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Mentre le Olimpiadi di Londra che si avvicinano raccontano la fine di una discriminazione per un disabile, ammesso per la prima volta (perlomeno dei tempi recenti) ad una gara per “normodotati” (il sudafricano Pistorius è stato convocato a far parte della staffetta che correrà con i suoi connazionali), il calcio – che rimane, nonostante qualche recente e sporadica apertura, uno tra gli sport più omofobici (Il grande colibrì) – registra un importante coming out da parte di un atleta molto rappresentativo. Tuttavia accade nel calcio femminile, tradizionalmente più aperto di quello maschile e, comunque, non si tratta di un’atleta italiana: a dichiararsi è infatti Megan Rapinoe (nella foto), star della squadra olimpica statunitense, un’atleta molto rappresentativa e – almeno fin qui – cercata dagli sponsor.

Sento che gli sport sono ancora omofobici – ha dichiarato la Rapinoe – nel senso che le persone non si dichiarano. E sento che ognuno ha davvero bisogno che la gente faccia coming out: la gente vuole sapere, e ne ha bisogno, che gente come me gioca a calcio per i buoni vecchi Stati Uniti“. In realtà la calciatrice non ha mai nascosto nulla, solo che nessuno gliel’aveva mai chiesto direttamente (“Credo che volessero essere rispettosi della mia privacy“), ma una volta posta la domanda non ha avuto dubbi: “Sono omosessuale. Per gli annali, sì, sono omosessuale” (OUT).

Nonostante il coraggio della Rapinoe (che è fidanzata con una calciatrice australiana), la sua sensazione che lo sport sia ancora vittima dell’omofobia è confermato e decisamente in termini seri dall’inquietante rapporto “Out for sports” redatto dall’Equality Network scozzese, secondo cui ben il 79% degli intervistati considera che ci sia un problema di omofobia nello sport e ben il 62% può testimoniare direttamente di aver visto o subito un caso di omo o transfobia in ambito sportivo.

Un dato altrettanto sorprendente è quello secondo cui – in una domanda rivolta solo alla fascia LGBT del campione intervistato – il 57% degli interrogati dichiara che praticherebbe volentieri uno sport se l’ambiente fosse più amichevole nei confronti di gay, lesbiche, trans e bisessuali. Più scontato infatti che il 94% degli intervistati consideri migliore uno sport che bandisca definitivamente le discriminazioni contro omo e transessuali e solo il 5% consideri sufficienti le attuali misure (praticamente inesistenti) per combattere l’omofobia (Gscene).

Se omofobia e transfobia tormentano ancora il mondo sportivo, non spaventano però l’ex campione di pattinaggio – e ora maestro – Fabio Franchini, che da settembre si ripresenterà ai suoi alunni come Greta, dopo le cure nell’ospedale di Pisa, coronando un desiderio che aveva sin dall’età di dodici anni. La dirigenza scolastica non sembra giudicare negativamente la cosa, subordinandola unicamente alla buona accoglienza da parte degli utenti, che (insieme ai genitori) si sono mostrati ben più comprensivi di quanto non prevedessero gli adulti: la transfobia non è congenita, e questa è decisamente una bella notizia (Corriere della Sera).

 

Michele
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One Comment

  • AfterSantana ha detto:

    L'ambiente sportivo femminile è senza dubbi molto più aperto (anche in Italia, sebbene non ci siano coming out ufficiali). Del resto, la pressione mediatica equivale a zero dato che lo sport femminile non è contemplato, miracoli tennistici a parte.

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