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Internet si appresta a cambiare faccia o forse, più modestamente, a cambiare i suoi nomi, generando importanti conseguenze e vivaci polemiche anche per quanto riguarda la presenza online della comunità LGBT (lesbica, gay, bisessuale e transgender). L’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers; Società per l’assegnazione dei nomi dei domini e dei numeri su Internet), l’ente internazionale che gestisce la rete, sta autorizzando nuovi domini di primo livello generici (generic Top Level Domain; gTLD), la cui gestione sarà affidata a società private, istituzioni religiose e enti di varia natura a costi altissimi (185mila dollari, 134mila euro, per la registrazione, senza tenere conto dei costi tecnici e amministrativi). Il solo processo iniziale di valutazione e assegnazione dei domini dovrebbe muovere un giro d’affari di 92,5 milioni di dollari (più di 66 milioni di euro).

Facciamo un passo indietro per capire bene di cosa stiamo parlando. Il dominio di primo livello (TLD) è la parte più a destra dell’URL, cioè dell’indirizzo di un sito; il nome che precede il TLD si chiama invece dominio di secondo livello (Second-Level Domain; SLD). Per esempio, nell’indirizzo web “ilgrandecolibri.com”, “.com” è il dominio di primo livello, mentre “ilgrandecolibri” è quello di secondo livello. I TLD possono essere nazionali, attribuiti a ciascuno stato o entità geografica (come .it per l’Italia e .eu per l’Unione Europea), oppure generici, indipendenti dalla geografia (come .com e .org). Se finora i TLD generici erano relativamente pochi, con le nuove regole dell’ICANN stanno diventando molte centinaia e dovremo abituarci a indirizzi che terminano con .apple, .gratis o .pizza.

Ma tutto questo cosa c’entra con la comunità LGBT? Semplice: appena l’ICANN ha annunciato la possibilità di creare nuovi domini di primo livello, è partita la corsa tra quattro società, tutte statunitensi, per accaparrarsi l’ambito .gay. Se in tre casi si tratta di richieste standard per lo sfruttamento commerciale del dominio, la società a responsabilità limitata Dotgay ha avanzato una richiesta particolare, chiedendo che fosse riconosciuto il carattere comunitario del dominio .gay. Cosa significa? Significa che Dotgay, qualora le venisse affidata la gestione di questo dominio, si impegna a gestirlo per realizzare non solo “un business di successo“, ma anche “benefici finanziari e strategici per la comunità“, in particolare versando il 67% dei profitti ai suoi clienti non profit (dotgay.com).

L’amministratore delegato di Dotgay, nonché il suo proprietario per il 90%, è Scott Seitz, uno dei più famosi esperti di strategie di mercato rivolte al pubblico omosessuale, che ha lavorato per colossi come Kodak e Pepsi, ma anche per associazioni LGBT. In particolare, è stato tra i dirigenti della “Bread & Roses” (Pane e rose), organizzazione che assiste le persone HIV-positive nel Connecticut, e finanzia “Honoring Our Journey” (Onorare il nostro viaggio), una società senza scopo di lucro che organizza workshop e conferenze sulla spiritualità degli uomini gay.

Seitz è riuscito ad ottenere l’appoggio, nella sua richiesta per la gestione del dominio .gay, di molte organizzazioni LGBT di tutto il mondo, a partire dall’ILGA (International Lesbian and Gay Association; Associazione internazionale lesbica e gay). Ma non sono mancate le polemiche. La più assurda è quella lanciata dalla Commissione per le tecnologie della comunicazione e dell’informazione dell’Arabia Saudita, che ha formalmente chiesto all’ICANN di non autorizzare il dominio .gay perché “molte società e culture considerano l’omosessualità contraria alla loro cultura, moralità o religione” (icann.org). Questa obiezione però non è stata accettata dal professor Alain Pellet, valutatore indipendente per conto dell’ICANN (independent-objector-newgtlds.org).

Tutta interna alla comunità LGBT, invece, è stata la polemica sulla scelta delle associazioni di puntare sul dominio .gay: per molti il termine “gay” è poco inclusivo e rappresenterebbe solo gli uomini omosessuali. La replica ha fatto notare come “gay” sia un’espressione molto più semplice e più conosciuta rispetto all’acronimo “LGBT” o all’ancora più inclusivo e inusuale “SOGI” (Sexual Orientation and Gender Identity; orientamento sessuale e identità di genere). Inoltre, in molti paesi il termine “gay” ha ancora quella valenza molto inclusiva che aveva inizialmente anche in Occidente, identificando tutte le persone non esclusivamente eterosessuali e/o che non si riconoscono nel binarismo di genere. Non va poi dimenticato il fatto che “gay” è un termine commercialmente molto più appetibile.

Nel prossimo futuro, però, potremmo avere sia siti .gay, che utilizzeranno (e pagheranno) il dominio gestito da Dotgay e sostenuto dalle associazioni, sia siti .lgbt. Afilias, una società irlandese, ha infatti chiesto di registrare quest’ultimo dominio di primo livello per poterlo sfruttare commercialmente. ILGA si è opposta, sostenendo che “questa operazione a scopo di lucro permetterebbe abusi del nome di dominio che potrebbero danneggiare la comunità, per esempio se si registrassero persone mascherate da membri della comunità ma che in realtà sono attivisti anti-gay che vogliono usare la registrazione per finalità anti-gay“. L’esperto nominato dall’ICANN, il professore tedesco Bernhard Schlink, ha però dato torto all’ILGA e si è espresso a favore della coesistenza dei due domini (icann.org).

Secondo Marc Naimark, vicepresidente della Federation of Gay Games (Federazione dei giochi gay), questa coesistenza potrebbe però essere molto difficile, perché .lgbt potrebbe essere gestito in modo più spregiudicato, prevalendo su .gay e rendendo difficile la sopravvivenza di questo dominio più attento alle esigenze della comunità (gaygames.org). Chi avrà le “chiavi” della rappresentazione su Internet della comunità LGBT lo deciderà a luglio l’ICANN. Per scoprire quale reale importanza avrà il possesso di queste chiavi, invece, bisognerà aspettare i prossimi anni: è ancora impossibile stabilire quali porte si apriranno e quali rimarranno chiuse.

 

Pier
Copyright©2014ilgrandecolibri.com

5 Comments

  • Daria ha detto:

    Siamo e saremo sudditi del dio denaro…e del dollaro in particolare.

  • Marcy ha detto:

    Quel principio vale nei brevetti privati. Non vedo perché non debba valere anche per un termine della cultura generale. L'ICANN è poi anche un ente Non Profit.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Secondo Peter Thrush, dirigente dell'ICANN, questa riforma dei domini porterà ad una nuova era di creatività e ispirazione. Però non spiega come e perché… Strano, eh? Personalmente, temo che il vino venduto su vivailchianti.wine non sarà migliore di quello venduto su vivailchianti.com e che il giornale online lasailultima.news non darà informazioni più autorevoli di lasailultima.it…
      Dico questo perché mi sembra che la logica dell'intera colossale operazione sia ben poco legata alle esigenze degli utenti della rete (figurarsi delle comunità…), ma abbia come obiettivo semplicemente quello di creare dal nulla un nuovo florido mercato, che porterà profitti a schiere di speculatori e di avvocati (pensate all'azienda che, per evitare concorrenza sleale, ha già registrato il proprio nome con .com, .it e compagnia bella: ora dovrà registrare 1400 siti o prepararsi a portare un bel po' di impostori davanti ai giudici…). Alla faccia dell'ente non profit…

  • Marcy ha detto:

    Ma il principio de l Pubblico Dominio? Ovvero si può brevettare l'acqua calda?

    • janu ha detto:

      Che io sappia, l' ICANN è un ente di diritto privato, non un'istituzione propriamente "pubblica" , quindi , come si legge nell'articolo, ha bisogno di guadagnare denaro per vivere, come qualunque azienda : per cui non credo che utilizzi i principi del CreativeCommons , che tutelerebbero un bene comune.

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