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Mentre la Francia completa con l’ultimo passaggio l’approvazione del matrimonio omosessuale (Libération), in alcuni continenti, come Africa e Asia, e in quasi tutti gli stati che li compongono l’argomento resta un tabù assoluto perché, al di là della questione delle nozze, è proprio dell’omosessualità che non si deve e non si può parlare. Ma se talora, come accade in Thailandia e Vietnam, l’argomento diventa comunque d’attualità e la discussione comincia ad essere portata avanti (Il grande colibrì), resistono luoghi refrattari ad ogni apertura e con una popolazione apparentemente indifferente al tema.

L’apparenza, però, nasconde spesso sommovimenti, più o meno grandi, e realtà che si immaginano a fatica perché abilmente celate: è il caso della Cina, dove pochi giorni fa una coppia di lesbiche che si amano ha messo in scena una simpatica, nonviolenta e, soprattutto, coraggiosa protesta. Vestite in abiti nuziali le donne sono scese in una via di Guangzhou, chiedendo ai passanti di augurare loro fortuna, come se davvero si fossero sposate, suscitando reazioni alterne che vanno dalla disapprovazione di alcune coppie etero e di persone anziane, agli applausi e agli incoraggiamenti di altri, soprattutto dei più giovani (YCWB).

In Cina non esistono norme che vietino ad una coppia omosessuale di sposarsi, ma l’argomento è talmente lontano dalle possibilità reali del paese che la gran parte di gay e lesbiche preferisce costruire fittizi matrimoni eterosessuali sposando un partner omosessuale, sì, ma del sesso opposto e aiutando a mantenere il silenzio che circonda la questione omosessualità, che fino a poco tempo fa era ancora considerata nel Paese un disturbo mentale (The Daily Beast).

Una speranza per le persone LGBTQ* cinesi è venuta dalla visita della premier islandese Johanna Sigurdardottir, che si è recata nel Paese con la propria compagna, generando grandi aspettative nelle associazioni gay e lesbiche che hanno sottolineato diversi passaggi delle parole dell’esponente islandese tesi ad incoraggiare la lotta per i propri diritti, a partire dal quel rimarcato ringraziamento alle autorità per l’eccellente ospitalità riservata a lei e alla sua partner (Reuters). Quest’ottima accoglienza non ha comunque impedito ai media locali di far sparire la compagna della Sigurdardottir da tutte le immagini ufficiali diffuse (International Business Times).

Del resto la società cinese sembra più avanti dell’ingessata classe politica che si perde in questi giochetti e non affronta la questione. Un sondaggio condotto online tra oltre 50mila partecipanti ha infatti indicato che oltre il 50% dei cinesi sarebbe a favore del matrimonio omosessuale, mentre appena un quarto si esprime contro e i restanti non hanno un’idea precisa o non rispondono (Sina).

Per cui, anche se i dirigenti politici non sembrano sensibili all’argomento (sebbene la Cina abbia decriminalizzato l’omosessualità prima di diversi stati degli USA), il problema è sul tappeto e non è da escludere che un giorno anche il più popoloso stato del mondo avvii le pratiche per riconoscere il matrimonio gay (PolicyMic). Con o senza il supporto di Jackie Chan, stella dei film sulle arti marziali, in prima linea per il riconoscimento dei diritti LGBTQ* negli USA, ma ipocritamente silenzioso – o peggio – rispetto allo stesso argomento nel paese comunista, come fanno notare gli attivisti di Hong Kong (Gay Star News).

Michele Benini
©2013 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

One Comment

  • Daniela ha detto:

    Io non voglio un mazzo di rose. Non voglio un profumo costoso. Non voglio uno striscione sotto casa con scritto quanto mi ami. Non voglio nemmeno la casa piena di candele o una cena romantica. Io voglio i tuoi occhi che guardano dritti dentro i miei. Voglio un abbraccio che sia talmente vero da permettere alle nostre anime di toccarsi. Voglio un bacio che mi faccia venire la pelle d’oca. Voglio il tuo calore che si mischia al mio. Io non voglio me e te, io voglio un noi.

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