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E’ passato solo qualche giorno da quando in Uganda il presidente Yoweri Museveni ha permesso l’entrata in vigore della “legge anti-omosessualità” finalizzata alla repressione delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Seppur accantonata la pena di morte per chi infrange la legge, la stessa prevede quella che può essere considerata la morte per pena: l’ergastolo (ilgrandecolibri.com). Sono diventate ormai tristemente famose le parole di Rebecca Kadaga, presidente del parlamento ugandese, che nel 2012 giustificava la necessità della “legge anti-omosessualità” in quanto “regalo di Natale” alle chiese cristiane evangeliche (ilgrandecolibri.com). Le stesse chiese che ora, dopo la presa di posizione dell’Inghilterra, dichiarano che stanno considerando una possibile scissione dalla chiesa anglicana se questa continuerà a mettere sotto pressione l’Uganda.

L’arcivescovo ugandese Stanley Ntagali ha dichiarato: “Il problema è il rispetto per le nostre opinioni sull’omosessualità. Se non sono disposti ad ascoltarci, allora non avremo altra scelta se non quella di stare da soli. L’omosessualità è incompatibile con le Scritture e nessun esponente della chiesa dovrebbe legittimare queste unioni” (telegraph.co.uk). Parole forti e purtroppo sottovalutate dal movimento LGBT. Non solo per l’odio di genere presente in esse, ma soprattutto per il pericolo che un tale scisma può provocare nella piccola Uganda e, diffondendosi, nell’Africa orientale.

La possibilità della scissione dalla chiesa anglicana inglese evocata da Ntagali ci porterebbe di fronte alla prima chiesa la cui nascita è basata su una rottura il cui fondamento è una diversa posizione sull’omosessualità rispetto alla chiesa dalla quale trova la rottura. Se la chiesa anglicana ugandese rivendicasse una propria autonomia e purezza teologica sull’omosessualità e sulla base di questa tagliasse i legami con la chiesa d’Inghilterra, è facile immaginare che sul fronte dei diritti LGBT le cose potranno sempre più difficilmente migliorare in Uganda. Ci troveremmo per la prima volta nella storia davanti a una chiesa che prevedibilmente crescerà su quella che diventerà la “teologia dell’eterosessualità“.

Importanti sono i dati dell’Uganda Bureau of Statistics (ubos.org, p. 11) i quali ci dicono, a seguito di una rilevazione del 2002, che la fede nella dottrina della Chiesa anglicana ugandese copre il 36% della popolazione e la rende la chiesa con più fedeli, seconda solo alla Chiesa cattolica che vede propri accoliti il 42% della popolazione. Forse su questo possibile scisma dovremmo concentrare maggiormente la nostra attenzione.

 

Matteo
Matteo Mainardi è attivista dell’Associazione radicale Certi Diritti e blogger (antiperbenista.blogspot.it)

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5 Comments

  • Rexgi ha detto:

    D'altra parte una scissione per motivi manifestamente omofobi, ovvero la legittimazione religiosa dell'omofobia, potrebbe accendere di più i riflettori e le pressioni su quanto avviene in Uganda

  • La religione in questo caso sarebbe comunque solo un pretesto per mantenere il potere, basandosi sulla paura…e sull'ignoranza…
    La religione non è un problema… il problema è il potere che ne deriva, sia che questo potere nasca da idee disumane come l'omofobia, sia che questo nasca da idee gentili e cortesi come le apertura di Bergoglio sui divorziati !
    Almeno in Uganda, diciamoci anche questo, i PRETI LE PAGANO LE TASSE?

    • Matteo Mainardi ha detto:

      Usare le categorie della religione così come strutturata in Italia oggi non è utile per capire la realtà ugandese dove le strutture religiose rappresentano ancora l'unico germe di welfare insieme alle ONG. Per questo ritengo pericoloso uno scisma dalla chiesa inglese.

    • margrant ha detto:

      io credo che invece sia proprio la religione il problema e il suo pretendere di possedere una verita' che in assoluto non esiste.I cattolici di Bergoglio non sono meglio deli anglicani ugandesi quando pretendono in nome del loro Dio di imporre comportamenti a chi in quel Dio non crede.

    • Michele Benini ha detto:

      Se parliamo di situazione ideale, che una religione detti a qualcuno delle regole e, peggio ancora, che le detti ad uno stato, è ovvio che non è cosa buona. Credo che la pensi così anche l'autore dell'articolo.
      Il problema è fare i conti con la realtà e nella realtà religione e altri poteri si compenetrano per cui è meglio comunque riuscire a contenere le spinte estremiste e favorire quelle inclusive anche da parte di chi, come me, non crede. O no?

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