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Ora anche in Australia un imam ha dichiarato pubblicamente la propria omosessualità: non è famoso come l’algerino Ludovic-Mohamed Zahed [Il Grande Colibrì] o l’americano Daayiee Abdullah [Il Grande Colibrì], ma anche Nur Warsame sta facendo parlare di sé. Il religioso, di origini somale, si è raccontato a SBS: “Riconciliare la spiritualità con la sessualità è un percorso molto difficile. Devi proteggere il nome dalle tua famiglia, della tua comunità di origine. Nel mondo musulmano o nelle comunità islamiche è difficile fare coming out perché c’è troppo da perdere e da rischiare: rischi persino la vita, perché secondo una scuola di pensiero islamico conservatrice l’omosessualità si affronta con l’omicidio”. Il gesto di Warsame è stato apprezzato soprattutto dai giovani musulmani omosessuali, sempre più visibili e desiderosi di riconoscimento, come la laburista Sophie Ismail.

ARABIA SAUDITA: “NON PUNIRE I GAY”

Ma chi sta facendo davvero parlare di sé in questi giorni è Salman Al-Ouda, uno dei più celebri telepredicatori islamici, con milioni di follower sui social network: lo studioso salafita, in due interviste a SVT e Sydsvenskan, ha ribadito che i rapporti omosessuali sono peccaminosi, ma ha aggiunto alcuni commenti sorprendenti per un personaggio vicino al governo saudita: non solo il Corano e la Sunna non giustificherebbero la punizione terrena di gay e lesbiche, ma soprattutto gli omosessuali sono da considerarsi a tutti gli effetti musulmani. “L’islam dà alle persone la libertà di pensare, credere e agire come vogliono. E’ nella vita ultraterrena che bisogna rendere conto” ha dichiarato Al-Ouda.

Sul web si è subito scatenato il dibattito su questa presa di posizione, con commenti favorevoli e altri contrari. E qualcuno ha fatto notare che le parole di Al-Ouda potrebbero essere una risposta alla lettera che un gruppo di parlamentari statunitensi, sia democratici sia repubblicani, ha scritto all’ambasciatore di Riyad negli USA per condannare “l’uso della tortura e della pena di morte contro la comunità LGBTQ” (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer) [House of Representatives] dopo che si è diffusa la notizia che in Arabia Saudita potrebbero essere condannate a morte persino le persone omosessuali che osino semplicemente fare coming out [Il Grande Colibrì].

TUNISIA: “UCCIDERE GLI OMOSESSUALI”

In ogni caso le parole di Al-Ouda suonano molto lontane da quelle di Fethi Rebai, un imam di Sfax, in Tunisia, che durante una predica ha assicurato che il Corano imporrebbe di uccidere gli omosessuali gettandoli da luoghi alti e lapidandoli. L’imam ha persino ironizzato su chi lo avrebbe potuto definire un seguace di Daesh (acronimo arabo dell’ISIS) o un criminale [Business News], ma poi, quando il video della predica ha fatto il giro del web ed è stato sommerso di critiche e di commenti sarcastici, ha cercato di dare una smentita tanto sconclusionata quanto imbarazzante [Shems FM]. Pur nella sta gravità, la vicenda dimostra anche quanto in Tunisia stia diventando più difficile essere esplicitamente omofobi.

Rimane comunque decisamente più difficile essere gay, come ci ricordano purtroppo tanti fatti recenti [Il Grande Colibrì] e l’ultimo caso di aggressione: a Hammamet tre uomini hanno assalito per strada Bouhdid Belhedi, un attivista dell’associazione LGBTQI Shams (Sole), ma per fortuna alcuni passanti sono intervenuti per difendere il giovane aggredito [76 Crimes]. E purtroppo altre violenze si registrano anche in Marocco: a Meknes una persona di sesso maschile in abiti femminili ha subito spintoni e schiaffi, come mostra un video pubblicato online. Anche in questo caso, però, i passanti sono intervenuti a difesa della vittima.

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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