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Conoscere il nome dei propri carcerieri e saperne descrivere la fisionomia può essere rassicurante, può svolgere un’importante funzione nel mantenimento del proprio equilibrio interiore, ma non significa certo essere liberi. Allo stesso modo, la possibilità di scegliere il proprio carceriere tra cento diversi candidati invece che vedersi imposto il proprio padrone sin dalla nascita è una forma di libertà simulata ed effimera.

A partire da queste due osservazioni che appaiono senza dubbio banali, se esplicitate, si possono fare alcune considerazioni sul proliferare di etichette e di definizioni all’interno della comunità LGBTQ*. Sia chiaro sin da subito: qui non si vuole demonizzare di per sé né il numero né l’esistenza di definizioni ed etichette, di cui occorre riconoscere la doppia importante funzione che svolgono per gli individui: permettono di affermare “io sono così”, cioè di manifestare la propria libertà di dirsi; e permettono di affermare “io esisto”, cioè di manifestare la propria libertà di essere. Inoltre, nell’ambito di una comunità che rompe il paradigma binario (maschile VS femminile), dare un nome a realtà diverse dallo schema imposto permette anche, a livello culturale e politico, di ampliare lo spettro di ciò che è possibile fare, immaginare, sperimentare.

Il problema nasce quando la definizione di sé, da strumento per individuare con una linea tracciata sulla sabbia una sorta di “area” all’interno della propria personalità, viene trasformata in un fine e in un confine da delimitare con alte ed inespugnabili mura, che non possano essere valicate né per entrare né per uscire.

Accade così che qualcuno abbia scelto come propria missione quella di compilare lunghi e complicati glossari in cui ammassare definizioni su definizioni, cercando di stabilire confini certi tra le diverse identità e di individuare le più sottili – e a volte del tutto incomprensibili – differenze tra un’etichetta e l’altra. La pretesa spesso non è quella, giustissima, di svelare la complessità per nulla ortodossa del reale, ma quella, paradossale, di imporre una visione ortodossa sulla non ortodossia e di condensare l’incomprimibile complessità della realtà in un linguaggio incomprensibilmente complesso.

In questi glossari, ad esempio, ci viene spiegato, con o senza diplomazia, che un travestito è sempre e solo un feticista sessuale e di conseguenza (?) non può sentirsi, neppure in parte, donna, che una persona con fantasie omosessuali non ha pieno diritto a definirsi eterosessuale, che chi si dice queer senza aver letto tutti i classici dell’omonima teoria è un usurpatore e un modaiolo e lo stesso vale per un pansessuale che – orrore! – si innamori di un uomo virile o di una donna dal seno abbondante…

Troppo spesso ci si sposta dall’enfasi sulla propria libertà di essere e di definirsi, com’era nel magma primordiale e caotico da cui sono nate le nuove parole per dare nome alla diversità sessuale, all’enfasi sull’altrui errore nell’essere e nel definirsi, che caratterizza la furia incasellatrice dei compilatori di glossari. In questo modo, si cerca paradossalmente di sfuggire dalle gabbie dell’iper-semplificato binarismo identitario imposto dalla tradizione (uomo VS donna) sostituendolo con un iper-complicato (ma altrettanto inderogabile) “multinarismo”: i due generi che sono stati nostri arcigni carcerieri per secoli lasciano il posto ad una schiera di secondini dal volto apparentemente buono, ma il tasso di imposizione del sistema non cambia molto…

Sarebbe finalmente ora di abbandonare l’assurda pretesa di creare una tassonomia (cioè una classificazione scientifica) degli orientamenti sessuali e delle identità di genere. La tassonomia è scienza, è conoscenza che cerca leggi e ordine e che tende alla verità. Con l’inchiostro della tassonomia si tracciano steccati da cui non si deve uscire, come fossero prigioni. E la tassonomia non può tollerare, per sua natura, le ambiguità, le appartenenze multiple, le identità borderline, ma cerca di ridurle, di razionalizzarle, di ingabbiare in nuove caselle tutto ciò che sfugge, volente o nolente, allo schema classificatorio. Attività utile se applicata agli animali, alle piante, alle alghe o ai batteri, ma deleteria e autoritaria se applicata agli esseri umani.

 

Pier
©2012 Il Grande Colibrì

27 Comments

  • Anonimo ha detto:

    Caspita quanti paroloni! Mi è venuto il mal di testa a leggere tutto… ahahah concedetemi di smorzare un attimo la serietà dell'argomento.
    Vi racconto in breve una mia piccola esperienza di coming out per farvi capire quanto mi irritino le etichette. Cinque anni fa raccontai ad un'amica che avevo (ed ho tutt'ora) trovato l'amore della mia vita in una donna, la sua risposta fu: "ma quindi sei lesbica! Perciò con gli uomini non funzionava"… mi sentii sinceramente stizzita poichè mi etichettò con tanta faciloneria senza neppure domandarsi e domandarmi se effettivamente lo fossi o no… se devo, necessariamente (?) definirmi sono bisessuale in quanto attratta da uomini e donne ma non amo le etichette proprio perchè condivido il pensiero di Pier. Incasellarsi vuol dire sì riconoscersi ma, spesso e volentieri, diventa una gabbia ed un manifesto per gli altri che vogliono rassicurarsi dandoci un'etichetta.
    Annamaria ^_^

  • mirell*, ora sei tu che vuoi "incasellarmi". anche se si, sono una persona xx di identità di genere maschile.

    Non sono adolescente, faccio attivismo da molti anni. So di avere idee molto diverse dall'attivismo medio GLBT, ma in effetti ho sempre detto di collocarmene al di fuori, e di parlare al mondo etero/cisgender.

    Avevo pubblicato qui il link a "chi sono", sia per te, che per michele benini, ma è sparito. Comunque trovi sul sito alla voce "l'autore", se vuoi sapere di me.

  • mirell* ha detto:

    progetto, ho scritto un adolescente, senza apostrofo, perchè se ho capito bene dal tuo sito che sei ftm

  • mirell* ha detto:

    sono d'accordo: le definizioni sono strumenti e, come la tv, non sono buone o cattive in sè, ma possono essre usate bene o male.
    io sono passat* da molte definizioni, ella ricerca di me: eterosessuale, bisessuale, transgender… ora mi definisco pansessuale e lo faccio con orgoglio.
    progetto, sei molto schematic* nel tuo modo di vedere il mondo , oltre a fare commenti che mi fanno pensare che non hai letto bene questo scritto, che io trovo molto interessante e ponderato.
    ho guardato il tuo sito e mi sembra sempre schematico, ho l'impressione che sei un adolescente e allora credo che sia giusto chiedere a pier e a michele benini un po' di indulgenza, crescendo scoprirai le sfumature del mondo.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      mirell*, credo che in questa discussione ognuno stia esprimendo il proprio punto di vista con passione, ma senza ostilità 🙂 In ogni caso, sono convinto che progettogenderqueer sappia bene quel che dice, anche se non lo condivido del tutto, e che, dunque, meriti attenzione a quello che scrive più che indulgenza.

    • ciao Pier…oggi un mio socio, che ha letto nel mio blog e nel tuo la questione "definirsi", mi parlava di come per lui è stato difficile frequentare, da giovanissimo e "confuso", le associazioni, con tutti che, per anni, lo hanno bombardato chiedendogli "cosa era", quando neanche lui stesso lo sapeva.

      Mi è venuto in mente quello che ci hanno detto due soci etero, una coppia, venendo al milk, dicendoci che, per la prima volta, nessuno gli aveva chiesto "cosa fossero"…e a me è sembrato cosi' naturale…anzi mi sconvolge che altrove (magari in passato) si contino i peli del naso alle persone che arrivano (magari nuove)

      sotto questa ottica, che non poteva essere la mia perchè è qualcosa che, per fortuna, non ho vissuto, condivido pienamente il fatto che non si deve mai chiedere a una persona "cosa" è o fare pressioni in merito, o , addirittura, dire che la persona "mente" a definirsi in un modo… (come ho visto fare verso i bisessuali, spesso, da gay e lesbiche).

      Personalmente io capitai, per puro caso, al milk…dove nessuno mi chiese niente su "cosa" ero. non ho mai saputo cosa succedeva nelle altre associazioni, forse sono stato fortunato…ma quando qualcuno…anche su internet o in contesti politici, attacca con le domande morbose, io lo prendo un po' per il "culo", e non perchè io non voglia definirmi oppure non sappia/possa…ma per farlo riflettere sul suo approccio.
      A parte che una persona dovrebbe chiedermi "chi" sono e non "cosa" sono.

      Ma se qualcuno me lo ha chiesto, io ho risposto "sono un architetto" oppure "sono bassista" o "sono pastafariano" o con altre mille cose che effettivamente fanno parte di me.

      Una volta una persona a me amica (uso queste parole perché è una persona che nell'arco degli anni si è definita un vari modi, da translesbica a travestito a uomo etero a queer), mi disse che alcuni dell'ambiente gaylesbico gli avevano chiesto "cosa ero", perchè "non capivano".
      Ne fui stupito, perchè io definisco me in modo preciso. Ma la cosa che mi divertiva era il fatto che a loro non interessava "se" mi definivo o meno…solo che avevano un "inventario" povero: gay, lesbica, transessuale etero. Tutto il resto "causava loro malditesta", quindi dare una risposta più complessa, anche se precisa, stabile, mai ridiscussa, equivaleva per loro a "non volersi definire".

      Quindi, dopo aver ragionato con questo ragazzo ho capito che nel post c'è qualcosa di fondato.

      L'unica cosa che posso dire è che io stesso per anni non capivo cosa ero o se esistessero altri come me perché non conoscevo il "nome" di cio' che io ero, nè conoscevo altri come me, nè potevo raggiungerli non sapendo come si chiamasse cio' che ero, neanche informaticamente.
      Il primo "ftm" che vidi lo vidi al liceo, nel 99, quando Ada DeUsanio invità "antonio che prima era antonella", ma senza usare termini come transessuale o ftm.
      L'indomani andai a scuola a chiedere a un mio professore, gay e illuminato, se fosse possibile!!! Lui mi rispose che lo riteneva improbabile, e ricaddi nella solitudine.

      Un anno dopo vidi "tutto su mia madre": vidi li le translesbiche. la cosa mi sorprese molto, perchè avevo capito che orientamento sessuale e identità di genere erano indipendenti. Ma non sapevo che il fenomeno si chiamasse translesbismo.

      Negli anni internet si fece molto piu' fine e completo, e potetti trovare persone simili a me, anche se a fatica…

      Ancora adesso parlo con persone come me soprattutto tramite liste "supersegrete", piene di persone che non si definiscono per quello che sono, e quindi il silenzio cade sulla mia condizione, e c'è isolamento e solitudine.

      Spero, nel mio piccolo, con la mia visibilità, di poter aiutare qualcuno, anche se so di essere una goccia infinitesima in un grande mare.

    • Michele Benini ha detto:

      Ma anche se definisci tutto, quando uno ti chiede come sei (che è comunque un brutto modo davvero di relazionarsi, su questo mi pare siamo tutti d'accordo almeno) e tu rispondi "sono pansessuale", la domanda successiva è "cioè?". Come dire, secondo me, che la definizione di tutto, di per sé, non sembra risolvere alcunché né può arrivare a tutto.
      Poi comunque qui non si contestavano le definizioni, pienamente legittime: ma il diventarne prigionieri, il dire ad altri che si sbaglia se non si sta in quelle definizioni, come se ci fosse una regola d'obbedienza ad esse.

    • Si, michele. quando io nomino qualcosa che la gente non conosce, la domanda dopo è "cioè?"
      In anni sono diventato molto esperto a spiegare che
      – identità di genere e orientamento sessuale sono indipendenti, quindi, EBBENE SI, esistono persone xx trans attratte da uomini e persone xy trans attratte da donne!
      – ci sono persone trans che non transizionano
      – alcune persone non sono attratte solo da azzurro o solo da rosa, ed esistono davvero!
      e cosi via…

      A volte una cosa non è che non la si capisce…solo che si vuole far finta che non esista…

    • Michele Benini ha detto:

      Scusa la franchezza ma anche a me sembra che tu faccia finta che la critica sia rivolta alle definizioni e non alla rigidità nell'usarle, però.

    • si ma i vari "glossari" semplicemente le riportano, mica dicono che non esista nulla al di fuori

  • Marco Calliero ha detto:

    Caro Pier, io non riesco a riconoscere il problema che tu esponi come un vero problema. Il glossario di cui tu parli contiene una serie di modelli, di tracce tra quale ogni individuo può tentare di individuare quello che gli calza meglio addosso. Raramente credo qualcuno si troverà "totalmente" a suo agio in questa o quella tra le definizioni. Questo perché la natura è descrivibile solo attraverso una sua interpretazione, che mai sarà la realtà in assoluto. Quindi non c'è il minimo pericolo di trovarsi ingabbiati in questa oppure in quella definizione. Detto in altro modo, ogni carattere descritto più che confinare "sconfina" con quelli che gli stanno vicini, e ne è addirittura intimamente influenzato. Spesso poi una definizione è solo un aspetto del carattere di una persona, e si combina con altre definizioni per comporre una personalità completa e, dunque, complessa. E dev'essere per forza così, non c'è solo il bianco oppure il nero. Quindi dove sarebbero le "inespugnabili mura" di cui tu parli? piuttosto ci sono analogie, somiglianze, rapporti e influenze, questo c'è. Ogni lemma di una lingua viene descritto con sfumature diverse da dizionario a dizionario, ancora di più se lo confronti rispetto a lingue diverse, allora dove sarebbe il muro? Non credo proprio che l'interesse alla tassonomia scaturisca dalla volontà recondita di conoscere il nome dei propri "carcerieri" (ma perché poi si dovrebbe essere talmente autolesionisti?), piuttosto sia la necessità di avere una coscienza lucida e completa rispetto alle caratteristiche dalla propria mente e alle dinamiche di questa con le altre (parliamo cioè di dinamiche interne e relazionali). Che male c'è in tutto ciò? Io credo che conoscere le leggi che regolano la personalità degli individui sia il miglior modo per acquisire libertà, non per reprimerla. Il diritto alla libertà si conquista conoscendo, non ignorando. La voglia di sapere è sempre positiva, ed è fonte di vantaggio per tutti. Gli eventi della storia sono i testimoni migliori di questo. Poi guarda, è vecchia come l'umanità stessa la voglia/necessità di autodefinirsi, più ci evolviamo più diventano precise le definizioni, e -d'accordo- sottili le differenze, bada sottili, non incomprensibili. Piuttosto mi chiedo perché tu veda un problema dove non c'è. Con l'esperienza dei miei anni ho imparato che una definizione (non chiamarla etichetta per favore) tanto più piace a chi ha la onestà intellettuale di metterla a confronto con la propria realtà, quanto più non piace a chi ha paura di mettersi allo specchio e accettare quello che vede. Scegli tu da che parte stare.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Marco, fai molte osservazioni che condivido e su cui, infatti, non mi sembra di aver scritto nulla di diverso. Mi concentrerò sui punti sui quali non concordo.

      Forse l'etimologia aiuta a capire di più: "definire" indica significativamente l'atto di mettere limiti, porre confini (da questo punto di vista "etichetta" è più adatto a indicare qualcosa di intrinsecamente culturale e di non definitivo). E' un atto che in sé limita e non libera, ma è anche un atto fondamentale per ogni essere umano: è un processo di cui non possiamo fare a meno per rapportarci con la realtà, per crerla, per percepirla e comunicarla.

      Per questo il definire non può essere demonizzato: è uno strumento essenziale, che però, come ogni strumento, dovrebbe essere utilizzato nel migliore dei modi. Quello da te accennato è, in buona parte, un modo che mi sembra corretto e su cui, infatti, non ho nulla da eccepire: infatti non mi sembra che questo modo ipotizzi l'esistenza di "definizioni sbagliate" o imponga un giudice che decida che non puoi definirti come vuoi definirti perché la definizione del suo glossario è diversa – e se perseveri sei una persona irrisolta, problematica, codarda, un handicappato identitario (e uso qui un termine che certo non appartiene al mio modo di ragionare, ma che credo non venga usato in certi ragionamenti solo per questioni di diplomazia).

      A quanto mi sembra, però, sostieni che un modo di utilizzare le definizioni in senso impositivo non sia possibile (tralascio il "scegli tu da che parte stare", che pure mi sembra alquanto impositivo e in contraddizione con "non c'è solo il bianco oppure il nero"): "non c'è il minimo pericolo di trovarsi ingabbiati in questa oppure in quella definizione", perché "la natura è descrivibile solo attraverso una sua interpretazione". Da un lato, però, non si capisce perché smontare e contrastare alcune definizioni ("uomo/donna" o "handicappato", per fare solo alcuni esempi lampanti), se le definizioni non possono essere gabbie; dall'altro, se la natura è descrivibile solo attraverso la sua interpretazione, bisogna riconoscere che non è data interpretazione senza linguaggio, e senza definizioni: queste ultime, anzi, fondano il nostro modo di percepire/costruire la realtà. Quindi dire che "la natura è descrivibile solo attraverso una sua interpretazione" dovrebbe portarci non a sminuire, ma anzi ad enfatizzare il potere delle definizioni e a invocare maggiore attenzione nel maneggiarle.

    • Marco Calliero ha detto:

      Pier, "scegli tu da che parte stare" non era per nulla impositivo, infatti ti dava un'alternativa (la stessa alternativa che tu approvi, ad esempio, tra l'assere "solamente" uomo o donna). Ma sei liberissimo di includere una tua alternativa a quella del "non mi piace" descritta da me. Quella è la "mia" esperienza, e non è detto che valga per tutti gli altri ovviamente, quindi per nulla impositiva come vedi. Io detesto fare da arbitro a chicchesia, solo voglio essere "libero" di pensare nei termini che siano più utili ad una mia coscienza, soddisfazione, arricchimento. Ma non mi arricchirò mai con un glossario di soli tre lemmi, o con un vocabolario con tre sole parole, non servirebbe a niente e a nessuno. In fondo se quel glossario ti da così fastidio, non leggerlo e risolvi il problema, Ok?

    • Michele Benini ha detto:

      Mi sembra che si stia dicendo un po' tutti la stessa cosa. Solo che qualcuno (non tu Marco, non Pier certamente) dice anche che chi non si riconosce nelle definizioni date è in errore, o è vittima di insicurezza, o è schiavo di una moda: l'articolo era sostanzialmente contro questa visione, che ha un po' di sapore impositivo, mi pare. O no?

    • Michele, vedi…anche tu…ci sono tre persone, A B C,
      e al posto di dire "mi riferisco a C" dici "alcune persone, non B, non A"…
      vedi…è proprio questo che non mi piace…il non dire mai le cose come stanno.

      Nella mia esperienza ho spesso trovato che le persone che "non volevano definirsi" spesso riconducevano alla semantica un problema di contenuto.
      Altre invece rifiutavano definizioni imposte e riduttive, ma ne proponevano altre, o argomentavano.

      Te lo dico perché questo mondo è pieno di gay, lesbiche e qualche transessuale che tali si definiscono. Tutti coloro a cui corrisponderebbero definizioni "meno amate" (ancor meno di gay e lesbica), fanno fatica a usarli su se stessi.
      E cosi' il bisessuale "semplifica" definendosi gay o etero, ben conscio del pregiudizio esistente sulla bisessualità.
      Un transessuale/trans preferira' termini soft perchè questi termini ricordano la prostituzione ai più…
      E infine una persona non in transizione preferirà "non definirsi", perchè verrebbe sommersa da domande sul perchè non transiziona se ha una disforia di genere etc etc etc.
      Questa gente, non definendosi, rende la propria condizione invisibile….con tanti rischi connessi:
      – chi è come lui non trova riferimenti
      – non si fa informazione sull'argomento
      – non si portano avanti istanze politiche
      – la gente sarà sempre stupita e diffidente su persone di questo tipo, perché nessuno si espone.

      questo è quello che penso, ai posteri l'ardua sentenza.

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      progettogenderqueer, nessuno ha messo in discussione la libertà di definirsi né l'utilità di proporre (in modo non impositivo) nuove definizioni ed etichette.Il problema nasce quando la giustezza e coerenza del proprio sistema classificatorio diventa prioritaria rispetto all'altrui libertà di definirsi (o non definirsi).

    • Michele Benini ha detto:

      Caro Progetto (spero sia il nome, non so), avevo citato nomi di persone mentre sono sempre in difficoltà a citare sigle o gruppi: davo anche per scontato che nel progetto ci fossero almeno due persone, ma ora che so che sei tu ti citerò, sperando di farti cosa gradita…
      Alla fine non fai comunque che dimostrare come la critica di Pier abbia ragion d'essere. Poi, ovviamente, la sua critica può non essere condivisibile (e ci mancherebbe). Ma è questa necessità di stabilire "giusto" e "sbagliato" (anche per questa faccenda) che io trovo un po' inquietante. Fatta salva la tua piena libertà di fare quel che ti pare, naturalmente.

    • ciao, mi chiamo Nath, sul mio blog alla voce "l'autore" trovi tutto di me, e ovviamente "progetto" non è il mio nome.

    • Michele Benini ha detto:

      sì, sospettavo che fosse possibile ritrovare il tuo vero nome, ma non essendo un assiduo frequentatore di blog, apprezzo sempre molto chi mette il proprio nome nei messaggi. tutto qui.

    • ma non è che io qui uso un nome "finto", solo che mi chiede come voglio postare, se con account google o account wordpress, e il mio account si chiama appunto come il blog: progettogenderqueer.

      Sulla voce "autore" del mio blog c'è davvero tutto. pure la data di nascita e dove ho fatto le elementari.
      Scrivo spesso delle discriminazioni interne al mondo GLBT e similari.

    • Michele Benini ha detto:

      non ti accusavo affatto di usare un nome finto, ma aggiungere un nome alla fine del commento lo puoi fare anche se usi un account (io non lo faccio perché uso un account che corrisponde al mio nome); comunque mi spiace se mi sono spiegato male

    • Purtroppo con l'account wordpress hai alcuni handicap. ad esempio non puoi eliminare e modificare i commenti..che palle..
      comunque in un delirio di onnipotenza credevo di essere noto ahaha

  • Sto solo dicendo che la maggior parte dei "Non voglio etichette" che ho conosciuto rifiutavano la definizione (significante) ma anche la realtà dei fatti (significato).

  • Preferisco la parola definizione alla parola "etichetta", che spesso ho sentito da persone fragili che avevano paura di darsi un nome.

    Tante persone, proprio per incapacità di autoanalisi, autocritica, introspezione, si sono date per anni un'etichetta sbagliata, e non avevano voglia e coraggio per cambiare vita.
    Spesso neanche sapevano che esistessero altre definizioni per descriverli, e quando l'hanno saputo è stato qualcosa d rivoluzionario.

    Tra i servizi che cerco di dare col mio blog, ci sono anche le definizioni. Il queerzionario è stato il progetto più che altro del primo anno di vita del blog. Ora mi occupo di articoli più discorsivi. Anche le statistiche inerenti a chi clicca da google dimostrano che c'è gente che cerca queste parole per capire cosa significhino e se siano opportune a definirli, e che si tratta di persone spesso esterne alla comunità GLBT.

    Nel grande marasma di persone "T", che hanno un grado variabile di disforia di ruolo o di identità di genere, ho trovato molte persone che, non essendo in transizione, avevano conosciuto dei termini alternativi a "trans" che li descrivessero.
    Coloro che erano xx si definivano "genderbender, genderrebel, genderqueer…" e coloro che erano xy si definivano "crossdresser, travestito…".
    Eppure si trattava della medesima condizione. Persone disforiche non o non ancora in transizione. ma a seconda degli ambienti frequentati avevano imparato termini diversi…talvolta vicini alle battaglie di ruolo, talvolta vicino alle parafilie (uso questo termine in modo neutro, come composto dal greco).

    Non ho mai sentito le definizioni come prigioni, e non penso che esista una definizione per tutti o per tutto, o comunque spesso una definizione non ci accompagna per tutta la vita…ma ho sempre avuto il sospetto che le persone che insistono a non definirsi raramente siano degli idealisti anarchici…spesso sono persone insicure di cio' che sono…e non del nome che ha cio' che sono.

    • Michele Benini ha detto:

      cioè se a te piace incasellare ogni cosa, chi non lo fa è per forza un insicuro e non semplicemente uno a cui le caselline non interessano, giusto?

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      progettogenderqueer, concordo sul fatto che "scoprire" una nuova definizione possa avere effetti positivi, e infatti è quello che ho scritto nei primi paragrafi dell'articolo. Concordo anche che le definizioni possano non essere prigioni, se utilizzate con "leggerezza". Eppure quando iniziamo a ragionare di "definizioni sbagliate" e "definizioni giuste", quando pretendiamo di porre noi rimedio alla presunta altrui "incapacità di autoanalisi, autocritica, introspezione" o quando sospettiamo di insicurezza (o, peggio, di moda o convenienza) l'altrui fuga dalle etichette… siamo sicuri che il nostro tasso di imposizione non sia eccessivo? Siamo sicuri che non stiamo trasformando le definizioni in prigioni, dal momento che determiniamo noi gli spazi all'interno dei quali gli altri devono vivere? Siamo sicuri che non stiamo ripescando quei concetti di sbaglio, errore, insicurezza, debolezza, disordine, ecc… tipici del sistema autoritario dell'ortodossia binaria?

    • Ho conosciuto persone T in direzione FtoM che per anni sono state convinte di essere butch perché avevano conosciuto solo e soltanto ambienti lesbici femministi che castravano il loro spontaneo uso del maschile per parlare di se stessi…

      Ho conosciuto persone che si definivano "travestiti" e frequentavano forum di fetish perché non sapevano che una persona non in transizione puo' comunque definirsi transgender

      Ho conosciuto persone nate maschio ma attratte da donne, nate femmine ma attratte da uomini e comunque con "disforia di genere": pensavano che non si potesse essere trans se non provenienti dalla condizione uomo gay/donna lesbica.

      ho conosciuto persone bisessuali che non s definivano o consideravano tali perché convinte dal movimento che "i bisessuali non esistono".

      ho conosciuto uomini sicuri del fatto che il loro desiderio di essere penetrati dalle compagne li rendesse "gay" o "bisessuali" perché gli era stato detto cosi'.

      Queste persone avevano un'idea sbagliata di se stesse per via della scarsa informazione, non solo delle definizioni (significanti) ma anche delle condizioni (significati), erano confuse, nervose e infelici. E si puo' dire che , si, erano definizioni sbagliate, senza ombra di dubbio.

      Per me la vera prigione è non comprendersi per via della scarsa informazione. Se i glossari e i blog informativi possono aiutare in questo, ben venga.

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