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Subito dopo l’attentato di Parigi alla redazione della rivista satirica Charlie Hebdo, una meravigliosa onda emotiva ha spinto milioni di persone in tutto il mondo a dire #JeSuisCharlie, scegliendo d’istinto di stare dalla parte delle vittime piuttosto che da quella degli assassini. Molti hanno aggiunto, spinti dall’urgenza di difendere la libertà di espressione e di stampa, che queste due libertà sono assolute, che è giusto dire qualsiasi cosa su qualsiasi argomento in qualsiasi modo, che la satira è sacra e che non le si deve chiedere rispetto o moderazione. Per questo esprimere perplessità sulla satira di Charlie Hebdo, pur nella condanna assoluta dell’attentato, per molti è un atto di compiacenza nei confronti dei terroristi e una richiesta inaccettabile di censura. Ma siamo sicuri che queste conclusioni valgano, ad esempio, anche per la vignetta qui sopra (“Appena si sposano quei due signori, è il nostro turno”)?

Non riconoscere i limiti degli slogan quando vengono calati nel mondo reale porta a esiti penosi, come il video di Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, che cerca di spiegare perché Charlie Hebdo debba godere di libertà infinita e il comico antisemita Dieudonné no [La Repubblica], o il libretto del Corriere della Sera che, per celebrare il diritto anche all’offesa, non pubblica le vignette potenzialmente offensive per la sensibilità dei lettori. Anche nella comunità LGBT la sacra libertà della satira è stata difesa da attivisti e media che pochi mesi fa proponevano il boicottaggio di “Visto” reo di aver pubblicato un libricino (brutto e sciocco, ma niente di più) di barzellette sui gay, attribuendo al settimanale la responsabilità di futuri suicidi di giovani omosessuali e indignandosi con l’Ordine dei giornalisti perché non applicava sanzioni.

Una polemica più seria ha colpito il quotidiano britannico The Guardian, che pubblica da anni i disegni dell’illustratore Andrzej Krauze. La comunità LGBT polacca ha fatto presente al giornale che in patria Krauze, conosciuto nel Regno Unito per la sua raffinatezza, diventa mister Hyde e pubblica vergognose vignette razziste e omofobiche (come quella che apre questo articolo) a sostegno delle campagne d’odio dell’estrema destra e delle peggiori teorie cospirazioniste: “Licenziatelo”, era la richiesta. Il Guardian rispose che “non possiamo essere responsabili per quello che i nostri disegnatori fanno nella propria patria” [naTemat]. Per le vignette di Krauze, in cui i neri sono cannibali e le coppie gay rincorrono i bambini, la critica è un diritto, è un dovere o è un attentato alla libertà?

Nel 2009, alle Hawaii, il settimanale Lahaina News pubblicò la vignetta qui sotto, in cui, come in quella di Krauze, si sosteneva che dai matrimoni gay si arriverà ai matrimoni tra esseri umani e animali. La comunità LGBT si indignò e ottenne le scuse da parte del direttore del giornale: “Ci siamo resi conto che la vignetta della scorsa settimana ha offeso alcune sensibilità nella comunità. Ce ne scusiamo” [Pittsburgh Lesbian Correspondents].

"Continuo a sostenere che il matrimonio dovrebbe essere tra un uomo e una donna"

“Continuo a sostenere che il matrimonio dovrebbe essere tra un uomo e una donna”

Criticare una satira omofobica e volgare (o meglio: pecoreccia) è stato un tracotante atto intimidatorio o una richiesta sensata? Riconoscere l’errore commesso è stata una dimostrazione di civiltà e di rispetto o un gesto di intollerabile sottomissione? E, per fare un altro esempio, cosa dire delle vignette anti-gay di Steve Bowers (una è riprodotta qui sotto)?

"Per avere questa nuova medaglia al merito per la 'tolleranza', dovrei fare CHE COSA?!"

“Per avere questa nuova medaglia al merito per la ‘tolleranza’, dovrei fare CHE COSA?!”

E cosa dire del giamaicano Clovis, che ha messo le sue matite costantemente al servizio delle campagne violente contro gli omosessuali, accusandoli di ogni sorta di nefandezza? Davvero la satira va solo applaudita e nessuno deve offendersi, indignarsi o criticare?  E cosa dire allora di Sean Delonas, cartoonist del New York Post che ha fatto carriera grazie a vignette che denigrano i neri, i disabili e, ovviamente, gli omosessuali? Qui sotto vi proponiamo una piccola raccolta di alcune sue chicche (che, tra le altre cose, dimostrano quanto gli omofobi siano poco originali e stranamente ossessionati dagli ovini).

Ufficio delle licenze matrimoniali del New Jersey

"Fregatene di mia moglie, lei è ovviamente omofoba"

“Fregatene di mia moglie, lei è ovviamente omofoba”

Sala parto. "Qualche suggerimento?"

Sala parto. “Qualche suggerimento?”

"Se permetteremo a questi di manifestare, saremo lo zimbello della comunità"

“Se permetteremo a questi di manifestare, saremo lo zimbello della comunità”

Insomma, il flusso continuo delle notizie ci spinge a dare risposte immediate, a esprimere quello che pensiamo senza avere neppure il tempo di pensare davvero. Il vincolo dei 140 caratteri di Twitter spinge alla semplificazione, allo slogan, alla sentenza definitiva, alla frase ad effetto, scoraggiando la riflessione e lo sviluppo di argomentazioni complesse. La bacheca di Facebook, costantemente aggiornata, trasforma in passato archeologico anche la settimana passata e presenta ogni fatto come un tassello di un puzzle che non si ha mai il tempo di completare.

Così non ci si accorge, ad esempio, che prese di posizione troppo assolute e perentorie possono essere forti solo all’apparenza, ma poi, scontrandosi con la realtà, diventano deboli, contraddittorie, persino pericolose. L’esasperazione dei toni e il costante ricorso all’iperbole portano a ragionamenti assurdi – ad esempio, trasformare Charlie Hebdo in manifestazione di una genialità indiscutibile e in pilastro fondamentale della libertà occidentale non solo è assurdo in sé (il giornale, fino al giorno prima dell’attentato, riceveva fiumi di critiche a destra e a manca e aveva un numero ridotto di lettori, costantemente in calo), ma sembra suggerire che se fossero stati colpiti degli scribacchini l’affronto sarebbe stato minore.

Se ovviamente la violenza non può essere mai in alcun modo giustificata neppure dall’insulto più grave e offensivo e reiterato, è sciocco e irrazionale che questa constatazione si traduca nella santificazione preventiva di ogni forma di satira. La satira può rappresentare un baluardo contro il potere o a favore del potere, può cancellare gli schemi o calcarli con la china, può colpire il tallone d’Achille di chi opprime o le spalle di chi è oppresso, può produrre la risata che induce al pensiero o la risata che sostituisce il pensiero. La satira è ovviamente un mondo complesso e pieno di contraddizioni, di luci e di ombre. Per questo non bastano gli slogan.

Per questo il diritto di criticare ad armi pari (idea contro idea, matita contro matita) la satira, che già gode del vantaggio di essere esente dal dovere di argomentare approfonditamente e di lavorare sulle proprie fonti, dovrebbe essere difeso tanto quanto il diritto di produrre la satira e non ingiuriato come pratica censoria o come fiancheggiamento del terrorismo.

 

Pier
©2015 Il Grande Colibrì

10 Comments

  • Gianluca Laporta ha detto:

    Che brutta cosa che ormai Gay e Divinità e profeti siano diventati intoccabili allo stesso modo. Mi sento abbastanza offeso ad avere lo stesso trattamento che oggi in Italia ricevono Gesù e la Madonna.

  • Enrico Proserpio ha detto:

    Quel che tutti sembrano ignorare è che la satira è solo uno strumento, un mezzo di espressione e che, come tale, è più o meno legittima a seconda della legittimità del pensiero che esprime.

  • Carmine Colacino ha detto:

    idem per la pretesa che la satira non possa o non debba essere criticata, tra l'altro la pretesa è del tutto illogica, la satira pretenderebbe di criticare e farsi beffe di tutto, senza essere a sua volta criticata? E' una cosa senza senso, e quindi, sempre IMHO, senza fondamento…

  • Carmine Colacino ha detto:

    checché ne dicano alcune ricerche su Google, nella realtà dei fatti, non esiste e non è mai esistito un "diritto illimitato di satira"… né sul piano legale, come già indicato, ma neanche su quello etico, chiunque parte dal presupposto che invece esiste, IMHO, fa un errore di fondo, appunto

  • Carmine Colacino ha detto:

    nell'articolo ci sono diversi errori di fondo. 1) Nessuno ha mai preteso che Charlie Hebdo, o la satira in generale, abbiamo un "illimitato" diritto a dire ciò che pare loro. I limiti ci sono e sono quelli della legge, se qualcuno si sente insultato da una vignetta o uno scritto può adire ai tribunali, come spesso in effetti è successo. 2) Nessuno ha mai affermato che non fossero lecite critiche alla satira, al contrario. Il punto è che la risposta deve essere altra satira… satira che deve rispettare le stesse regole (cioè i limiti di legge succitati). Infine dichiarare "Je suis Charlie" non implicava alcun appoggio o carta bianca alla satira, ma semplicemente il diritto alla libertà di stampa, e piú in particolare alla laicità dello Stato, cioè alla separazione tra Stato e chiesa, senza che quest'ultima possa imporre le proprie idiosincrasie anche a coloro che non le condividono.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Carmine, andiamo per punti.
      1) Nessuno ha mai preteso che la satira abbia un diritto illimitato? Basta una ricerca su Google per scoprire che, negli ultimi tempi, questa idea è stata espressa da molti e persino da molti moderatissimi (compresa La Stampa e i Giovani Democratici, per dire).
      2) Nessuno ha mai affermato che non siano lecite le critiche alla satira? Anche qui una ricerca su Google aiuta. Noto solamente che, come scrivevo nell’articolo, sull’argomento si sta continuando ad avanzare per tesi precostituite e per giudizi apodittici. In questa tendenza mi sento di comprendere anche le frasi che vorrebbero rappresentare “tutti” o “nessuno” e sentenze presentate come evidenze, ma prive di un sostegno logico (per la satira “la risposta deve essere altra satira”: perché?).
      3) Per quanto riguarda il senso della dichiarazione “Je suis Charlie”, concordo in pieno, ma non ho mai scritto qualcosa di diverso né in questo articolo né altrove.

    • Carmine Colacino ha detto:

      Grazie per la risposta, però chiunque abbia preteso qualcosa del genere (che che esista un diritto illimitato della satira a dire qualsiasi cosa voglia) ha detto una fesseria, la cosa peraltro non ha alcuna base fattuale nelle leggi italiane o europee che prevedono tutte il diritto di denunciare affermazioni (anche via satira) calunniose o offensive (ovviamente verso le persone e non verso entità immaginarie), la pretesa che il diritto sia illimitato (anche se – forse – ripresa da certa stampa) perciò resta del tutto immaginaria… per quanto riguarda la risposta alla satira, può essere altra satira (perché no?) o i tribunali (come già indicato) o qualsiasi altra cosa che resti nell'ambito dialettico (e nella legalità aggiungerei). Insomma, se i giornali scrivono cose inesatte non vedo la necessità di adeguarsi   La nota su "Je suis Charlie" era stata aggiunta in risposta ad alcuni commenti all'articolo, e ovviamente non derivava da quando scritto nell'articolo stesso.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Carmine, il dibattito non è stato tanto sulle norme di legge, ma soprattutto sul piano etico. In ogni caso, il fatto che certe posizioni siano "fesserie", non significa che non esistano. Sul resto, esprimi ora conclusioni che mi sembrano del tutto in linea con quanto scritto nell'articolo: non capisco a questo punto quali siano gli errori di fondo dal tuo punto di vista…

  • Daniele Lapenna ha detto:

    Io stesso ho creato un post scrivendo
    "Je ne sois pas Charlie" perché fare le pecore è facile, anzi, aspetta… è difficile!
    Come si può pensare con la testa degli altri nonostante si abbia un proprio cervello?

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