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Dal web la primavera araba LGBT – 1. Boom di internet

Dal web la primavera araba LGBT – 2. Coming out

La crescente assertività della comunità LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) e delle persone critiche nei confronti della religione probabilmente provocherà la reazione delle forze religiose conservatrici. Anzi, la reazione, a volte violenta, è già partita da parte sia degli stati sia dei gruppi terroristi.

Non appena i gruppi islamisti hanno lanciato campagne di segnalazione per far chiudere i profili atei su Facebook, i governi hanno arrestato gli atei che facevano sentire la propria voce online. Nel 2015 i giudici egiziani hanno condannato uno studente di 21 anni a tre anni di prigione per aver dichiarato su Facebook di essere ateo [Yahoo! News]. L’Arabia Saudita sta tendendo in carcere dal 2012 il blogger Raif Badawi con l’accusa di aver insultato l’islam online e ogni tanto lo fa uscire dalla prigione solo per fustigarlo in pubblico [The Independent].

E in tutto il Medio Oriente e l’Africa settentrionale i governi hanno preso di mira in modo simile le persone LGBTQI attive online. La polizia egiziana ha creato profili falsi sulle app di incontro per contattare, identificare e arrestare i gay [Il Grande Colibrì].

Nei casi più estremi, chi appartiene a questi gruppi emarginati è stato vittima delle violenze mirate di gruppi terroristi. Dal 2013 i militanti islamisti del Bangladesh, tra cui alcuni legati a Jama’at Qa’idat al-Jihad fi Shibh al-Qarrah al-Hindiyah (Al-Qaeda nel subcontinente indiano), hanno assassinato una serie di blogger atei [The Washington Post]. Nell’aprile del 2016 una fazione jihadista che ha giurato fedeltà al gruppo Stato Islamico, ha rivendicato l’uccisione dell’editore dell’unica rivista LGBTQI del Bangladesh [Il Grande Colibrì].

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Non è del tutto chiaro come l’emergere delle comunità emarginate (come quella LGBTQI o quella dei critici nei confronti della religione), che è stato permesso da internet, ridefinirà le società a maggioranza musulmana. Nel breve periodo l’ascesa di questi movimenti sociali potrebbe dare un vantaggio ai gruppi jihadisti, che spesso si presentano come l’unica forza in grado di proteggere la fede dai valori occidentali e laici. Ma sul lungo periodo questi gruppi emarginati potrebbero sfidare le fondamenta del controllo del potere da parte dei religiosi conservatori.

Ciò potrebbe produrre dei cambiamenti sociali e politici radicali, paragonabili, forse, a quelli a cui abbiamo assistito negli Stati Uniti sulla questione dei matrimoni gay. Ma potrebbe anche generare una forte instabilità sociale, simili ai tumulti delle primavere arabe, e il connesso fallimento di ricomporre paesi come la Libia.

Indipendentemente dal loro esito finale, comunque, possiamo già individuare i segnali delle battaglie culturale in arrivo nell’islam. Gli osservatori occidentali per molto tempo hanno trascurato o interpretato male le tendenze sociali che hanno attraversato i paesi a maggioranza musulmana. Questa è una tendenza che non possono permettersi di non cogliere.

 

Daveed Gartenstein-RossNathaniel Barr per Foreign Affairs
traduzione di Pier
©2017 Foreign Affairs – Il Grande Colibrì

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