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Non fa primavera né una rondine né una showgirl. Jin Xing, la “Raffaella Carrà” cinese che raccoglie 100 milioni di telespettatori ogni settimana, è una donna nata in un corpo maschile, ha affrontato la riassegnazione chirurgica del sesso (quella che viene chiamata impropriamente “operazione per cambiare sesso”) nel 1995, dopo una sfolgorante carriera come ballerino e soldato, e ha adottato tre bambini [Hollywood Reporter]. La sua storia, però, rappresenta un’eccezione: le persone transgender sono ancora fortemente discriminate in tutto il paese.

Sono fortemente discriminate anche a Hong Kong, un territorio autonomo in generale più aperto e meno tradizionalista rispetto al resto della nazione. Ha suscitato scandalo, per esempio, la scoperta di quello che avviene nelle carceri della metropoli: le trans MtF (dal maschile al femminile) accusate di qualsiasi reato sono rinchiuse d’ufficio in centri psichiatrici di massima sicurezza, rasate a forza e abusate fisicamente e verbalmente. Inoltre non possono continuare i propri trattamenti ormonali [South China Morning Post].

Anche fuori dalle prigioni le cose non vanno molto bene, per problemi che purtroppo conosciamo bene anche in Italia: secondo le denunce degli attivisti, spesso il personale medico non è preparato a relazionarsi con persone transgender, che comunque prima della riassegnazione chirurgica del sesso devono affrontare esami psicologici che richiedono molto tempo (circa due anni) [South China Morning Post].

Qualcosa, a dire il vero, si muove anche a Hong Kong: per esempio, nel 2013 una transessuale che aveva completato il processo di transizione ha ottenuto l’importante riconoscimento del diritto a sposarsi con il proprio compagno.

Comunque le cose migliorano più velocemente per lesbiche e gay, almeno dal punto di vista dell’accettazione sociale: secondo un recente studio dell’Università cinese di Hong Kong, il 64% di chi abita il territorio è d’accordo sul diritto delle persone omosessuali a reclamare le ceneri del partner dopo la sua morte e il 54% su quello di ricevere informazioni sulla salute del partner dai medici. Si esprime contro queste ipotesi rispettivamente solo il 10% e il 20% delle persone intervistate [South China Morning Post].

La sessualità rimane però un grande tabù, come ricorda il movimento LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) locale, e perciò queste aperture restano opinioni personali difficilmente espresse in pubblico. In questo modo il governo può rifiutarsi di riformare le leggi con la scusa di non avere un mandato popolare per cambiare la situazione.

Il risultato è che a Hong Kong le persone dello stesso sesso non possono ancora né sposarsi né unirsi civilmente e le autorità non riconoscono i matrimoni omosessuali celebrati all’estero e non concedono visti e permessi di soggiorno ai partner stranieri delle lesbiche e dei gay che risiedono nella metropoli.

Insomma, sul fronte dei diritti delle persone LGBTQI c’è qualche segnale di disgelo, ma il territorio autonomo è ormai più vicino all’inverno cinese che alla primavera che nel frattempo si è sviluppata nel Regno Unito dai tempi in cui Hong Kong era una colonia britannica.

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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