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Chi sono i servi “ghayri ‘uli al-‘irbati mina ar-rijali” (غَيْرِ اُولىِ الاِرْبَةِ مِنَ الرِّجَالِ) ai quali le donne possono mostrare i propri ornamenti e la propria bellezza, secondo quanto stabilito dalla Sura XXIV, La luce, 31? L’espressione non è di facile comprensione e si presta a varie interpretazioni. Di sicuro si tratta di persone di sesso maschile a cui manca (غَيْرِ اُولىِ) una caratteristica (الاِرْبَةِ) tipica degli uomini (مِنَ الرِّجَالِ)… ma di quale caratteristica si tratta? La risposta non è semplice, come dimostra il fatto che i traduttori del Corano hanno fornito risposte diverse.

La maggior parte degli interpreti francesi taglia la testa al toro: “al-‘irbati” si riferirebbe alla potenza sessuale, alla vigoria, alla fertilità. I servi citati dalla Sura sarebbero servi impotenti, magari perché anziani, e per questo non pericolosi nello stare a contatto con le donne sposate. Ipotesi che, già a prima vista, convince poco… E infatti i traduttori nelle altre lingue, insieme anche a qualche collega francese, seguono interpretazioni differenti, più sfumate.

Di certo, come nota Faris Malik (leggi), si tratta della “caratteristica distintiva degli uomini“, cioè, per dirla con parole nostre, della caratteristica essenziale che definisce l’uomo nei confronti delle donne. Per i principali traduttori inglesi e italiani “al-‘irbati” indica il desiderio sessuale, la necessità fisica di unirsi carnalmente a delle donne. E allora chi sono questi “maschi non uomini”? Si tratta degli “eunuchi” (خَصِي), termine con cui anticamente ci si riferiva non ai castrati, ma agli uomini privi, appunto, di attrazione per il sesso femminile. Maschi asessuati, quindi? No, almeno ad ascoltare Faris Malik, secondo il quale gli eunuchi dell’antichità altro non sarebbero che gli omosessuali della contemporaneità.

L’identificazione dei maschi “ghayri ‘uli al-‘irbati mina ar-rijali” con gli eunuchi è testimoniata dall’uso della stessa identica espressione in un hadith (Sahih Muslim, XXVI, 5416) in cui ‘A’isha, sposa di Muhammad (Maometto), racconta come un servo effeminato (مُخَنَّث) delle mogli del Profeta venga cacciato perché si era spacciato per eunuco quando, in realtà, aveva dimostrato di essere interessato al corpo femminile. L’hadith è particolarmente significativo perché conferma come “eunuco” non sia sinonimo di “castrato” (la mancanza dell’organo genitale sarebbe stata facilmente verificabile), ma di maschio privo di interesse sessuale nei confronti delle donne.

Il servo cacciato dalla casa del Muhammad, se sincero, non sarebbe stato colpevole della propria “non eterosessualità”, ma risulta invece colpevole perché si è spacciato per quello che non era (a questo proposito, si confrontino anche gli ahadith Sahih Bukhari, LXII, 114 e Sahih Muslim, XXVI, 5415). Da questo punto di vista, è significativo richiamare altri ahadith (Sahih Bukhari, LXXII, 773 e 774) in cui il Profeta maledice gli uomini che si fingono donne e le donne che si fingono uomini: anche in questo caso, sono la finzione e l’inganno a venire additati, mentre l’effeminatezza “sincera” non ha ragione alcuna di essere condannata (e infatti il Profeta in persona aveva aperto le porte delle stanze più private della propria casa proprio ad un servo effeminato).

Fino a questo punto le tesi di Faris Malik appaiono convincenti: i testi sacri dell’Islam riconoscono l’esistenza di alcuni maschi (definiti nel Corano “ghayri ‘uli al-‘irbati mina ar-rijali” e negli ahadith “eunuchi“) che non sentono attrazione per le donne e che, quindi, sicuramente non sono eterosessuali. La “non eterosessualità” di queste persone, però, non costituisce in sé un motivo di condanna. Semplicemente si afferma che queste persone non sono uomini come gli altri, sono estranei al binarismo di genere uomo/donna e, logicamente, non sono tenuti a rispettare i precetti di morale sessuale (a partire dall’impossibilità di vedere donne scoperte).

La coincidenza tra l’eunuco antico, “maschio non uomo” non per forza effeminato, e l’omosessuale moderno proposta da Malik può far rizzare i capelli a molti gay che fanno della virilità la propria bandiera. E il fatto che l’essenza dell’identità di genere venga identificata nell’oggetto del desiderio sessuale (cioè, per usare la terminologia moderna, nell’orientamento sessuale) farà inorridire l’ortodossia LGBT. E però il discorso è invece particolarmente comprensibile per le persone queer e per le lesbiche che rifiutano la definizione di donne (o di donne gay)… E’ allora un discorso molto retrogrado o, al contrario, molto progredito?

In MOI Reading 6 analizzeremo il resto delle tesi proposte da Faris Malik, prendendo in considerazione anche quelle conclusioni che ci appaiono meno convincenti…

 

Pier
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