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Se le elezioni comunali in una capitale sono sempre importanti, quelle che del 26 e 27 maggio a Roma avranno un’importanza speciale. Da una parte si spera che offrano una piccola consolazione a chi soffre di depressione post-governissimo, dall’altra rappresentano un interessantissimo scontro tra la destra più reazionaria (quella di Gianni Alemanno, il sindaco uscente con la croce celtica sempre al collo) e una sinistra che nella città promette di diventare finalmente più aperta, con il candidato laico Ignazio Marino. Una bella sorpresa, comunque, c’è già stata: il PD candida al Consiglio comunale Rossana Praitano, storica attivista capitolina del movimento LGBTQ* e presidente del circolo Mario Mieli dal 2002 al 2012, quasi ininterrottamente. Il grande colibrì l’ha intervistata.

Un tuo fan, in questi giorni, sui social network invita a votarti “senza fare caso al piccolo simbolo” che compare sul tuo santino elettorale, e cioè al simbolo del Partito Democratico: è un fatto davvero piccolo, ma significativo, no?

Oddio, “fan” mi imbarazza! Penso che i tantissimi che mi stanno supportando in questa avventura alla conquista del Consiglio comunale di Roma lo stiano facendo sulla base della mia storia ultra-decennale, delle battaglie e delle cose che ho realizzato, partendo dal Mario Mieli, di cui sono stata per nove anni presidente, ma condividendole sempre il più possibile con tutte le svariate realtà del mondo LGBTQ*. Quindi sono indicazioni su di me e sulla comunità da rappresentare, più che sul partito per cui sono candidata. Anche perché nelle elezioni amministrative, più che in quelle politiche nazionali, si vota la persona. Inoltre io sono candidata come indipendente e non come appartenente a un partito.


Ma come mai ti candidi proprio con il PD?

E’ coerente con il mio essere di sinistra, che non ho mai contraddetto. E’ il PD di Roma che mi ha cercata, nessun altro partito di sinistra l’ha fatto. Mi hanno offerto questa opportunità e lo hanno fatto tanto per me, per la mia esperienza, quanto per quello che hanno fatto e rappresentano le associazioni e il resto della comunità LGBTQ* a Roma. Tanto basta, e non è poco.

Alle elezioni comunali di Roma centro-sinistra e centro-destra si presentano come coalizioni contrapposte, con visioni del futuro pressoché inconciliabili. Eppure, proprio a Roma, in Parlamento e a Palazzo Chigi, i principali partiti di entrambi gli schieramenti fanno parte della stessa maggioranza… Che effetto ti fa questa situazione quasi paradossale?

La situazione  non sembra paradossale, lo è. Ma la fase politica nazionale è talmente complessa che oggi è difficile immaginare qualcosa di diverso. In Parlamento dopo le ultime elezioni non c’è una sola maggioranza, questo è un fatto e non un’opinione. Inoltre l’intransigenza del MoVimento 5 Stelle ha spinto ulteriormente verso la creazione del paradosso.

Credi che durante questa legislatura si potranno registrare passi avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ*, nella parità tra donne e uomini, nel rispetto della laicità dello Stato?

Sarà difficile spuntare degli interventi normativi sui temi in questione con la consueta e più lineare attività parlamentare. D’altro canto, proprio perché la situazione è molto fluida e non ci sono due soli fronti, si potrebbero creare delle maggioranze variabili che potrebbero sbloccare l’impasse sui diritti.

E a Roma, invece?

Qui ci si presenta in modo più chiaro, rispetto all’idea della città che verrà, e probabilmente l’effetto della contestazione dei grillini sarà meno rilevante sull’esito del voto, proprio perché è un ambito amministrativo e perché qui si vota scegliendo le persone con la preferenza, quindi con un rapporto diretto fra chi vota e chi è votato.

Quali sarebbero i tuoi principali obiettivi, se fossi eletta?

Bisogna cambiare e far uscire Roma dalla tangibile regressione che ha subito in questi cinque anni di amministrazione di Alemanno. E’ una città grigia in tutti i sensi, ripiegata su se stessa, quasi fosse una persona depressa. Quindi bisogna operare per un rilancio di quei ambiti come cultura, ambiente e servizi sociali che sono utili in se stessi, perché innalzano esponenzialmente il livello di benessere e perché a Roma sarebbero dei motori formidabili per lavoro e reddito. Il mio obiettivo è lo sviluppo dei diritti in ogni possibile ambito: non a caso il mio slogan è “Diritti a Roma“. E lo slogan propone anche la mia modalità d’agire: quella della schiena diritta, cioè della rettitudine e della responsabilità, stile un po’ – come dire… – in disuso e spesso contraddetto dai mille scandali e interessi personali posti prima di quelli generali.
E per quanto riguarda la popolazione LGBTQ*?
Ovviamente voglio portare le tematiche LGBT dentro il Campidoglio, voglio portare le tante sensibilità e realtà del mondo LGBTQ* nel cuore della politica romana, lavorando tutti insieme, come ho fatto per l’Europride del 2011, di cui ero presidente, e mettendo a frutto anni e anni di lavoro dentro e con il Mario Mieli. Sono consapevole che anche a livello amministrativo si può fare moltissimo, pur in assenza di leggi o indirizzi politici nazionali. Proporrò un registro delle coppie di fatto, aiuti alle persone transessuali, campagne sull’HIV e sull’AIDS, e via discorrendo. Infine penso che una mia elezione sarebbe, dal punto di vista simbolico e politico, un segnale fortissimo ed inequivocabile sia alla politica cieca, sia ai pregiudizi ancora presenti in molti romani.
Proprio a Roma Cristiana Alicata, dirigente PD e attivista lesbica, ha aperto una pesante polemica contro i rom, accusati di essersi fatti corrompere da alcuni esponenti del Partito Democratico in occasione delle primarie per la scelta del candidato sindaco (Il grande colibrì)…
Conosco bene Cristiana e so benissimo che non ha nulla di razzista, anzi. Con quella polemica immagino volesse sollevare un problema di trasparenza in alcune specifiche situazioni delle primarie, che lei, interna al partito, doveva aver colto e nelle quali non entro nel merito perché le ignoro. Penso però che la modalità sia stata ingenua e infelice, perché suo malgrado ha spostato l’attenzione generale dal suo contingente obiettivo e ha finito per essere una querelle sui rom, con un impatto negativo sia per lei, sia per la comunità dei rom e sinti di Roma. Quindi si è trattato di un incidente, non di un segno da cui si possano trarre conseguenze.
In ogni caso, secondo  te, esiste un problema razzismo anche nella sinistra e nel movimento LGBTQ*?
Sì, certamente esiste del razzismo anche in alcune persone che militano nella sinistra o appartengono alla comunità LGBT, perché è una mala pianta che tende ad insinuarsi ovunque e in modo subdolo, ma il razzismo è in contraddizione assoluta con gli ideali, le modalità e l’idem sentire della sinistra e del movimento LGBT, oserei dire in modo ontologico.
Cosa propone di fare la tua coalizione per rom e sinti da una parte e per le persone immigrate a Roma dall’altra?
La prima cosa è uscire dall’idea dell’emergenza e dell’estraneità di queste persone e comunità rispetto alla vita della città. Sembra banale, ma qui l’approccio è essenziale, perché è grazie a questo che si riescono a trovare le soluzioni pratiche, mentre l’amministrazione uscente ha fatto esattamente il contrario. Per fare un esempio pratico: dei corsi di formazione linguistica per gli stranieri che lavorano a Roma – penso anche semplicemente alle badanti, agli edili, alle e ai collaboratori domestici – sarebbero utili sia per quanto riguarda l’integrazione personale ed il miglioramento della loro qualità di vita, sia per quanto riguarda la valorizzazione lavorativa generale. Un altro esempio sono gli interventi sui campi rom, fino ad oggi ideologizzati ed emergenziali, quindi inutili e ulteriormente fonte di emarginazione e razzismo.
Se la visibilità delle associazioni LGBTQ* in Italia è sempre stata scarsa, negli ultimi mesi sembra essersi ridotta ancor di più…
Penso che le associazioni LGBTQ*, e non solo, risentano anch’esse della generale situazione italiana, complessa, in crisi, con risposte difficili da dare. Non potrebbe essere altrimenti. Le realtà GLBTQ* non vivono in astratto, ma dentro la società, con tutte le difficoltà di porre l’accento sulle nostre tematiche, di creare iniziative efficaci, di capire quali siano i referenti in Parlamento per approvare finalmente delle leggi. Ma sono fiduciosa che sia un momento che passerà; io sono sempre fiduciosa, altrimenti non potrei essere un’attivista. E vedo anche mille energie in moto nel mondo LGBTQ*, vive, operanti, creative, orgogliose, che modificano quotidianamente la società.
Contemporaneamente, rispetto al passato sono molti gli esponenti del movimento che si sono candidati ad elezioni per tutti i livelli di governo. Siamo di fronte ad un cambiamento di strategia? Stanno cambiando i rapporti tra un movimento che finora ha ottenuto pochissime risposte e una politica che quelle risposte non le ha date?
Le candidature non sono affatto una novità degli ultimi mesi ed è anche logico che nelle varie sedi istituzionali si vogliano portare esperienze personali forti – penso a quelle di Sergio Lo Giudice o di Alessandro Zan, dietro le quali ci sono stati il lavoro e la passione di tante e tanti provenienti dal movimento LGBTQ*. La mia candidatura è esattamente in quel solco ed è percepita così. Questa logica è stata compresa anche dal PD nel momento in cui mi è stata offerta la candidatura, ricordo da indipendente. Questa è una vittoria. Questi candidati LGBTQ* hanno storie collettive da narrare e sviluppare, non semplici storie di visibilità personale.
Pier
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