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Mi prese il viso tra le sue palme
E appoggiò le sue labbra sulle mie
Il profumo della pioggia appena caduta sulla terra calda
Inondò il mio palato
Sentivo sapore di nuvola
“E’ così che si bacia una ragazza”
Sussurrò nel mio orecchio.
Ifti Naseem (1946 – vivente)

Certo, gli europei sono sempre più civili e raffinati: impadronitisi del subcontinente indiano posero fine all’inaccettabile pratica dell’impero Moghul di uccidere gli omosessuali con roghi, lapidazioni e ferri ardenti infilati nel retto… per sostituirla con la più elegante arte dell’impiccagione e dello strozzamento tramite garrota (leggi). Morale: si faccia molta attenzione nell’esprimere giudizi troppo affrettati su presunte superiorità di civiltà perché spesso, sotto tratti più o meno sanguinolenti, la sostanza delle cose purtroppo non cambia molto.

Si faccia attenzione anche a giudicare il Pakistan, uno stato grande quasi tre volte l’Italia e popolato da 170 milioni di abitanti che, nell’immaginario di molti, diventa un immenso deserto disseminato da case di fango, grotte in cui trovano rifugio terroristi e servizi segreti deviati… La fotografia di un villaggio attraversato da un gruppo di talebani (probabilmente scattata in Afghanistan) ruba il primo piano alla magnificenza dei monumenti e alla maestosità dei grattacieli di Karachi (foto), una metropoli abitata da ben 15 milioni di persone (tante quante Lombardia e Lazio insieme).

Certo, esistono anche case di terra nel Gilgit-Baltistan (foto), grotte nel Waziristan e seri dubbi sull’operato dei servizi segreti, ma vedere solo questo di un paese così grande equivale a rappresentare l’Italia solo attraverso i boss mafiosi che dopo anni di latitanza vengono arrestati a casa loro, le minorenni che transitano nel letto del premier o le stragi di Stato compiute con i respingimenti in mare e i lager libici (leggi). Morale: è sempre meglio evitare processi di stereotipizzazione e di iper-semplificazione della realtà…

Ma torniamo alle impiccagioni e alla garrota, cioè alle “sodomy laws” introdotte dal Regno Unito nel subcontinente indiano e ammorbidite con il Codice Penale del 1860 (leggi), il quale, all’articolo 377, mai abrogato, prevede “solo” la pena della prigionia, anche a vita, per chi commetta “atti carnali contro l’ordine della natura“. Nel 1979 sono state poi introdotte nuove norme moralizzatrici (leggi) che affiancano il codice penale e introducono punizioni giudicate più aderenti al dettato coranico, tra cui anche la pena di morte tramite lapidazione per gli omosessuali (pena che, in realtà, sembra finora non essere mai stata comminata per questa accusa).

In realtà le leggi omofobe sono applicate molto raramente. Come ha raccontato un gay di Karachi al Guardian “bizzarramente l’omosessualità è proibita, ma non contrastata” (leggi): si tratta di un argomento di cui si preferisce tacere e magari rappresentare come un vizio occidentale, estraneo alla cultura pakistana. Basti pensare a quanto accadde nel 2003 quando un giornale rivelò che l’allora governatore del Sindh, Ali Mohammad Mahar, era gay e amava travestirsi (leggi): lo scandalo iniziale venne insabbiato in breve tempo e non pregiudicò la carriera politica dell’uomo.

Il sesso omosessuale viene tollerato in molti casi: metà dei camionisti pakistani (e il 72% nel nord del paese) dichiara di avere rapporti sessuali con altri uomini, soprattutto giovani prostituti (leggi e leggi), mentre, secondo vari report – accusati però di mistificare la realtà e di essere allarmisti e iperbolici (leggi) – nelle aree nord-occidentali sotto controllo tribale la pederastia sarebbe comune (leggi). Quello che è certo è che il rapporto omosessuale non deve essere pubblico: il primo matrimonio gay del paese si è risolto con la cacciata dei due sposi sotto la minaccia di morte (leggi).

Purtroppo a volte non ci si limita alle sole minacce e anche in Pakistan esistono crimini d’odio, a volte particolarmente efferati come l’uccisione a bastonate di un 60enne da parte di un gruppo di fanatici religiosi (leggi). Gente che, come sempre, predica bene e razzola male: in un Pakistan infestato dalla piaga dei religiosi pedofili che ricorda molto da vicino le più note vicende vaticane (leggi), non mancano ragazzi sfregiati con l’acido per aver rifiutato di avere rapporti sessuali con insegnanti delle scuole religiose (leggi) che, a voce, condannano l’omosessualità.

Insomma, la repressione e l’omofobia ci sono e sono forti (leggi), ma alcuni spiragli sembrano aprirsi: nelle città più grandi alcune persone fanno coming out con la famiglia e con gli amici e amicizie e conoscenze sono molto facilitate da Internet. I pakistani, ad esempio, sono nel mondo gli uomini che più frequentemente si dichiarano interessati agli altri uomini su Facebook (leggi). Le lesbiche subiscono un silenzio più pesante e impenetrabile, che significa al tempo stesso meno dichiarazioni di ostilità e più difficoltà a essere prese in considerazione (leggi).

Sul territorio pakistano nessuna organizzazione formale sostiene i diritti delle persone LGBT, con l’eccezione del piccolo e ben poco influente Partito Verde (sito), il quale ha inserito tra i suoi punti programmatici principali la tutela dei diritti umani e il rispetto per ogni tipo di diversità, anche (ma senza nessuna enfasi) quelle sessuali.

In compenso sono stati proprio dei pakistani emigrati all’estero ad avere fondato due delle più importanti associazioni di musulmani omosessuali di tutto il mondo: si tratta di Imaan (sito), la principale organizzazione LGBTQ* islamica del Regno Unito, ma soprattutto di Al-Fatiha (sito), che, fondata negli Stati da Faisal Alam nel 1998, oggi opera anche in Turchia, Spagna, Inghilterra, Canada e Sudafrica.

Un discorso del tutto particolare va fatto per quanto riguarda le persone transgender. Le hijra (chiamate anche khusra in punjabi) sono persone nate in un corpo maschile che si identificano nel genere femminile e per questo adottano comportamenti e abbigliamenti tipicamente muliebri e, a volte, si sottopongono alla castrazione (foto). Queste figure hanno una tradizione molto antica: se testimonianze certe della loro presenza datano al Cinque-Seicento, sotto l’impero Moghul, alcune tracce sembrano essere presenti anche nel Kama Sutra, opera risalente ai primissimi secoli dell’era cristiana (leggi).

Se nei secoli precedenti le hijra occupavano spesso posizioni di grande importanza (come consigliere di re e guardie del corpo di regine), gli inglesi, negli anni del loro dominio, cercarono di estirpare quella che consideravano una tradizione indecente e intollerabile. Così è cresciuta una cultura ostile alle hijra, costrette a lavorare come prostitute o come danzatrici nei matrimoni. Negli ultimi mesi, tuttavia, la magistratura pakistana ha riconosciuto a queste transessuali numerosi diritti (leggi), tra cui quello di essere ufficialmente riconosciute come “terzo sesso” (leggi).

Accanto alle hijra, esistono anche persone che possono essere assimilate ai “travestiti” occidentali: si tratta di uomini, spesso sposati, che conducono una seconda vita clandestina come donne, vestendo abiti femminili e avendo rapporti sessuali con altri uomini. Nei loro confronti l’intolleranza sociale è molto più forte che rispetto alle hijra.

* * *

Fawaz ha 24 anni, si è trasferito dal sud del Pakistan a Lahore per frequentare le prestigiose accademie artistiche della città.

“Qui in Pakistan non dico a nessuno della mia omosessualità, non posso dirlo neppure ai miei genitori. Lo sanno solo alcuni amici, che sono gay anche loro”.

Vivi la tua sessualità con questi amici?

“No, sono solo amici. A volte capita di fare sesso con qualcuno che mi presentano, ma la maggior parte delle volte trovo i miei partner su Internet. Ci sono alcune community, in cui non ci si dichiara esplicitamente gay, ma si lanciano segnali sui propri gusti”.

Conosci quindi molti gay nel tuo paese?

“Non molti, siamo una comunità molto sotterranea, nascosta. Non ci si incontra molto spesso. La nostra omosessualità si esprime soprattutto attraverso Internet. Ad esempio, tramite Internet conosco spesso persone con cui faccio cyber sex… che è una cosa di cui non vado molto fiero”.

Insomma, non è un vita molto semplice…

“Per questo me ne voglio andare. Studio francese perché quando avrò abbastanza soldi voglio andare in Francia e restare lì. Mi piacerebbe anche venire in Italia, che è un paese fantastico per chi ama l’arte come me”.

 

Pier Cesare Notaro
con la supervisione di QuNo
©2011 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da Shahzad Abdul Aziz (CC BY-SA 4.0)

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