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Un uomo è stato ucciso e la polizia di Sousse, in Tunisia, ha aperto un’indagine. Gli agenti hanno scoperto che un ragazzo di 22 anni scambiava messaggi “particolari” su Facebook con la vittima e hanno deciso quindi di interrogarlo per fare luce sull’omicidio. Il ragazzo, però, è risultato subito estraneo all’assassinio, ma la polizia lo ha tenuto in prigione per sei giorni senza permettergli di vedere un avvocato e, secondo alcuni testimoni [A Paper Bird], picchiandolo. Gli è stata rivolta l’accusa di “sodomia”, considerata reato dall’articolo 230 del codice penale tunisino ereditato dalla colonizzazione francese, e un medico legale ha confermato l’omosessualità del ragazzo attraverso un “test anale”, cioè un esame dell’ano che non ha alcuna validità scientifica e che, essendo utile solo a procurare dolore e umiliazione a chi lo subisce, è da considerare come una forma di tortura.

L’idea del “test anale” è stata sviluppata dagli studi di Auguste Ambroise Tardieu, un medico francese dell’Ottocento, ma è stata smentita rapidamente dagli altri scienziati. Abbandonato in Europa perché scientificamente assurdo e perché irrispettoso della dignità umana, questo tipo di studio dell’ano ha continuato a proliferare nelle colonie, perché la misurazione e classificazione dei popoli “inferiori” serviva a “separare gli elementi immorali della popolazione al fine di purificarla e controllarla”, come scrive Scott Long su paper-bird.net. E perché serviva a dare una parvenza di scientificità all’idea inconsistente della superiorità dell’uomo bianco, come mostrano gli studi di Jean-Raphaël Bourge [Il Grande Colibrì]. I governi autoritari hanno mantenuto questa pratica di assoggettamento della popolazione.

Il ragazzo di Sousse, comunque, è stato condannato da una giudice a un anno di carcere [France 24], sollevando il putiferio. Le prime a gridare allo scandalo sono state ovviamente le associazioni per i diritti umani più attente alle persone omosessuali: Shams, la prima associazione LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) del paese a ottenere un’autorizzazione ufficiale [Il Grande Colibrì], si è mobilitata online, l’Associazione tunisina di sostegno alle minoranze (ATSM) ha lanciato un appello per la depenalizzazione dei rapporti omosessuali e Badr Baabou, presidente dell’Associazione per la giustizia e l’equità (DAMJ), sentito anche da Il grande colibrì, ha subito cercato di sollecitare una risposta sociale più ampia. Con alcuni risultati molto significativi.

Se il mondo della politica tace (quasi solo i giovani del partito social-democratico Al-Massar hanno protestato contro l’episodio “inumano ed inaccettabile”, additando l’articolo 230 del codice penale come incostituzionale), il Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici di Tunisia ha aperto un’inchiesta per violazione del codice deontologico contro il medico che effettuato il test anale, “un esame medico-legale non consentito e non giustificato, che colpisce la dignità e l’integrità fisica e mentale della persona esaminata”, come lo definisce l’Ordine stesso. L’associazione Medici contro la dittatura ha usato parole anche più pesanti: “E’ un attacco palese all’integrità fisica che rientra nel quadro della tortura fisica”.

Gridano alla vergogna anche molti media. “Se la notizia venisse da un paese come l’Arabia Saudita, sarebbe considerata quasi ‘normale’. Il problema è che viene dalla Tunisia, un paese che dovrebbe aver fatto una rivoluzione detta ‘della dignità’, che dovrebbe essere democratico, che dovrebbe avere ‘la migliore costituzione del mondo'” scrive Kapitalis. E Business News rincara la dose: “Questo fatto pone con crudezza il problema della tolleranza, del diritto alla differenza e del rispetto delle libertà individuali nel nostro paese conformemente alla nostra nuova costituzione e ai nostri impegni internazionali. Nascondere questi problemi essenziali, significa fare il gioco dell’integralismo e di una società falsamente puritana che gli estremisti interni ed esterni al nostro paese vorrebbero imporci”.

test anale-1Il disegnatore satirico Z, invece, punta direttamente il dito sulle ingerenze religiose nella vita politica in un post dal titolo “Il buco del culo” [DebaTunisie]: “Quanto ancora dovremo aspettare perché i nostri intellettualoidi affrontino una volta per tutte la questione religiosa e muovano il culo perché il testo sacro se ne vada via dallo spazio pubblico? Aspettano che uno sbirro venga un giorno a ficcargli un dito nel culo?”. Z rappresenta il test anale anche nella vignetta qui accanto: “Corruzione, contrabbando, disoccupazione, povertà, terrorismo, sottosviluppo, miseria, ingiustizia… Finalmente lo stato tunisino localizza l’origine del male!”.

Intanto anche sul web il dibattito è accesso, ma la solidarietà nei confronti del giovane di Sousse sembra prevalere: Naulan, ad esempio, scrive: “Caro governo, occupati dei terroristi e lascia che la gente viva come Dio l’ha creata!”. Molti tirano in ballo la rivoluzione: “Si fa una rivoluzione per i diritti umani: che gli adulti siano omosessuali o eterosessuali non importa, conta solo che sono esseri umani” dice Monica, e Hachemi le fa eco: “E’ scandaloso: abbiamo fatto una rivoluzione per condannare un innocente?”. Un anonimo replica: “Non abbiamo fatto la rivoluzione per difendere gli omosessuali e dubito che questa sarà mai una priorità”, ma qualcun altro gli risponde: “Se i gay trovano piacere là dove altri cagano, affari loro: in democrazia, ciascuno fa quel che gli pare del proprio corpo”.

Intanto anche dal resto del mondo si può contribuire a tenere alta la pressione sul governo tunisino affinché si renda giustizia al ragazzo di Sousse e si abroghi l’articolo di legge che criminalizza i rapporti omosessuali. Ad esempio, potete condividere questo articolo sui social network accompagnandolo con gli hashtag #لا_لفحوصات_العار (no al test della vergogna), #لا_للفصل_230 (no all’articolo 230) o #TestDeLaHonte (test della vergogna).

 

Pier
©2015 Il Grande Colibrì

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