attacco all’Islam [Malay Mail Online].

Ma il paese, fortunatamente, vanta una personalità molto importante che lotta per i diritti LGBTQI. Qualcuno di voi conoscerà sicuramente l’International Women of Courage Award (Premio internazionale per le donne di coraggio), il premio che dal 2007 viene consegnato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti alle donne che con coraggio e determinazione hanno lottato e lottano per i diritti. Tra le 14 donne premiate a marzo del 2016 c’era l’attivista malese per i diritti delle persone transgender Nisha Ayub [Il Grande Colibrì].

Nisha è senz’altro una donna molto forte e coraggiosa. Fu arrestata all’età di 21 anni in base alla legge della sharia che prevede l’arresto per chi si traveste, e fu imprigionata nel carcere maschile di Kajang. Per tre mesi fu picchiata e abusata verbalmente e sessualmente, ed è proprio per queste violenze che, una volta uscita, ha deciso che avrebbe dedicato la sua vita a far sì che nessun’altra donna transgender potesse subire ciò che ha dovuto sopportare lei. Ma ancora continua a essere vittima di violenza: nel settembre del 2015 è stata attaccata con una spranga di ferro.

Le battaglie per la comunità LGBTQI in Malesia sono molto faticose da portare avanti. Nisha, grazie alla sua associazione non profit Justice for Sisters (Giustizia per le sorelle) che offre assistenza legale alle persone transgender, ha assistito tre donne trans musulmane che erano state condannate con l’accusa di essersi travestite. Nel 2014 presso la Corte d’appello sono riuscite a vincere una sentenza storica in cui la legge contro il travestitismo è stata dichiarata incostituzionale, anche se solo un anno dopo la Corte federale ha ribaltato la sentenza per motivi procedurali.

Un caso simile è successo purtroppo anche poco tempo fa: nel luglio del 2016 la Corte suprema si è espressa a favore di un uomo transgender, accettando dopo la sua recente operazione il cambio di nome e di sesso sulla carta d’identità, ma all’inizio di quest’anno, a causa di un ricorso presentato dal Dipartimento di registrazione nazionale, l’uomo ha perso la causa [Malay Mail Online].

Nisha racchiude in queste parole tutte le sue speranze per il proprio paese: “I miei auspici per la comunità LGBT in Malesia sono fondamentalmente che il governo la riconosca e la accetti e ammetta che siamo parte della società. Allo stesso tempo, spero che avremo protezione, proprio come tutti gli altri cittadini. Come donne transgender, l’unica cosa che chiediamo è il nostro diritto all’istruzione, il nostro diritto al lavoro, il nostro diritto a ogni singola cosa che è riconosciuta a tutti i cittadini” [Malay Mail Online].

Ginevra Campaini
©2017 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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