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L’analisi esposta in questo scritto ha l’obiettivo di sottolineare un aspetto relativo alla questione femminile oggetto di un accesso dibattito e di cui si vuol sottolineare il contributo di Georg Simmel. Il suo approccio, le sue intersezioni e riflessioni, pongono un momento di grande confronto sulla più grande discriminazione operata, madre di tutte le altre discriminazioni sessuali ma anche fonte e riscatto successivo per ricercare nuove grammatiche di riconoscimento.

Perché una psicologia delle donne?

Filosofia e psicanalisi hanno posto un’immagine archetipica del corpo modellata sul maschile. Nel caso della psicoanalisi, questa riduzione del differente all’uguale avviene attraverso l’assolutizzazione della sessualità maschile che assurge a prototipo dell’intera vita sessuale, con la conseguente cancellazione dell’identità sessuale delle donne, in quanto automaticamente differente e quindi non leggibile in termini di specularità rispetto a quella maschile. In tal senso, anche la psicoanalisi ha la responsabilità di aver teorizzato questa negazione della differenza optando per una negazione della sessualità.

Questa dimenticanza dell’altra metà del mondo non trova nella filosofia un supporto teorico così sistematico, ma, a ben guardare, il sapere filosofico si è sviluppato proprio a partire dalla negazione della differenza e dall’assolutizzazione dell’unico in cui la sessualità non compare (come oggetto di conoscenza) essendo stata rimossa, e con essa il corpo, allo scopo di legittimare la purezza della conoscenza. Il rimosso è destinato, come la psicanalisi ha dimostrato, a ripresentarsi sotto forma di sintomo.

La differenza presuppone un mutamento radicale di cultura. Per questo è così difficile intendersi. Per secoli abbiamo vissuto in una cultura a soggetto unico, e non a due soggetti. Passare all’epoca della differenza significa passare a un soggetto doppio ed entrare in una cultura coerente con questa duplicità di fondo. Immaginare un’alternativa secca tra le due dimensioni sarebbe ingenuo.

Non si tratta di restare in una conflittualità semplice e senza fine. Piuttosto, occorre pensare a un’alleanza fondata sul riconoscimento di uno spazio negativo e insuperabile tra i sessi allo scopo di custodire la differenza. Come ci ricorda Luce Irigaray in un’intervista all’Unità del 13 aprile 2000: “Io non sarò mai te, né tua e viceversa”. Una vera cultura della differenza, all’altezza del tempo, deve includere: la dialettica di relazione tipica del soggetto maschile; la dialettica di relazione tipica del soggetto femminile; una terza dialettica: relazione tra soggetti maschili e soggetti femminili. Nella differenza.

Nel lontano 1890 nella sua “Zur Psichologie der Frauer” Georg Simmel scrive: “Siccome nessuno può asserire che in senso stretto sussistano, da un lato, una simile unitarietà e, dall’altro, una simile separazione, necessariamente chi parla delle donne ‘al plurale’ dovrà accontentarsi, nel migliore dei casi, di trattare come totalità una semplice maggioranza”.

Simmel asserisce che il problema maggiore sta nel fatto che, in una specie indifferenziata, il singolo individuo rappresenta sempre la totalità in modo relativamente perfetto. Conseguentemente “un giudizio pronunciato su questa totalità coglie con maggiore sicurezza ogni e qualsiasi individuo singolo”.

Ma perché una mancanza di differenziazione? La dimostrazione è stata affidata ad una serie di piani diversi:

a) sul piano analitico: il sesso femminile subisce meno mutamenti di quello maschile;

b) sul piano psichico: le attitudini, le inclinazioni e le attività femminili sono raccolte più strettamente attorno ad un unico punto e non sono ancora giunte a specializzarsi per acquisire un’esistenza più autonoma. Nella psiche femminile, infatti, la mancanza di differenziazione rende più facile collegare la singola rappresentazione con il complesso di quelle adiacenti o comunque presenti (mentre in uno spirito meno unitario ogni rappresentazione diviene più autonoma). In tal senso si può leggere il maggior peso della vita emotiva per le donne;

c) sul piano della logica femminile: questa tesi che misconosce la presenza di logica femminile è combattuta da Simmel che la ritiene un’assurdità tra le più grossolane. Infatti, ribadisce proprio “l’acume e il rigore delle loro deduzioni”. Questo perché la quantità maggiore o differenziata dei punti di vista talora ostacola la visione chiara di una conclusione logica che invece è definibile per l’intelletto femminile;

d) sul piano della verità: l’amore si rinviene più nelle premesse materiali che in mancanza di nessi logici-formali;

e) sul piano della fine sensibilità: si deve ricordare che la straordinaria capacità intuitiva delle donne, basandosi su funzioni più veloci del meccanismo associativo ossia funzioni acritiche, rimanda a ciò che Simmel definisce “il livello inferiore dell’intuito”, ossia quello che caratterizza gli animali e i popoli meno evoluti;

f) sul piano della “cattura” dei romanzi: l’identificazione con i personaggi e le passioni è data dal fatto che le donne, interiormente, non sono differenziate da poter disporre, oltre che della rappresentazione dominante la loro fantasia, anche da un’altra massa di rappresentazioni che stia accanto e al di sopra di essa;

g) sul piano dell’essere pessimi critici: si compenetrano troppo nell’oggetto (non riuscendo ad esprimere un criterio artistico oggettivo) rivelando anche in ciò il loro stadio evolutivo inferiore;

h) sul piano dell’analisi, della separazione e dello smembramento dei singoli elementi di un avvenimento, di una sensazione, di una personalità: ritengono una costrizione spiacevole dover differenziare e scomporre le rappresentazioni che per loro costituiscono l’oggetto. A ciò si collega anche il difetto di oggettività ossia quando la singola rappresentazione non è ancora autonoma per essere considerata soltanto nei suoi aspetti logici ed isolata dalle altre ma, invece, stimola facilmente tutta la coscienza coinvolgendola nel proprio destino. In quel caso, siamo in presenza di ciò che è soggettività o mancanza di oggettività;

i) sul piano della “stimolazione” a partire da un “unico” punto di vista: facilità con cui s’impegna per un unico interesse tutto il suo pensiero e il suo sentimento e, come correlato, la sua scarsa capacità di rappresentare e di giudicare il particolare nel suo puro essere per sé, insomma, la sua mancanza di aggressività;

l) sul piano della partecipazione alla vita dello Stato: la generale incapacità di accedere alle astrazioni più elevate sia nel pensare sia nel sentire;

m) sul piano degli ideali politici: il riuscire nella riproduzione e non nella produzione originale poiché a loro necessita un punto di appoggio che è dato proprio dal compimento dell’arte già realizzata (al contrario dell’artista).

La mancanza di differenziazione coincide con la potenzialità.

Per Simmel, “muovendo dalla potenzialità si potrebbe spiegare perché di fronte ad una donna, non appena la si conosce meglio, si arriva fin troppo spesso a pensare che la natura abbia posto in lei una gran quantità di germi che non sono giunti a maturazione e che ne sarebbe potuto venir fuori di più di quanto effettivamente è venuto”.

Nonostante il volersi affidare ad una possibile operazione di superamento di questo impasse affidata all’evoluzione della specie, non bisogna tralasciare in una visione chiara e lineare del discorso simmeliano che il fondamento profondo di ciò che distingue le donne dagli uomini risiede proprio nella “mancanza di differenziazione” con la conseguente assegnazione ad esse di un livello evolutivo inferiore. Di fatto solo una crescente divisione delle funzioni tra le donne potrebbe comportare il tentativo di andare verso un concetto di equiparazione.

La differenziazione frutto di una crescente divisione delle funzioni delle donne.

Anche per questo Simmel sembra avere chiaro il riferimento. Infatti, pone una questione molto chiaramente. Afferma che i fautori dell’emancipazione sono stati tra coloro che hanno sostenuto la possibilità di liberare la donna dalle catene dei fornelli e della calza. Rimprovera a costoro di non aver compreso che di queste funzioni non si può fare a meno e così, pur potendo spingere alcune di loro verso professioni più nobili (e più libere), si riuscirà, in un certo senso, a relegarne altre ancora di più alle funzioni prima accennate.

La scarsa differenziazione delle donne emergerebbe, poi, in modo lapalissiano dalla vita sessuale e, in modo particolare, dalla frequenza dell’adulterio in epoca rinascimentale. Perché? Soccorre in tal senso l’analisi di Burckardt che sostiene che nell’uomo, proprio grazie all’individualizzazione più forte delle parti del suo essere, la sessualità può sussistere, trovare soddisfacimento pur mantenendo la separazione dal contenuto psichico; mentre per la donna questa separazione non può avvenire a causa della indivisa unitarietà. Mancherebbe per la stessa la presenza di “due anime nel petto”, una interiore (matrimoniale) e l’altra esteriore (fisica) che consentirebbe all’uomo di violare la seconda rimanendo “puro” nella integrità della prima.

In tal guisa sembra emergere significativamente il motivo per cui il concedersi di una donna, proprio a causa della scarsa differenziazione, comporterebbe un concedere il lato esteriore tanto come quello interiore. Si parla, dunque, di casi in cui la donna sedotta ha “perso” il suo onore.

Si comprende ora in che misura. La donna ha concesso tutti i suoi livelli. Molto più difficile sarà credere che il proprio seduttore abbia investito tanto nella definizione di quel rapporto. Eppure quella mancanza di differenziazione, permette di guardare alla donna (“non completamente sviluppata”) con la possibilità di scorgere dentro di lei qualcosa di più profondo che non si è ancora liberato e che – in modo oscuro – ancora si manifesta ad uno stato unitario così tanto diverso dal genere maschile.

Dualismo e formule della natura umana.

Il dualismo esprime la sua reale profondità nel momento in cui cerca continuamente di autosuperarsi. Infatti, la lotta, il compromesso, la riconciliazione tendono ad addivenire all’unità. Quest’ultima, però, una volta raggiunta, non è tollerata e s’infrange di nuovo. Per comprendere meglio è necessario far riferimento al modello archetipo per eccellenza del dualismo scientifico: maschile e femminile. Essi tendono l’uno verso l’altro “in un’unione che diviene possibile proprio in virtù della loro antitesi reciproca, ma che allo stesso tempo proprio dinanzi all’appassionato desiderio di tendere l’uno all’altro, di fondersi l’uno nell’altro risulta nel profondo qualcosa di irraggiungibile”.

In tal modo una volta raggiunta l’unità essa diviene, al contempo, intollerante infrangendosi in una molteplicità di aspirazioni opposte. Dal dualismo scientifico si ricava il tema della differenziazione uomo-donna. Il determinante della differenziazione tra maschile e femminile si rinviene nel carattere complessivo della differenza sessuale. Questo spiega perché le donne riescono sempre a sentirsi specificamente “donna” in ogni momento e in misura molto più elevata di quanto rispettivamente gli uomini si sentano uomini.

Il fatto di essere donne domina più o meno chiaramente le espressioni e il sentimento generale della loro vita. È vero che questo riconoscimento viene anche misconosciuto nel momento in cui si verifica che questa maggiore determinazione delle donne alberga nella condizione millenaria di schiavitù delle stesse che ha condotto le medesime a ritenere che “lo schiavo è costretto sempre a pensare di essere uno schiavo”, è la sua condizione a ricordarglielo.

Ancora più eclatante è la circostanza che attribuisce all’uomo di essere giunto all’apice del sistema di valori della società. Questo sistema, infatti, è stato costruito direttamente degli uomini e questo ha consentito loro di determinare i presupposti che hanno condotto all’affermazione degli stessi. Visto che i rapporti di forza sono sbilanciati a vantaggio di una parte, infatti, anche il potere degli uomini segue identica sorte. Questo tipo di condizionamento determina nella donna una legittimazione a posteriori che si concretizza in una serie graduata di comportamenti psicologici che contrastano, ovviamente, nel loro essere più profondo.

Una delle connessioni più ingannevoli del senso comune associa l’impulso sessuale all’amore diventando, di fatto, uno degli assunti più ingannevoli nel panorama psicologico.

Se analizziamo la vita sessuale faremo riferimento a due distinti livelli:
a) da un lato “impulso”, “desiderio”, “appagamento”, “sentimento di piacere”;
b) dall’altro la riproduzione della specie.
Ecco che:
a) preliminarmente si concretizza l’attrazione sessuale come forma prodromica dell’amore (una forza paragonabile ad un’onda che si sviluppa aumentando le dimensioni progressivamente);
b) successivamente la vita produce se stessa partendo da se stessa, determinando la così detta “riproduzione della specie”.

Il risultato è una trasformazione in cui la ricerca di una più-vita personale (piacevole, emozionale, libidica) protende poi a giungere verso qualcosa che è più-che-vita (garanzia della conservazione della specie).

Questo duplice livello comporta una sorta di fluttuazione tra la sfera psicologica (che vede la pulsione come forza di mediazione) e la sfera di sviluppo della legalità e dell’intenzionalità (che pongono come mediazione la vita e la sua conservazione). Eppure la “natura erotica” tenta di eludere questa seconda fase. Ad essa non interessa in alcun modo la riproduzione della specie. Quel piacere permette di raggiungere uno stato che altro non può definirsi che in termini “assoluti”. Uno stato dell’essere che non è uno stato dell’agire. Questo potrebbe essere letto come un tradimento nei confronti della vita che, a causa dei piaceri del più-vita, vedrebbe sacrificato quel principio determinante del più-che-vita.

Donne in movimento

Simmel ha esaminato, nel centenario del movimento delle donne, uno scritto di Theodor Gottlieb Hippel, giurista e scrittore tedesco del 1792 pubblicato col titolo “Sul miglioramento della condizione civile delle donne”. Il trattato si pone come successivo ad una rivisitazione dell’idea della posizione delle donne volontariamente tenuta relegata verso il basso. Un attivismo che ha spinto Christian Franz Paullini ad affermare che è fondamentale investire in formazione proprio perché l’uso delle capacità intellettive potrebbe far emergere quella donna intelligente che tutti vogliono ma che la società relega a ruolo di attrice non protagonista.

La ragione prevalente del dominio degli uomini di cui si è detto prima dipende anche dalla questione che la maggior parte delle donne si è inselvatichita nella vanità e nell’ignoranza, addirittura disprezzando o deridendo coloro che sono attratte e si dedicano alle scienze.

Hippel riprenderà queste tematiche cercando anche di svilupparle. Egli sostiene che:

a) la questione femminile dev’essere analizzata sotto un aspetto pratico in modo da incanalare i tentativi di riforma nella stessa direzione;

b) la repressione del genere femminile troverebbe fondamento non in cause personali bensì nel corso preso dalla formazione della società;

c) il vero declino della donna alberga nella passività cui è temporaneamente condannata a causa della sua condizione;

d) il motivo politico-psicologico dell’esclusione trova la sua gelida affermazione nel fatto che la stessa è stata esclusa dai diritti senza essere esonerata, però, dai doveri;

e) i difetti attribuiti alle donne (limitatezza – vanità – scarsità) per un’imperfezione della loro natura sarebbero, invece, ascrivibili ad una mancanza di sviluppo;

f) non è vero che ci sono anime maschili (destinate a corpi maschili) e anime femminili (destinate a corpi femminili) e chi lo sostiene è evidentemente l’uomo che funge da “accusatore” prima e da “giudice” poi;

g) lo Stato deve istituire delle scuole per le donne dove si esaminerà e si analizzerà ciò che serve allo sviluppo dell’uomo con la finalità di vita e salute dei cittadini. In tal modo sarà assicurato un primo posto alla profilassi.

Hippel, nella sua saggezza, non credeva nel 1792 che si sarebbe potuta raggiungere un’emancipazione femminile piena a breve termine (ed aveva ragione). In tal senso auspicava che si potesse giungere ad una formazione uguale sia per gli uomini sia per le donne. Solo abbattendo le barriere della differenza sessuale si sarebbe giunti alla formazione di madri e casalinghe idoneamente formate. Non si dimentichi, però, che proprio a queste viene affidato il delicato compito di educare i futuri uomini e gli errori che di sovente emergono nell’impartire l’educazione sono imputabili alla situazione di disinteresse statale alla preparazione delle educatrici.

Hippel ribadisce che è difficile credere, parafrasando Rousseau, che la natura – quale giusta e buona madre – possa aver ripartito in modo tanto discriminante le vicende dei due sessi.

Ovviamente Hippel trascura alcuni argomenti che attualmente hanno una grande valenza quali:

a) mancato riconoscimento della necessità di indipendenza economica;

b) mancata individuazione del fondamento del matrimonio come oppressione della donna. Vede nel matrimonio ancora un’immagine eccessivamente sacrale dello stesso;

c) l’adulterio degli uomini che viene biasimato mentre condanna aspramente quello commesso dalle donne vedendo in esso, addirittura, un peccato contro natura.

Nonostante questi fattori che possono rappresentare per l’autore il condizionamento storico del suo tempo, allo stesso si deve riconoscere una grande importanza per la storia del movimento delle donne poiché, per la prima volta, guarda oltre l’evoluzione storica e non si ferma all’istanza di diritto naturale. Si focalizza l’attenzione su questioni di giustizia personale e finalismo sociale che dischiudono nuovi ideali che dovranno prendere il posto di quelli vecchi.

In tal guisa, questo rinnovato entusiasmo verso nuovi valori darà successivamente spazio a nuove istanze di riconoscimento di cui Hippel, ovviamente, ignorava gli sviluppi futuri. Sembra interessante chiudere questa riflessione di Hippel riportando un’incisiva definizione di donna che riassume, di fatto, quanto di pervasivo ci può ancora essere a distanza di tanto tempo dall’analisi di Hippel:

“Sono stata disprezzata per il mio sesso,
ammirata o, nonostante tutto,
(quasi) accettata.
Ma resto sempre una donna,
e non sono mai,
semplicemente,
un essere umano”.
Alice Schwarzer

Un perché

Qualcuno potrebbe domandarsi il perché partire dal lavoro svolto da Gabriella Antinolfi che ha raccolto i saggi simmeliani. La realtà è che dal 1890 e fino alla morte l’autore scriverà incessantemente di donne, famiglia, movimenti, del rapporto delle donne con la cultura oggettiva, della differenza sessuale e, contestualmente, scrive di erotismo e della modalità di relazione tra i sessi. Quale nesso sussiste tra questi due oggetti e soprattutto come contribuiscono a chiarire entrambi i diversi piani sociologici, antropologici, filosofici?

Simmel probabilmente tende a cogliere questo nesso esigendo l’adozione di nuovi registri e nuove prospettive. A chi legge, probabilmente, il compito di andare oltre, di compilare un’agenda con quelli che potrebbero essere gli interrogativi dell’oggi partendo dalle riflessioni di quel passato. A Simmel il riconoscimento di non aver voluto tentare previsioni futurologiche.

Riflettiamo però che dieci o vent’anni fa la discriminazione di genere era riferita in maniera implicita alle donne, ora questa discriminazione si estende ad una nuova problematica: l’identità di genere.

La chiave interpretativa di questa lettura è il corpo, ossia quella scatola vulnerabile e mortale che è esposta al giudizio dei terzi. Un corpo che curiamo, tentando di sottrarlo ai segni del tempo, eppure che non ci appartiene mai del tutto proprio perché legato ad una dimensione imprescindibilmente pubblica. Un corpo che è direttamente immerso in un campo politico ove i rapporti di potere operano sullo stesso una presa immediata investendolo, marchiandolo, addestrandolo, costringendolo a lavori, a supplizi, sottoponendolo a dei segni. Dunque siamo circondati da esseri invisibili, soggetti misconosciuti il cui desiderio di corpo non è compiuto. Questa è la condizione traumatica del transgender.

Travestiti, lesbiche, gay, transgender (come già detto quasi come contenitore di tutto) offrono un corpo che scinde il reale (ciò che è) da ciò che è possibile (e dev’essere), così da mettere in discussione la nozione corrente di realtà, creando anche nuovi modi di lettura della stessa. Sembra riduttivo in questi casi parlare di diritti umani di gay, lesbiche o anche più semplicemente delle donne, poiché è quasi del tutto limitativo ipotizzare il ricomprendere o meno tali categorie. A questi corpi si deve concedere di credere che la possibilità, in quanto tale, non costituisce un lusso. Si deve concepire una grammatica che dia spazio alla concezione di nuove forme di genere. È davvero possibile?

 

Gianfranco
©2011 Il Grande Colibrì

One Comment

  • Anonimo ha detto:

    A leggerlo sembra che dite che le donne sono psicologicamente inferiori agli uomini, ms mi sembra impossibile visto che vi leggo sempre e vi stimo moltissimo. Mi sa! che non ho capito niente di questo articolo io!
    Ivan

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