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Venerdì 3 dicembre Noluvo Swelindawo, una ragazza di 22 anni sudafricana attivista per i diritti delle persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali), è stata uccisa perché lesbica. Il suo corpo è stato trovato la mattina seguente, nei pressi dell’autostrada N2 a Driftands, vicino Khayelitsha, a 200 metri dalla sua casa e con una ferita da arma da fuoco. È stata aggredita da degli uomini tra le mura di casa, ma la sera prima dell’omicidio Noluvo aveva già subito un atto di violenza, che le aveva lasciato un occhio gonfio di cui lei non aveva voluto parlare con nessuno.

Quella maledetta sera Noluvo era a casa con Nqasiba mentre le bussarono alla porta. Le gridarono di aprire perché dovevano fargli capire cosa aveva fatto di male quel giorno. Ma lei era sicura di non aver fatto niente, perché avevano passato tutta la giornata in casa. Alla fine gli uomini aprirono la porta a forza di calci e la portarono fuori tirandola per i capelli, mentre la sua ragazza era nascosta sotto il letto e non ha potuto riconoscere i suoi assassini.

La famiglia sostiene che sia l’ennesimo crimine di odio verso il suo orientamento sessuale. Per ora è indagato un ragazzo di 24 anni, Sigcine Mdani, il cui processo è stato rinviato al 21 dicembre, anche se la polizia sta seguendo altri uomini che potrebbero essere anch’essi colpevoli [Mail & Guardian].

Come se non bastasse, in questo periodo altre notizie pesano sulla situazione critica che attraversa il Sudafrica: una coppia lesbica, Nokuthula e Nonkululeko Mbatha sono dovute scappare dalla loro città a ovest di Durban, cacciate dai membri della loro comunità contrari al loro amore [IOL]. E c’è anche la notizia di un uomo accusato dell’omicidio di un’impiegata della polizia lesbica, Nosisa Sonjani, il cui caso è stato rinviato al prossimo anno. Il corpo della donna 47enne è stato trovato in stato di decomposizione nella sua casa, accoltellata e strangolata con il cavo elettrico di un tostapane.

A tal proposito, Dean Peacock, direttore esecutivo del Sonke Gender Justice Network (Rete per la giustizia di genere Insieme), un’organizzazione non governativa (ONG) sudafricana contro la violenza di genere, afferma che i crimini di odio stanno diventando troppo comuni in Sudafrica. Soprattutto un’indignazione invisibile da parte della popolazione regna sovrana e lascia senza parole: se tutte le donne uccise fossero state etero, la reazione sarebbe stata diversa [IOL].

In Sudafrica, nonostante il paese sembri uno dei migliori in Africa, la situazione è terribile, come dimostrano anche gli “stupri correttivi”, una pratica molto comune, di cui Il Grande Colibrì ha parlato poco tempo fa, che ha il ributtante scopo di “far capire alle lesbiche cosa vuol dire essere donne”.

Una campagna di Love Not Hate Campaign stima che il 55% delle persone LGBTQI in Sudafrica ha paura di essere oggetto di discriminazioni e il 44% degli intervistati riferisce di aver subito discriminazioni o violenza negli ultimi 2 anni. Ma ciò che preoccupa ancora di più è che l’88% di coloro che subiscono violenze non denunciano alla polizia.

La legge è carente e bisogna fare di più, nonostante nel 2011 sia stato realizzato un corpo speciale per i diritti della comunità LGBTQI. La paura delle vittime, di una seconda umiliazione o persino violenza da parte della polizia al momento della denuncia, ha spinto lo stato a creare una guida per sensibilizzare i poliziotti sulla causa LGBTQI. Gli hate crimes (crimini di odio) non sono ancora ben regolati in questo paese, ma sentiamo sempre le stesse parole dopo l’ennesimo omicidio, senza che venga proposto un vero e proprio cambiamento.

 

Ginevra
©2016 Il Grande Colibrì

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