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Ciao Pier,
in questi giorni sto leggendo gli articoli di MOI, un progetto molto interessante. Fermare la deriva degli islamisti e diffondere il vero Islam pacifico è sempre più importante: per gli omosessuali musulmani è giunta l’ora di ottenere visibilità e diritti, di chiedere e pretendere un mondo migliore. Ma perché ci sono così pochi musulmani gay e lesbiche che parlano del loro orientamento sessuale anche in Occidente? Non capiscono che la visibilità può permettere di rendere più aperti e liberali tutti i musulmani?

Vittoria

Ciao Vittoria,
con la tua lettera tocchi uno degli aspetti più importanti dell’essere omosessuali e del relazionarsi con la famiglia, gli amici, il mondo e con sé stessi, al di là della religione e della cultura in cui si è cresciuti. “Credimi, madre mia, non ho alcun desiderio di sporcarti, di umiliarti, di sommergerti di vergogna. Ma la verità, la mia verità, ho bisogno di rivelartela. Di comunicarti quello che cambia in me” scrive lo scrittore musulmano marocchino Abdellah Taïa, nell’intesa lettera aperta alla famiglia con la quale ha fatto coming out (leggi).

Il “dichiararsi”, il diventare visibili è un passaggio molto importante, che investe, appunto, se stessi, il rapporto con la propria famiglia, il proprio ruolo nel mondo. Spesso (ma ogni persona è fatta a modo suo, regole generali non esistono) permette di vivere più serenamente la propria esistenza ed è uno strumento potente di trasformazione sociale: puoi ancora disprezzare gli omosessuali se la tua amata figlia è lesbica, se il tuo stimato vicino di casa è gay, se la compagna di classe con cui passi l’intervallo è bisessuale?

Perché allora così pochi musulmani LGBTQ* si dichiarano, si rendono visibili? In molti paesi a maggioranza musulmana la risposta è semplice: l’omosessualità viene punita con il carcere o addirittura con la pena di morte e, se spesso le autorità chiudono un occhio, l’omosessualità visibile non viene per nulla tollerata. Ma nei paesi occidentali, dove non si corrono rischi simili? L’omofobia sociale, culturale e religiosa spiega molto. Ma non tutto. La storia di Toufik può aiutarci a capire meglio la complessità della questione…

Toufik è un ragazzino di 19 anni, nato in Italia da genitori marocchini. La sera esce molto spesso, va in discoteca, non beve alcolici (è un musulmano praticante), ma incontra parecchi uomini: con il suo “corpo da cerbiatto” e la sua “faccia da schiaffi” non ha problemi a trovare “compagnia”. I suoi amici italiani sanno tutto di lui e della sua omosessualità, mentre tra i connazionali (familiari, amici, conoscenti) nessuno sa nulla. Si lamentano del fatto che torna a casa tardi, ma non immaginano con chi passi le sue serate. Non devono immaginarlo: è l’ultima cosa che Toufik vorrebbe.

Toufik ha uno zio, Sayf, in Marocco, a Tanja (Tangeri). Sayf ha passato da parecchi anni l’età di sposarsi, ma è rimasto celibe. Ha degli amici un po’… “particolari” ed un amico a cui è molto legato e che spesso si ferma a dormire da lui. Insomma: è omosessuale, lo sanno tutti ma non lo dice nessuno. Non lo dice neppure lui, ma non si impegna troppo per nasconderlo. Per Sayf in Marocco, insomma, la visibilità è meno problematica di quanto non lo sia per suo nipote Toufik in Italia, nonostante nel paese africano l’omosessualità sia un reato. Quali sono le ragioni di questo paradosso?

Una prima motivazione può essere ricercata nel processo di “reislamizzazione” dogmatica delle seconde, terze o quarte generazioni di un’immigrazione musulmana mai ben integrata nei paesi occidentali: nel mercato delle appartenenze, l’Occidente ha costi altissimi (si viene considerati ancora stranieri anche dopo decenni), l’Islam liberale è quasi inaccessibile (è additato come falso tanto dagli islamisti quanto, assurdamente, da molti liberali occidentali) e gli unici che vendono identità e radici a prezzi stracciati sono gli islamisti, con la sicurezza dei loro assiomi e delle loro (false) tradizioni. I musulmani emigrati in Occidente, insomma, a volte rischierebbero di essere più dogmatici – e quindi più omofobi – dei loro correligiosi in patria…

In realtà questa spiegazione, che pure è spesso usata e che in alcuni casi può risultare vera, non è del tutto convincente: l’islamismo (che, ricordiamo, è concetto ben diverso dall’Islam; per approfondire: Il grande colibrì), pur in crescita, caratterizza una minoranza degli immigrati musulmani in Occidente e certamente non caratterizza la famiglia di Toufik. In questo caso, come in molti altri, entra in gioco un problema più basilare di costi del coming out. Per lo zio Sayf i mormorii della gente possono al massimo portare qualche inimicizia, qualche “zamel” (frocio) detto alle spalle, mentre la persecuzione giudiziaria è abbastanza improbabile.

Per Toufik i rischi sono maggiori, nonostante il fatto che, secondo lui, i genitori, il fratello maggiore e le sorelle non avrebbero particolari problemi ad accettarlo come gay. Il problema è il contesto. La famiglia di Toufik, infatti, ha forti rapporti di amicizia e di sostegno reciproco con le altre, poche, famiglie marocchine presenti nella città dove vive: la rottura del legame che la visibilità di Toufik potrebbe forse determinare anche solamente con una di queste famiglie si tradurrebbe per l’intera sua famiglia nella perdita di una porzione molto rilevante di vita sociale e in minori aiuti per il lavoro, l’affitto, la condivisione di cibo e mezzi di trasporto in caso di difficoltà finanziarie.

Insomma, il tema della visibilità, se è complesso per gli omosessuali di tutto il mondo, assume delle peculiarità difficili da cogliere a prima vista per gli omosessuali musulmani in Occidente, per la maggior parte immigrati o discendenti di immigrati. La visibilità è un obiettivo molto importante, per il quale, però, occorre cogliere le criticità del contesto, capire le difficoltà personali ed evitare pressioni sui singoli individui. E’ un percorso complesso, per alcuni anche pericoloso, per il quale speriamo di poter offrire un piccolo contributo con questo progetto…

 

Pier
Copyright©2011PierCesareNotaro
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2 Comments

  • CatoGraham ha detto:

    Questa e` fra l´altro una delle ragioni per cui ha senso l´integrazione.

    Se il circolo di una famiglia "islamica" non fosse cosi´ ristretto, i costi della liberta´ personale non sarebbero cosi´ alti.

    Invece di essere noi a esercitare pressione sull´islamismo, subiamo la pressione esercitata dall´islamismo.

    Le democrazia si estende praticandola per primi.

  • Radio Pavlov ha detto:

    molto bello e analitico. grazie per aver fatto il punto…
    la difficoltà di vivere specifica per una persona appartente a una comunità "che gioca in difesa" ci sfugge. e grazie a contributi come il tuo costruiamo (proviamo a costruire) un nuovo senso della vita… al di sopra delle nazionalità, delle religioni e le false morali…

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