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Forse quando ci confrontiamo con altre culture facciamo fatica ad avere l’approccio giusto. Accade tra le persone, ma anche tra le nazioni. Forse quando gli stati occidentali, in primis il Regno Unito (ilgrandecolibri.com) e gli Stati Uniti (ilgrandecolibri.com), si schierano a favore dei diritti LGBT minacciando i paesi africani che non li accettano di ridurre aiuti e cooperazione ad essere sbagliato in partenza è il modo di porsi nei confronti della questione. Nella gran parte degli stati africani dove le persone LGBT sono discriminate dalla legge (e perfino dove la legge tutela i loro diritti, come in Sudafrica), il rifiuto di riconoscere i diritti alle persone omosessuali nasce dal basso, da tradizioni derivate dai retaggi religiosi delle colonizzazioni (l’omofobia in Africa si è sviluppata con la colonizzazione).

Certo, in molti casi sono ancora i religiosi (che in qualche modo sono ancora colonizzatori) a soffiare sul fuoco dell’intolleranza, con contributi in denaro e in dottrina che fomentano la promozione popolare di leggi sempre più liberticide (ilgrandecolibri.com), come ben esposto nel film prodotto ad inizio 2013 negli Usa “God loves Uganda” (godlovesuganda.com/). Ma è innegabile che in parte si tratti di cultura locale ormai sedimentata e di tradizioni che ben difficilmente possono scomparire con una legge di piena uguaglianza per i gay, come dimostrano le violenze contro le lesbiche in Sudafrica (ilgrandecolibri.com).

Ancora nei giorni scorsi il Senegal è stato sottoposto ad un tiro incrociato da parte di numerose nazioni europee (Belgio, Germania, Olanda e Regno Unito) che hanno chiesto ai governanti del paese africano di cancellare l’articolo 319 del codice penale, che punisce gli atti sessuali “contro natura”. E ancora una volta il governo locale ha risposto picche, spiegando che “la società senegalese aborre questa devianza perché è in contrasto con la sua fede profonda e non perché i senegalesi non siano ancora pronti“, guadagnandosi il plauso dei leader religiosi (dakaractu.com).

E appena un mese fa c’è stato l’abbandono del Coomonwealth da parte del Gambia , che per molti osservatori (anche se non è stato detto ufficialmente) sarebbe dipeso proprio dal rigetto del paese alle pressioni invadenti, specialmente britanniche, sulle sue politiche di repressione delle minoranze LGBT (voanews.com).

Forse, comincia a pensare qualcuno, la tattica giusta non è quella del ricatto (“o fate come diciamo noi, oppure non vi daremo più soldi“), che porta solo al risentimento e in molti casi all’inasprimento di leggi che sono già gravemente repressive, ma quella di una chiara e persuasiva disapprovazione che possa portare a un lento (purtroppo non può essere altrimenti) modificarsi delle normative e delle culture. E dell’aiuto e del sostegno a quegli attivisti africani che, venendo allo scoperto, possono dimostrare alla gente come l’omosessualità non sia un fattore di anormalità. E’ questa l’opinione dell’attivista Udoka Okafor, che in un post del suo blog sull’huffingtonpost.com sottolinea anche quanto sia importante il fatto che sempre più personaggi omosessuali appaiano nelle produzioni cinematografiche nigeriane di Nollywood (ilgrandecolibri.com).

Intanto, comunque, qualcosa sembra muoversi, sia pure a fatica. Dopo le timide aperture del Ghana , il cui presidente John Dramani Mahama ha affermato che, “malgrado l’ostilità che si può provare, le persone LGBT non devono essere picchiate o uccise” (ilgrandecolibri.com), questa settimana la Conferenza africana per i diritti dei popoli e delle persone affronta in sessione privata molte tematiche legate ai diritti LGBT, dopo i lavori che si sono chiusi pubblicamente nei giorni scorsi.

La speranza è che questo appuntamento, che pure non è una riunione intergovernativa, possa stabilire una pietra miliare nel cammino dei diritti gay africani, proprio in virtù del fatto che l’affrontare sempre più spesso la questione, il tenere il tema sulla ribalta e l’utilizzare la giusta forza persuasiva (e non ricattatoria) internazionale dovrebbero, nelle intenzioni dei promotori, portare ad un progressivo allentamento delle rigide leggi che colpiscono le persone LGBT nei diversi paesi africani (429.com).

Ma è da verificare se gli stati occidentali sono disponibili a modificare la propria tattica. A giudicare dall’invio di Patricia Haslac come nuova ambasciatrice americana in Etiopia , sembra difficile. Con una scarsa arte della diplomazia, infatti, l’incaricata statunitense ha pronunciato un bellissimo discorso d’insediamento ergendosi a paladina dei diritti delle persone LGBT etiopiche, confermando la terapia d’urto dell’amministrazione Obama espressa dalla delegata della segreteria di stato per gli affari africani, Linda Thomas-Greenfield (thereporterethiopia.com). Troppo presto per qualsiasi speranza, quindi.

 

Michele
Copyright©2013ilgrandecolibri.com

6 Comments

  • Manlio Converti ha detto:

    Errore di prospettiva… come dire che hanno fatto bene gli inglesi ad ignorare i campi di sterminio ed usare una tattica diplomatica per difendere solo la fuga di pochi ebrei (e nessun gay) durante la seconda guerra mondiale…
    Evviva tutti i tutori del modello ASSERTIVO, l'unico che ci da garanzia di visibilità piena!
    Sinceramente l'america.fobia o la western.fobia è un altro problema, che anche ci interessa e per il quale anche è necessario essere ASSERTIVI…
    I NOSTRI VALORI è una brutta espressione, ma I NOSTRI DIRITTI sono stata una conquista durata millenni che non può piegarsi all'ipocrisia di Cina, Russia, Arabi Sauditi o Paesi Africani!

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Manlio, non ho capito bene il tuo commento: chi starebbe compiendo un errore di prospettiva, i governi o chi ha scritto l'articolo? Chi soffrirebbe di "americofobia"? E chi sarebbe ipocrita, solo i paesi che citi o anche gli Stati Uniti, che – come denunciano molti editorialisti africani – tira le orecchie all'Africa e tace con l'Arabia Saudita?

  • Andrea Zucchini ha detto:

    L'omofobia è un problema reale.

  • Marcello ha detto:

    L'omofobia in Africa e Russia è usata dai potenti per distogliere la gente dai problemi reali.

  • Andrea Baroncelli ha detto:

    Per quello che ne so, l'omofobia in Africa è conseguenza della colonializzazione anche – se non soprattutto – perché reazione all'omosessualità vista come "qualcosa di portato dai colonizzatori".

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