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C’è un ragazzo al di là del fiume
Con un culo come una pesca
Ma io, ahimé, non so nuotare!
Canzone popolare afgana

Bambini vestiti di stracci in villaggi desolati, donne in burqa celesti stipate su carri, uomini barbuti che piangono i loro cari, talebani sulle montagne armati di lanciarazzi RPG, carri armati da tutto il mondo con le loro belle bandierine: sono queste le immagini che arrivano dall’Afghanistan e, per quanto possano essere stereotipate, sono le immagini del tentativo fallito (e solamente presunto) di “esportare la democrazia”. Se aggiungiamo i soldati USA ubriachi che violentano le donne, torturano i bambini e ne bruciano i cadaveri o le bombe intelligenti che colpiscono le scuole il quadro diventa solo più inquietante, il giudizio della storia più severo. Qualcosa ricorda l’Iraq, ma in realtà le differenze tra i due paesi sono profonde, anche per quanto riguarda la situazione delle persone LGBTQ* [Il Grande Colibrì].

Come per tanti altri paesi a maggioranza musulmana, la storia dell’Afghanistan è la storia di una terra relativamente tollerante nei confronti delle diverse forme di sessualità. L’amore tra il sultano Mahmud di Gazna ed il suo schiavo turco Malik Ayaz è diventato leggendario in tutto il mondo islamico, in modo paragonabile alla passione tra l’imperatore romano Adriano e Antinoo in Occidente, con un’infinità di aneddoti che raccontano la dolcezza dei gesti e delle parole che univano i due uomini: “Io sono un sovrano più grande di te – si narra che disse una volta Malik al sultano – perché il tuo cuore ti comanda e questo schiavo è sovrano del tuo cuore”. Ma la storia dell’Afghanistan, come per tanti altri paesi a maggioranza musulmana, è anche la storia di una terra diventata intollerante con l’avvento dell’ondata violenta dell’islamismo.

In Afghanistan i talebani, gli studenti dogmatici che hanno governato il paese dal 1996 alla guerra promossa da George W. Bush, avviarono subito una campagna di violenta repressione di tutto ciò che giudicavano immorale: l’adulterio, la pederastia e anche l’omosessualità. Chi aveva una relazione con una persona del proprio stesso sesso veniva di solito gettato in una buca scavata nel terreno e gli veniva fatto crollare un muro addosso. Una pratica barbarica, che però non garantiva sempre la morte del reo: per questo il mullah Omar, leader spirituale dei talebani, decise di far passare un bulldozer sopra la buca, per aumentare le probabilità di successo della condanna [Sodomy Laws]. L’uso del bulldozer (sic!) per essere più conformi agli ahadith, ai detti del Profeta, ben rappresenta il crudele non sense dell’ideologia talebana…

Con la “vittoria” della guerra, il governo provvisorio appoggiato dagli USA recuperò il vecchio codice penale del 1976, reintroducendo le norme in vigore in epoca pre-talebana. Per la popolazione LGBTQ*, però, il nuovo Afghanistan “democratico” aveva in serbo brutte sorprese: dal punto di vista legale non solo l’omosessualità continua ad essere giudicata reato meritevole del carcere (art. 427), ma vengono garantite forti attenuanti a chi uccida un proprio parente omosessuale per difendere l’onore familiare (art. 398). Il mondo dovette aprire gli occhi su questa ingiustizia già nel 2004, quando in carcere finì un cittadino americano, accusato di aver pagato un afgano per farci sesso [Sodomy Laws]. Ma, in un paese dove si riesce ad imporre la legge solo in pochi quartieri di pochissime città, il punto di vista legale non ha molta importanza.

Ha molta più importanza la persistenza in gran parte del paese della condanna a morte degli omosessuali, poco importa se imposta da talebani, assemblee tribali, signori della guerra locali o tribunali civili poco rispettosi del codice. In Afghanistan vige la legge del più forte, e le persone LGBTQ* sono dalla parte dei deboli. Il governo centrale, poi, ha ben altri problemi e non ha la possibilità di occuparsi dei diritti delle minoranze sessuali. Diciamola tutta: non ne ha la possibilità, ma neppure la volontà, come dimostrò Fazel Hadi Shinwar, il primo presidente della Corte suprema dell’Afghanistan “democratico”, il quale, dopo aver giurato che “non saremo come i talebani”, spiegò che gli omosessuali avrebbero continuato ad essere uccisi con buche e crolli di muri, ma solo “a seguito di un dettagliato processo legale” [Sodomy Laws].

Tutto questo sembra in contrasto con alcune cronache che, magari sfruttando qualche fototessera di talebani un po’ troppo camp [The Globalist], enfatizzano l’omosessualità degli afgani. La questione è piuttosto complessa e non tutto quello che vede un occhio occidentale è davvero come appare: nella cultura afgana abbracci, baci e carezze tra uomini sono bene accetti, dal momento che l’intimità fisica tra uomini non viene interpretata solo in chiave sessuale. D’altra parte, la totale segregazione tra uomini e donne è un forte incentivo ad avere rapporti con persone del proprio sesso: “Il 90% degli uomini desidera commettere questo peccato, ma molti sono timorati di Dio e mantengono il controllo – racconta il mullah Mohammed Ibrahim – Solo il 20-50% di quelli che lo desiderano poi lo fanno davvero” [Los Angeles Times].

Le stime del mullah sono molto verosimili e, d’altra parte, una situazione analoga la si ritrova in un altro paese dominato dal dogmatismo religioso come l’Arabia Saudita [Il Grande Colibrì]. Tuttavia, nonostante l’altissima diffusione del sesso tra uomini, anche in Afghanistan la maggior parte dei maschi che hanno rapporti tra loro non si identifica come omosessuale e anzi condanna l’omosessualità: ad esempio, quando si scoprì che gli adesivi con la bandiera arcobaleno, che hanno rappresentato una moda in Afghanistan per molto tempo, erano un simbolo gay, sono spariti dalla circolazione in poco tempo [The Guardian]. Non è un caso che nel paese non esista nessuna organizzazione, ufficiale o clandestina, che si batta per i diritti delle persone LGBTQ*.

Le notizie che arrivano dall’Afghanistan sono contrastanti, difficili da interpretare. Alcuni cronisti occidentali si sono spinti a definire Kandahar la capitale gay del paese, con un’evidente forzatura; altri raccontano di matrimoni tra uomini celebrati nella città anche durante il regime talebano e forse si tratta di malintesi, perché, quando l’afgano Liaquat Ali letteralmente comprò e poi davvero sposò il sedicenne pakistano Markeen, al pranzo di nozze, preparato per addirittura duecento ospiti, successe il finimondo, con la minaccia di duri scontri tribali per vendicare “l’atto immorale e vergognoso” [The Sydney Morning Herald]. La giovane età di Markeen, comunque, ci aiuta a introdurre quello che è davvero il tema più scottante: la pederastia.

Il fenomeno prende il nome di “bacha bazi” (ragazzi per giocare): un adolescente, dai 12 anni in su, chiamato “bacha berish” (ragazzo imberbe) si veste con abiti femminili e danza in mezzo a un cerchio di uomini che gli gettano soldi tutt’intorno. Chi si dimostra più generoso può portarsi a casa il ragazzino per esserne soddisfatto – si sussurra – sessualmente. Altre volte, invece, il giovane ha una relazione esclusiva con un solo adulto, che lo tratta come un concubino da affiancare alla moglie. Il fenomeno ha origini antiche e, sebbene fosse stato fortemente represso dai talebani, è tornato in auge con la loro caduta [Gay & Lesbian Archive of the Pacific Northwest]. Le forze di polizia e gli studiosi islamici stanno tentando di frenarlo, per ora del tutto invano [Reuters].

Si diventa bacha berish verso i 12-13 anni, quando i genitori, troppo poveri, ti vendono a qualche ricco signore. Altre volte, i bambini vengono cacciati di casa, spesso perché sono stati violentati e quindi procurano disonore alla famiglia, e trovano ricchi “protettori”. Non mancano poi ragazzini che fuggono dalla famiglia, attratti dalla possibilità di ricevere ricchi doni e istruzione da un amante molto più grande di loro. Fino a un’età tra i 17 e i 20 anni il “ragazzo imberbe” continua a stare al fianco del suo protettore, a meno che questi non lo cacci o lo venda a qualche altro signorotto [The Guardian].

La natura sessuale del bacha bazi è messa in dubbio da alcuni studiosi, che hanno denunciato quanto avrebbe inciso la propaganda nel gonfiare e mistificare la realtà. In particolare, i talebani avrebbero trasformato una tradizione innocua nel bersaglio perfetto per la loro guerra contro l’immoralità, mentre, in Occidente, la descrizione dell’Afghanistan come “il paradiso dello stupro infantile” sarebbe stata funzionale ora a giustificare la guerra “umanitaria”, ora, da parte dei fondamentalisti cristiani, a riproporre l’assurda equazione “omosessuali = pedofili”. Tuttavia, se l’uso strumentale del fenomeno per fini totalmente estranei al benessere dei minori è innegabile, appare francamente improbabile che il bacha bazi non comprenda rapporti carnali.

 

Pier
©2012 Il Grande Colibrì

2 Comments

  • carmy ha detto:

    penso che oggi tutto è globalizzato e manipolato, di conseguenza quello che prima era culturale ed assorbito da una certa società oggi si tramuta in strumento per avere in cambio qualcosa,……..
    questo può comportare sfruttamento del minore e non una "libera" scelta.

  • marcovolante ha detto:

    Purtroppo si tratta della stessa cosa che in quelle latitudini subiscono le bambine mogli. Certe tradizioni si dovrebbero trasformare col tempo…
    La mia non è una visione partigiana, di appartenente a una cultura differente, ne' tantomeno una visione moralistica della faccenda. A me piace l'idea che un giorno il mondo sarà un grande crogiuolo di culture, tutte mescolate, da cui emergeranno il buono delle tradizioni di tutti i popoli. In quella prospettiva, al di là della mia ovvia contrarietà alla prostituzione come leva dal bisogno, non vorrei che i ragazzini possano essere cosiderati come degli animaletti da compagnia, buoni per il divertimento dei grandi, come al circo, o docili puttanelle da usare finché non crescono loro i peli sul mento. Antinoo si è suicidato perché sapeva che Adriano presto lo avrebbe lasciato. L'obiezione che i ragazzi non la vivano come violenza, ma magari come avventura o educazione sociale, non significa che non siano usati dagli adulti come pupazzi, mantenuti, viziati, e poi mollatti in mezzo alla strada appena la moglie proibisce al maschio "dominante" di tenere il ragazzino in casa. Così si fa con gli animali domestici e già quello mi fa ribollire il sangue. I ragazzi a quell'età vanno protetti, aiutati a crescere, non "trattati bene".
    A chi parla di "rispetto per le culture altre" voglio fare un discorso un po' più articolato.
    Io penso che "le culture" non esistano come corpi unici che possano o debbano uniformare le abitudini o perfino le menti delle persone. Tutti noi siamo immersi da sempre in un intreccio portentoso di appartenenze e provenienze.
    Dormiamo in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. Le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell’India, o di lino, pianta originaria del vicino Oriente, o di lana di pecora, animale originariamente addomesticato nel vicino Oriente, o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente. Abbiamo un bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane, entrambe di data recente. Ci laviamo con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi ci facciamo la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egiziani. Tutto questo senza minimamente pensare che ciò che facciamo abbia un senso diverso dalla nostra ripetitiva quotidianità, senza pensare nemmeno per un attimo che possa non "far parte della nostra cultura". Noi viviamo il portato di migliaia di anni di umanità varia convinti di avere una nostra cultura, mentre la realtà è che siamo solo individui senzienti, sociali, che interagiscono continuamente con altri individui, che hanno un'idea della vita, ognuno un progetto unico e prezioso che inevitabilmente, interagendo, si incontra o scontra col progetto altrui.
    Per questo vi prego di comprendere come non creda che esista la cultura afgana o quella italiana, ma piuttosto il punto di vista di chi pretende che ogni essere umano sia trattato con dignità, e chi invece pensa che le persone più forti possano avere un ascendente sulle più deboli e in alcuni casi, più o meno codificati (sempre da chi la pensa come loro), prevaricarle.

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