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Caro papa Francesco,

è passato un anno da quando ti sei affacciato da quella finestra della basilica di San Pietro e hai meravigliato il mondo con un semplice: “Buona sera!“. E’ passato un anno e, durante quest’anno, abbiamo avuto modo di conoscerti sempre meglio e di capire quanto ti stia a cuore il rapporto che ciascuno di noi può avere con quella buona notizia che ci viene dal Vangelo. 
Dopo anni in cui sembrava che la paura di perdere la propria identità avesse spinto la Chiesa cattolica verso un atteggiamento di difesa, in cui ci si preoccupava principalmente di contrastare quello che sembrava un declino inevitabile, tu hai cambiato prospettiva e hai iniziato a rivolgerti ai lontani, dicendo che la chiesa è anche casa loro e che non ha paura di confrontarsi con le loro storie e con le loro speranze.

E proprio perché mi sono sempre identificato con questi lontani, dopo un anno di pontificato ho deciso di scriverti per confidarti i tanti momenti in cui, durante il tuo ministero, mi hai scaldato il cuore e per condividere con te le mie aspettative e le mie paure.

Durante l’anno che è appena trascorso hai continuamente ricordato che nessuno è escluso dalla chiamata che Dio rivolge a tutti gli uomini e ti sei preoccupato di ripetere che occorre superare il rischio di trasformare le parole e i gesti della Chiesa in una sorta di “vaccinazione contro la Fede“. Si tratta di un rischio che è sempre presente e che già nel Vangelo viene descritto nel capitolo 19 di Matteo, quando si racconta dei discepoli che allontanano quanti si vogliono avvicinare a Gesù. E anche i padri conciliari del Vaticano II, quando elencano le cause dell’ateismo contemporaneo, parlano anche l’atteggiamento di noi credenti (Gaudium et Spes, 19).

Personalmente ho modo di constatare tutti i giorni quanto sia grave questo rischio. Da omosessuale che ha capito che la sua vocazione è quella di conservare la Speranza nel cuore di tanti omosessuali che rischiano di perderla perché, sentendosi rifiutati dalla Chiesa, si sentono anche rifiutati da Dio, posso assicurarti che quasi quotidianamente sono testimone di episodi in cui le persone lesbiche e gay vivono un sentimento di esclusione che, con il tempo, soffoca la Fede in Dio e nella sua Chiesa.

In particolare gli omosessuali, quando ascoltano il magistero della Chiesa, si trovano di fronte a un vicolo cieco, perché da un lato si sentono dire che la sessualità va vissuta in maniera responsabile e che il sesso va messo al servizio dell’amore, dall’altro sentono dire che loro non saranno mai in grado di aspirare a un legame d’amore vero.

Molti, giustamente, si ribellano a quest’ultima affermazione arbitraria e abbandonano la Chiesa con un’amarezza che spesso diventa astiosa e arrabbiata. Altri fanno proprio il disprezzo che è insito in questa stessa affermazione e iniziano ad odiare la loro omosessualità e a dire a se stessi e agli altri: “Visto che noi omosessuali non siamo in grado di vivere delle autentiche relazioni d’amore, tanto vale vivere nell’ipocrisia, esaltando a parole una castità che in realtà non si cerca e condannando, a parole, una promiscuità che si pratica di nascosto“.

Ti rendi conto, caro papa, che c’è qualcosa che non va? Ti rendi conto che occorre fare qualcosa se si sente su di sé la responsabilità di annunciare una Fede davvero cattolica, cioè capace di offrire una parola di speranza a tutti e a ciascuno?

Tu, durante quest’anno, hai già dato qualche segnale che dimostra come ti siano estranei il disprezzo e la paura che spesso nella Chiesa ci sono nei confronti dell’omosessualità. Durante il viaggio di ritorno dal Brasile hai detto: “Chi sono io per giudicare una persona omosessuale?” e, implicitamente, hai invitato tutti i cattolici a ripetere questa stessa domanda che si ispira alla raccomandazione che Gesù fa nel Vangelo (Luca 6, 37). Nell’intervista che hai rilasciato al mensile Civiltà cattolica hai ricordato quell’episodio in cui, a una persona che ti chiedeva se approvavi l’omosessualità, hai riposto: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?“.

Nella tua predicazione di quest’anno hai più volte esortato i fedeli a “superare la cultura dello scarto“, quella cultura per cui il valore di una persona viene messo da parte quando questa stessa persona non serve più. Nella Chiesa troppo spesso, quando si parla delle persone omosessuali, prevalgono atteggiamenti dettati da questo tipo di cultura: la loro esistenza, i loro diritti, le relazioni che costruiscono non sono funzionali all’antropologia che, nel corso della storia, il magistero cattolico ha elaborato, e allora non ci si preoccupa di accoglierli, non ci si cura di difenderli quando vengono attaccati, non ci si chiede in che modo si debbano promuovere le relazioni che costruiscono in funzione del bene della società e della chiesa.

Naturalmente, per superare sempre e comunque la cultura dello scarto, occorre coraggio e, soprattutto, occorre una grande Fede nel fatto che “Dio non è una fabbrica e che quindi Dio non fa pezzi difettosi“. Ma, proprio perché credo di condividere con te questa Fede, ti chiedo di continuare a dire parole di speranza alle persone omosessuali, aiutando i vescovi che si raduneranno a Roma il prossimo autunno per il Sinodo dedicato alla famiglia, a chiedersi quali percorsi concretamente praticabili senza ipocrisia si possono indicare alle persone omosessuali per dare una dimensione realmente famigliare alle loro relazioni d’amore.

 

Gianni
Gianni Geraci è portavoce del Gruppo del Guado

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4 Comments

  • giovanni mapelli ha detto:

    Vedremo dopo il SINODO di ottobre 2014
    cosa accadrà… se son rose fioriranno….

  • AfterSantana ha detto:

    Comprendo la speranza dei credenti omosessuali di fronte alle parole di Bergoglio e, in un certo senso, anche questo tentativo della comunità LGBT di gonfiarle e spingerle verso l'opinione pubblica per trarne benefici. Quel che accade nei fatti, però, è ben diverso dalle prediche del Papa e non so quanto possa tornare utile indurre a credere in posizioni inesistenti della Chiesa cattolica. "Strumento del demonio" è la definizione che Bergoglio ha dato del matrimonio tra omosessuali; durante il suo pontificato, un sacerdote australiano di larghe vedute rispetto a donne e gay è stato scomunicato; in Vaticano è protetto un ex nunzio apostolico accusato di pedofilia in Polonia; il cardinale Keith O'Brien svolge ancora le sue funzioni nonostante sia un molestatore confesso. È cambiato qualcosa? Nelle parole e nelle apparenze senza alcun dubbio. Nei fatti…

  • Anonimo ha detto:

    Spero che arrivi al Suo cuore.

  • Hans Steiner ha detto:

    Condivido la speranza che traspare dalla lettera e la fiducia in un atteggiamento più accogliente della chiesa. Ciao

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