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E se il movimento per i diritti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) fosse sull’orlo di una sconfitta epocale? Mentre Sochi giustamente attrae – e meno giustamente monopolizza – l’attenzione degli attivisti di tutto il mondo, l’Africa, già martoriata da anni da un’ondata crescente di omofobia, rischia di precipitare in un baratro ancora più spaventoso. E molto sembra dipendere da una singola firma, quella che il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni potrebbe apporre o negare alla legge, già approvata dal parlamento nazionale, per inasprire le pene contro gli omosessuali e contro tutti coloro che li aiutino, direttamente o indirettamente. La paura, concretissima, è che si possa innescare un effetto domino che porti tutto il continente africano a dichiarare una guerra ancora più forte e diffusa contro le proprie minoranze sessuali. Con esiti impossibili da prevedere.

Museveni, a quanto sembra, ancora non ha deciso se promulgare le nuove norme omofobiche o se trovare l’ennesima scusa per rinviare la questione ancora di qualche mese o di qualche anno, come fatto finora. E sembra quasi di vederlo rileggere ancora una volta quel testo che ha suscitato discussioni, liti e ricatti politici per così tanto tempo. Sembra quasi di scorgere il dubbio e il tentennamento nei suoi occhi. Ma quel dubbio e quel tentennamento non sono gli stessi che hanno accompagnato per tutti questi anni questa legge, soprannominata “Kill the gays” (Uccidi i gay) perché inizialmente prevedeva la pena di morte per gli omosessuali. Qualcosa sembra essere profondamente cambiato. E non è per niente una buona notizia per le persone LGBT ugandesi.

I dubbi del governo ugandese possono essere riassunti in un continuo domandarsi quale soluzione gli porti più benefici e meno costi. Un mero calcolo ragionieristico, insomma. La scelta del passato di rinviare continuamente una vera e propria decisione era dettata dalla presenza di due pressioni opposte che sembravano equivalersi: da una parte alcune forze interne reclamavano a gran voce la testa degli omosessuali, dall’altra gli stati occidentali avevano scelto l’Uganda come paese in cui dimostrare, con un discreto successo, come il proprio impegno potesse frenare la persecuzione delle persone LGBT. Oggi i rapporti di forza sono incredibilmente mutati e quindi diventa assai più conveniente assecondare la parte che garantisce forti benefici piuttosto che quella che minaccia deboli costi.

Proprio mentre le campagne omofobiche delle chiese evangeliche fondamentaliste, progettate e finanziate negli Stati Uniti d’America e scatenate in Africa, si fanno più forti, aggressive e spietate, i difensori dei diritti umani LGBT sembrano distratti (la Russia monopolizza ogni attenzione, almeno finché non passerà di moda…) e non si sentono quelle “forti parole che vanno dette ora e non tenute in serbo per quando la legge sarà promulgata“, come ricorda Frank Mugisha, coordinatore della rete informale di attivisti Minoranze sessuali Uganda (SMUG; theguardian.com).Questo crollo dell’attenzione globale non passa certo inosservato in Uganda e, quindi, potrebbe avere pesanti conseguenze sulla decisione di Museveni. La stessa lettera di bocciatura politica della legge anti-gay (ilgrandecolibri.com), quindi, potrebbe essere stata semplicemente uno stratagemma utile a prendere ancora un po’ di tempo unicamente per sondare le reazioni internazionali e calcolare meglio costi e benefici in un contesto molto differente rispetto a pochi anni fa. E, con ogni probabilità, sorprendentemente più favorevole agli omofobi locali.

Quale lezione, ad esempio, potrà trarre il presidente ugandese da quanto successo in Nigeria? Le nuove leggi di Abuja puniscono assurdamente persino i sentimenti amorosi per le persone dello stesso sesso (ilgrandecolibri.com), la polizia ha pubblicato una lista infinita di gay da arrestare, nel nord del paese si parla di applicare le norme finora inapplicate sulla condanna a morte degli omosessuali (ilgrandecolibri.com). I governi e le opinioni pubbliche occidentali hanno borbottato qualche stanca parola di protesta, qualcuno ha proposto senza convinzione di tagliare i fondi per lo sviluppo della Nigeria o di avviare una campagna di boicottaggio. Insomma: quali sono i costi e quali i benefici di una politica omofobica, oggi?

Ma Museveni può trarre importanti lezioni anche osservando il proprio stesso paese. I costi del rifiuto di una politica omofobica in Uganda stanno crescendo, come dimostrano anche la ribellione e le minacce di dimissioni del ministro per il governo locale, Alex Onzima (monitor.co.ug). I costi della promulgazione della legge anti-gay, invece, sembrano essere drasticamente diminuiti negli anni: mentre, come spiega Mugisha, “i cittadini comuni si comportano come se la legge fosse già passata e chiamano la polizia per comunicare liste di sospetti e molestano gli altri per strada“, la polizia ha arrestato due uomini “accusati di vivere come marito e moglie” e di “avere rapporti sessuali contrari all’ordine naturale” (monitor.co.ug). Il mondo ha taciuto: quale migliore rassicurazione per gli omofobi?

Museveni, con l’ultimo rinvio di una decisione, sembra avere messo alla prova le forze in campo. E l’esperimento sembra avere tristemente confermato che promulgare la legge anti-gay dovrebbe portare forti benefici in termini di consenso interno a fronte di deboli costi di immagine a livello internazionale. D’altra parte bisogna tenere conto che l’economia ugandese è assai meno importante di quella nigeriana: per i politici e le aziende occidentali inscenare una campagna di boicottaggio contro la Nigeria può essere economicamente svantaggioso, mentre colpire l’Uganda potrebbe essere assai più semplice. Ma anche in questo caso, davvero Museveni ha qualcosa da temere?

In un paese povero un boicottaggio (o il taglio degli aiuti allo sviluppo) produce un visibile peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. E, di conseguenza, rende le opinioni pubbliche più deboli e manovrabili; aumenta la spinta a cercare capri espiatori e a individuarli nelle categorie che il boicottaggio vorrebbe difendere (in questo caso gli omosessuali); e, in ultima istanza, può paradossalmente rafforzare i governi che vorrebbe colpire. In questo contesto, non aiuta l’incoerenza ipocrita dei boicottatori: la stampa omofobica africana continua a chiedersi perché gli stessi attori politici ed economici che minacciano sanzioni per gli stati africani rei di imprigionare i gay non smettano di concludere lucrosissimi affari con l’Arabia Saudita che li condanna a morte…

Ma allora, considerando che tutte le carte che ha in mano sembrano promettergli un poker, perché Museveni tentenna ancora, perché non ha ancora promulgato la legge? I suoi dubbi sono reali? Oppure sta bluffando, seguendo una strategia finalizzata a ottenere ancora più benefici, a pagare ancora meno costi? La versione ufficiale motiva il rinvio della decisione presidenziale con la necessità di capire, da un punto di vista scientifico (sic!), se l’omosessualità sia un vizio da punire o una malattia da curare. Il dottor Kenneth Omona ha risposto che gli omosessuali possono essere riabilitati e trasformati in eterosessuali e quindi, con un passaggio logico incomprensibile, che è giusto punire penalmente le persone LGBT (observer.ug).Una risposta davvero scientifica è stata invece fornita in una lettera aperta che decine e decine di medici che lavorano in Uganda, in Africa e nel resto del mondo hanno indirizzato a Museveni: gli omosessuali sono vittime di falsi miti e di pregiudizi, l’omofobia è un pericolo per la coesione ed il benessere sociale e “questa legge sfida palesemente prove scientifiche fortemente corroborate e avrebbe un impatto nocivo sulla salute pubblica, sui diritti umani e sul diritto di tutti i cittadini di non essere discriminati” (ugandans4rights.org). Nonostante questo, Museveni ha la penna in mano, anche se ancora tentenna e non si decide a promulgare la legge anti-gay. Rimangono pochi giorni, poche ore, forse pochi minuti per fermarlo. Forse non è ancora troppo tardi per fermare l’effetto domino.

 

Pier
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