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E’ estremamente complicato essere “soggetti intersezionali”, cioè appartenere a più minoranze contemporaneamente: può sembrare un’idea affascinante, ma la realtà è molto più complessa dell’impressione che può dare. Lo sanno bene gli studiosi e attivisti che hanno condotto una ricerca sulle “seconde generazioni LGBT“, su giovani lesbiche, gay, bisessuali e transgender figli di stranieri a Milano (e non solo). E lo sanno soprattutto i protagonisti della ricerca, 36 ragazze e ragazzi che, nei sei incontri con i curatori dell’iniziativa, hanno raccontato se stessi e le difficoltà di essere minoranza in una minoranza. Lo studio è stato condotto da Helen Ibry, antropologa e attivista di ArciLesbica, Massimo Modesti, pedagogista e antropologo, Antonia Monopoli, responsabile dello sportello Trans ALA Milano, e Medhin Paolos, fotografa e documentarista oltre che attivista della Rete G2 – Seconde Generazioni.

In particolare sono emerse le difficoltà di fare coming out in famiglia e, soprattutto, nella comunità di riferimento, che per molti continua ad essere quella di provenienza dei genitori, anche se per qualcuno venire allo scoperto non è stato un passo spontaneo ma parzialmente forzato. Va sottolineato che i soggetti presi in esame non sono tutti nati in Italia: alcuni di loro sono qui a seguito di una ricongiungimento familiare. La differenza tra loro è piuttosto evidente, perché chi è nato nel nostro paese frequenta meno il gruppo etnico originario e molto più i coetanei italiani, a differenza di chi ha avuto, magari anche solo nell’infanzia, una vita precedente nella propria comunità di origine, cui si sente più legato.

I partecipanti alla ricerca sono stati 36 giovani provenienti da Perù, Cina, Filippine, Ecuador, Bolivia, Vietnam, Eritrea, Brasile, Kosovo, India e Colombia, oltre a un anglo-italiano e a un’italo-giapponese; 26 di loro erano gay, 6 le lesbiche, tre i bisessuali e una transessuale MtF (dal maschile al femminile) raggiunti attraverso canali associativi, amicizie, siti di incontro e chat LGBT.

Da molti di questi soggetti è emersa la difficoltà ad appartenere a una minoranza invisibile e a fare i conti con una sessualità che in alcune lingue non ha nemmeno un termine per essere definita. E se tutti hanno riconosciuto alcune difficoltà oggettive a relazionarsi con gli altri a causa del proprio orientamento, proprio in una fase in cui, anche perché “stranieri” (come molti si sentono), erano alla ricerca dell’approvazione altrui attraverso l’inseguimento di stereotipi fisici, è stato pressoché unanime il riconoscimento che l’Italia è comunque un paese aperto alla multietnicità e alle diversità sessuali. Nonostante tutto.

La ricerca, già presentata alla Casa dei diritti di Milano, verrà illustrata sabato 5 dicembre, sempre nel capoluogo lombardo, nella sede del Guado in via Soperga 36.

 

Michele
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