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Lo dice persino il Catechismo della Chiesa cattolica: “Dio non è a immagine dell’uomo. Egli non è né uomo né donna. Dio è puro spirito, e in lui, perciò, non c’è spazio per le differenze di sesso”. Eppure nella maggioranza delle rappresentazioni artistiche la divinità continua a essere rappresentata come maschile. Ben poche volte l’Onnipotente assume fattezze femminili, di solito a fini satirici o in chiave iconoclasta. Ma soprattutto è il modo in cui si parla di Dio e si prega Dio che identifica il “puro spirito” in una carnalità maschile: appunto Dio, e mai Dea, e poi il Signore, il Padre e il Padreterno, l’Altissimo e il Creatore…

La Modern Church, chiesa assai liberale, aveva già notato come riferirsi alla divinità utilizzando un linguaggio maschile sia un meccanismo sessista “dannoso e umiliante per le donne come figlie di Dio a pari titolo degli uomini”. Ora è il college per sacerdoti anglicani Wycliffe Hall dell’Università di Oxford a prendere posizione, con un documento che spiega: “Il maschile patriarcale è diventato una forma di alienazione per molte donne e anche per molti uomini” [The Times].

Per questo il college invita a leggere la Bibbia nella “Today’s New International Version” (Nuova traduzione internazionale di oggi), che utilizza un linguaggio gender-neutral, e propone alcune scelte linguistiche per evitare di indicare il genere quando non dovrebbe essere attribuito. Così non ci riferirà a Dio come “He” (Egli), ma come “the one who” (l’essere unico che) e il gruppo delle persone fedeli non sarà più indicato come “sons of God” (figli di Dio), ma come “children of God” (prole di Dio).

Come già emerge chiaramente dai nostri tentativi di traduzione, le proposte della Wycliffe Hall sono difficili da applicare in italiano, una lingua che ribadisce il genere dell’oggetto del discorso più e più volte, nelle desinenze, negli articoli, negli aggettivi. Eppure anche in italiano sarebbe interessante una riflessione profonda sull’uso del maschile quando si parla di o con Dio – o dovremmo scrivere “Di*”?

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

Aggiornamento del 24 gennaio. Wycliffe Hall ha pubblicato la seguente nota: “Un articolo del Sunday Times (22 gennaio 2017), portato alla nostra attenzione, suggerisce che la ‘politica linguistica inclusiva’ di Wycliffe Hall raccomandi al personale e agli studenti di non riferirsi a Dio come ‘Egli’, ma come ‘l’essere unico che’. Non è così. Sì, il linguaggio inclusivo è incoraggiato a Wycliffe Hall nelle nostre preghiere e nei nostri testi quando descriviamo persone (non ‘uomo’, ‘uomini’, ‘ogni uomo’, ma ‘esseri umani’, ‘umanità’, ‘ogni persona’). Per questo si richiede un’attenta riflessione quando si usano vecchi testi liturgici, inni o traduzioni bibliche, in modo da includere l’intero popolo di Dio. Questo è senso comune e pratica comune in tutte le chiese. Ma non si suggerisce di alterare in alcun modo il genere dei pronomi tradizionalmente attribuiti a Dio. Infatti la politica di Hall riafferma che dovremmo continuare a parlare di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo, come i cristiani hanno sempre fatto”.

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