Skip to main content

Quando “Arus Amman” (La sposa di Amman; Jamal Amman 2012), romanzo d’esordio del blogger Fadi Zaghmout, uscì in arabo fu una boccata d’ossigeno. Non lo dico solo per il romanzo in sé, ma anche per la saggezza che Zaghmout ha dimostrato nel presentarlo. Nadia Muhanna racconta un’intervista di Zaghmout alla TV giordana molti mesi dopo l’uscita del libro: quando l’intervistatore ha parlato di un personaggio gay del romanzo usando il termine offensivo شاذ (shadh; finocchio), Zaghmout lo ha corretto, usando la parola مثلي (mithli; omosessuale). “Alla fine dell’intervista – scrive Muhanna – il presentatore usava un linguaggio LGBT-friendly”.

Con il suo ritmo frenetico, il romanzo di Zaghmout, è un progetto sociale tanto quanto letterario, una spinta moderata verso la liberazione sessuale e dei generi. Mentre si legge “Arus Amman” viene da pensare che per Zaghmout non era tanto importante partorire un romanzo che facesse la storia della letteratura giordana, quanto mostrare l’importanza della vita delle donne e delle persone queer. Nulla da eccepire.

A volte si dice, come ho scritto su ArabLit, che ci sono tre tabù assoluti nella letteratura araba: il sesso, la politica e la religione – e allora ci si potrebbe chiedere di cosa mai potrebbero occuparsi questi poveri romanzieri. Ovviamente, i romanzi arabi dipingono in modo vivace e critico tutti e tre questi temi e, anche se raramente c’è del sesso così osceno come in Ibn al-Hajjaj, c’è abbastanza da scandalizzare gran parte dei lettori anglofoni. E poi, dopo quanti romanzi “che rompono il tabù” dovremmo iniziare a farci delle domande sulla forza di questo tabù?

Poi, se parliamo di descrizioni in cui le relazioni omosessuali maschili sia presentate come positive e normali, beh, è tutta un’altra storia: non c’è bisogno di gridare al tabù per riconoscere che non sono molte.

La sessualità lesbica è stata esplorata in modo relativamente non moralistico in certa narrativa siriana, come il racconto “Halat shaghaf” (Un caso di passione) di Nihad Sirees (Dar Atiyya lil-Nashr 1998) o il romanzo “Salsal” (Argilla) di Samar Yazbek (tradotto in italiano come “Il profumo della cannella”, Castelvecchi 2010, 15€, 224 pp.); o ancora in alcune opere saudite, come “The others” (Gli altri) di Siba Al-Herz (Seven Stories Press 2009) o “Alhamam la yatiru fi Buraydah” (I piccioni non volano a Buraydah) di Yousef Al-Mohaimeed (Dar Al-Baida 2009), anche se, in quest’ultimo caso, il riferimento al sesso lesbico è stato “ripulito” nella traduzione inglese (“Where pigeons don’t fly”, Bloomsbury Qatar 2014).

Ma la sessualità lesbica non sfida le convenzioni sociali quanto gli uomini omosessuali, e infatti Sirees ha detto di aver scritto di una pratica ampiamente accettata. Ha affermato, in un discorso pubblico, che “Halat shaghaf” non ha avuto ripercussioni negative, al contrario dei suoi scritti contro il regime.

Gli uomini gay che scrivono a partire dalla propria esperienza, compreso lo scrittore marocchino Abdellah Taïa, che scrive in francese, sono stati lasciati largamente ai margini dai lettori arabi. I romanzi “gay-friendly”, invece, sono stati accolti in modo leggermente diverso: è difficile capire dove collocare Tawfiq Al-Hakim e il riferimento positivo all’omosessualità come una delle cose che “fanno i giovani” che fece nel 1986 (v. raccolta di saggi-racconti “The revolt of the young”, Syracuse University Press 2015).

Poi è stato il turno di “Hajar al-dahk” (La pietra della risata) di Hoda Barakat (Riad El-Rayyes 1990). L’autrice, tra i finalisti del premio Man Booker International nel 2015, in un’intervista rilasciata a Brian Whitaker nel 2004 ha detto: “C’è un omosessuale nel mio primo libro, ma non è scioccante perché racconta un sentimento d’amore reale. Non è lì per fare da sfondo: è una presenza che non puoi rifiutare, che puoi solo riconoscere, perché soffre ed è davvero innamorato. Quando descrivo quanto prova amore e quanto soffre e quanto è bello l’altro uomo, riprendo un brano del Corano”.

Poi aggiunge: “Non si è scioccato nessuno perché è proprio… non so perché… Ho affrontato il tema con pazienza, partendo dai sentimenti, non in modo sexy o scioccante. Le persone lo accettano e provano quello che provo io, davvero. Il rispetto per gli omosessuali è profondamente ancorato nel mio cuore, non lo dico per mettermi in mostra”. E ancora: “Nessuno mi ha attaccata perché sono una scrittrice cristiana che scrive storie gay e usa immagini tratte dal Corano” [Al-Bab].

Ovviamente il mondo della letteratura subisce un controllo molto meno rigido rispetto al cinema, per esempio.

Gli uomini omosessuali hanno subito una persecuzione costante in Egitto e probabilmente il primo film egiziano con un protagonista gay maschile è stato “Asrar ailia” (Segreti di famiglia) di Hani Fawzy, nel 2013. Una recensione su MadaMasr dice che il film si concentra più sulla condanna che sulla descrizione dell’omosessualità del personaggio. Il messaggio finale del film è che l’omosessualità è una malattia e che il protagonista deve combattere per superarla. La recensione di Mada Masr non usa mezzi termini nelle sue conclusioni: “Essere gay in Egitto è già una lotta anche senza dover affrontare questo film di merda e i suoi luoghi comuni triti e ritriti, la sua lurida disinformazione, il suo melodramma recitato male”.

Insomma: alhamdulillah e ringraziamo Dio per la letteratura.

“La sakakin fi matabikh hadhihi al-madina” (Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città) di Khaled Khalifa (Dar Al-Ayn 2013), selezionato per il Premio internazionale per la narrativa araba [ArabLit], presenta un personaggio gay, Nezar. Khalifa non si è lasciato turbare da nessuna critica: “Una lettura morale del romanzo è la peggiore lettura possibile – ha detto in un’intervista con gli organizzatori del premio – E scrivere per predicare la moralità è il peggior modo di scrivere. La moralità è roba da religiosi e predicatori”. E ha aggiunto: “Per quanto riguarda Nezar, è l’unico personaggio in pace con se stesso. E poi bisogna riconoscere che gli omosessuali sono sempre esistiti: è una cosa che le società arabe iniziano ad accettare sempre di più” [Arabic Fiction].

Ma forse il ritratto più straordinario di un personaggio gay realizzato in tempi recenti da un autore che non sia un uomo omosessuale, è “Ali wa-ummuhu al-rusiya” (Ali e la sua madre russa) di Alexandra Chreiteh (Arab Scientific 2009), romanziera libanese ultra-contemporanea e dalla vista acuta.

“Ali wa-ummuhu al-rusiya” è un romanzo incentrato su due personaggi: Ali, l’uomo gay che dà il titolo al libro, e la narratrice, una donna eterosessuale che non si considera omofoba perché – sapete – lei ha un sacco di amici gay. Il libro è pieno dell’umorismo e dell’introspezione psicologica caratteristici di Chreiteh, con un’attenzione particolare ai giovani di Beirut. Il ritratto dell’omosessuale ucraino-libanese, che dà anche di matto quando scopre di avere un antenato ebreo, è meraviglioso, pieno di odio verso se stesso, gloriosamente eccessivo. Chreiteh si prende la licenza non solo di ritrarre il suo personaggio maschile gay a tutto tondo, ma anche di prendere in giro il suo personaggio femminile come si prenderebbe in giro se stessi. Se vi perderete questo piccolo gioiello, ve ne pentirete.

Per approfondimenti: Frédéric Lagrange, “Male homosexuality in Arabic literature”, in “Imagined masculinities” (Mai Ghoussoub and Emma Sinclair-Webb 2000), pubblicato online su Noos.

Marcia Lynx Qualey per ArabLit
blogger esperta di letteratura araba
traduzione di Pier Cesare Notaro
©2015 ArabLit – Il Grande Colibrì
foto: composizione di immagini CCo

2 Comments

Leave a Reply