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Amatevi reciprocamente,
ma non fate dell’amore un laccio:
Lasciate piuttosto che vi sia un mare in moto
tra le sponde delle vostre anime
Jibran Khalil Jibran, libanese (1883-1931)

Era bello e gentile e nelle sue tasche tintinnavano sempre monete d’oro, ma Izzat Baig aveva un gravissimo difetto. Lula, ricco vasaio di Gujrat, nel Punjab, lo aveva sempre sinceramente apprezzato, ma quando sua figlia Sohni gli disse di essersi innamorata di quel giovane, Lula non riuscì a pensare ad altro che a quella sua unica, irreparabile colpa: era uzbeko, quindi straniero. E così Lula diede in sposa Sohni a un altro vasaio della città.

Ma l’amore vero è raro nell’accendersi e difficile nello spegnersi e non bastano certo i canti e i balli di un matrimonio per creare o per distruggere l’unione tra due anime e l’hennè disegna intricati legami sulle mani degli sposi, ma non nei loro cuori. Così Izzat Baig andò a vivere sulla sponda opposta del corso d’acqua lungo il quale sorgeva la casa di Sonhi e la fanciulla, tutte le notti, sfidava le onde, il buio e la famiglia per attraversare quel fiume su una giara di terracotta capovolta…

Il Chenab, il fiume di Gujrat, è probabilmente l’immagine migliore per rappresentare l’amore tra persone di culture differenti. Tutti i fiumi hanno un’anima contrastante: spezzano la terra in due come immense ferite e al tempo stesso invocano unità, supplicano ponti, benedicono traghettatori; scorrono indifferenti alla vita che li circonda e insieme rendono possibile la vita intorno ad essi; offrono ai viaggiatori stanchi grandi ostacoli e contemporaneamente placano la loro sete di acqua e di bellezza.

Ogni fiume ha quest’anima contrastante, ma il Chenab più di tutti, perché solo il Chenab ha accompagnato ogni notte una giara di terracotta capovolta, sulla quale l’amore rese Sohni straniera alla propria stessa casa.

Ma avete mai contato le schiere di principi che hanno attraversato foreste sterminate e montagne altissime pur di arrivare a svegliare e sposare le loro principesse, le flotte di Tristani e Isotte sballottate da mari in tempesta, le folle di espatriati americani e di profughe norvegesi conosciutesi in qualche locale marocchino (e suonala ancora, Sam…)? Davvero credete che sia un caso se così tante tra le storie d’amore più belle sono anche storie di viaggi e di viaggiatori?

E vi siete mai spiegati perché per trovare Dio sono partiti in tre, mentre per trovare l’Amore sono partiti in migliaia (e suonala ancora, Sam, per noi che non abbiamo neppure avuto bisogno di una stella da seguire…)?

Sono solo romanticherie, dirà qualcuno. E io aggiungo che le romanticherie non sono la parte più bella dell’amore, di nessun amore. Parliamo dei problemi che possono nascere all’interno di una “coppia mista”, allora, perché quando amici e parenti indovinano che hai invitato a cena un uomo o una donna di un’altra cultura o etnia non pensano a Sohni, non ricordano Tristano, non sentono che Sam la sta ancora suonando quella benedetta canzone: pensano ai possibili problemi, alle probabili avversità, alle ineluttabili sciagure.

La difficoltà più evidente per una coppia composta da persone di diversa provenienza è quella di mettere in comunicazione e in equilibrio universi culturali differenti. Non si tratta solo di adattare reciprocamente abitudini, usi e costumi: conoscere e riconoscere l’universo culturale dell’altro significa soprattutto essere disponibili a rimettere in discussione l’alfabeto stesso della propria esistenza, la grammatica stessa della realtà, per riscrivere una nuova lingua fatta su misura della coppia.

Tutto ciò non è affatto banale. In particolare, non tutti possono essere pronti a mettere in discussione i sentimenti e la loro espressione, dal momento che costituiscono l’aspetto più intimo della nostra esistenza, la parte di noi che ci sembra più naturale e spontanea, sulla quale, di conseguenza, è più difficile riconoscere anche solo l’eventualità teorica che possano esistere differenti interpretazioni culturali.

Eppure, per dare vita a una solida “coppia mista”, è inevitabile rinunciare al proprio modo di concepire l’amore per costruire insieme all’amato un nuovo concetto di amore su misura della coppia. In altre parole, occorre porre la persona amata al di sopra di ogni cosa, persino dell’amore. E questa, a pensarci bene, è cosa molto più rara di quel che può sembrare…

Di fronte a questo ribaltamento, a questo amore che è pronto a essere completamente fuso per essere travasato in nuovi stampi, la rinuncia ai pregiudizi che dividono culture e etnie appare piccola cosa. Eppure gli stereotipi razziali, nati in buona o in cattiva fede, maligni o benigni (abbiamo già analizzato approfonditamente i principali pregiudizi etnici in ambito omosessuale in un recente articolo), sono grandi ostacoli nella costruzione di qualsiasi rapporto interpersonale, figurarsi quindi quali danni possono fare ad una storia d’amore…

Ovviamente nessuno è immune da stereotipi e pregiudizi, che in forme moderate e flessibili sono anzi strumenti utili alla mente umana per affrontare l’eccessiva complessità della realtà. Nessuno scandalo allora se all’interno di una coppia mista emergono ogni tanto idee preconcette e sbagliate sulla cultura del partner: con la giusta dose di pazienza, di modestia nel riconoscere l’errore e, possibilmente, di ironia, ogni incomprensione può essere superata per diventare perfino un’interessante occasione di confronto.

Ma non si devono affrontare solo gli stereotipi interni alla coppia: amici e parenti sono sempre pronti a portarne di nuovi e a porre in dubbio le basi stesse di un rapporto “interraziale” (come se quest’ultimo non fosse comunque, prima di tutto, un rapporto tra due persone…). Simone, ad esempio, racconta: “Ho sempre avuto un debole per i ragazzi neri, arabi e mediorientali. I miei amici mi prendono in giro, dicono che li cerco solo perché sono molto dotati, ma non è assolutamente vero, lo trovo offensivo sia verso di me che verso i ragazzi che frequento: sono persone, non sono organi sessuali ambulanti!”.

C’è persino chi, pur essendo dichiaratamente gay, nasconde la propria relazione con un ragazzo immigrato per paura delle incomprensioni: “Quando uscivamo in compagnia, il mio ex diceva sempre che ero un suo amico, non mi presentava mai come il suo ragazzo. E quando alcuni dei suoi amici gay ogni tanto se ne uscivano con qualche battuta razzista lui non diceva nulla” ricorda Mamadou. La loro storia è naufragata: “Io non mi sentivo voluto e protetto, ma se mi lamentavo lui diceva che neppure io lo avevo presentato come mio ragazzo ai miei genitori. Ma io rischiavo di venire perseguitato, lui no!”.

Inutile negarlo: gli amori tra persone di culture differenti non sono per tutti. Bisogna mettere l’amato prima dell’amore, prima dei pregiudizi, prima delle inevitabili incomprensioni, prima delle mille difficoltà che una “coppia mista” si trova spesso ad affrontare (ha i documenti in regola? si fida davvero di uno straniero? come gestire la diversità di capacità economiche? come rapportarmi alla mia comunità religiosa ed etnica?…). Il Chenab è un fiume largo, potente, spaventoso quando straripa. Meglio non provare neppure ad attraversarlo, vero?

E invece no, ci sono quattro ottimi motivi per salire su una giara di terracotta capovolta e affrontare il buio, le onde e la famiglia.

Il primo motivo è la curiosità. Il Chenab non ci rassicura come il canale sotto casa, che conosciamo così bene, però ci offre ad ogni ansa nuovi paesaggi mai visti primi, incredibili sorprese. La fase della scoperta dell’altro, così emozionante all’inizio di ogni storia d’amore, per una coppia mista può diventare un viaggio lungo una vita.

L’estraneità, termine aspro già nel suono, spesso genera paura e insicurezza, ma attraverso la curiosità si può trasformare in un pregio e, paradossalmente, in un elemento che avvicina e accomuna, come racconta Simone: “E’ che io mi sono sempre sentito fuori dal mondo in cui vivo. Con gente che viene da altre parti del mondo sento di condividere un sentimento di estraneità e quindi mi sento più facilmente a casa”.

Il secondo motivo è la costruttività. Ogni ostacolo superato, ogni incomprensione chiarita, ogni distanza colmata è un possente ponte di pietra gettato da una riva all’altra del Chenab capace di resistere alle tempeste più violente, ai monsoni più devastanti. Nell’amore, ogni difficoltà è una irripetibile occasione: risolvendola, si cementifica il rapporto. Le cicatrici sono racconti non di ferite, ma di guarigioni.

Il terzo motivo è la complementarietà. La differenza è necessaria in una coppia, come ricordano a sproposito gli avversari dell’amore omosessuale (i quali non capiscono che la differenza può basarsi sui generi tanto quanto sulle culture, sulle sensibilità e su tanti altri aspetti). L’amore non può essere una piatta pianura in cui i confini tra i campi si confondono tra loro. L’amore è un mare in moto, un Chenab che spacca la terra, la divide con violenza e sfida gli uomini ad affrontare le sue onde imbizzarrite. L’amore non è unità, è continua, straziante ricerca di unità.

Il quarto motivo è lui, Izzat Baig, colui che ha in custodia il tuo cuore: è lì che ti aspetta sull’altra riva del Chenab e no, non puoi mica lasciarlo solo…

Pier Cesare Notaro
con il contributo di QuNo
©2011 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì

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