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L’indifferenza è peggiore dell’odio, dice qualcuno. Forse è vero, forse no, sta di fatto che, tra tante storie di incomprensioni, di sospetti e di razzismo, scoprire che qualche giovane italiano si incuriosisce della realtà degli omosessuali musulmani è davvero importante. Enrico B. N. si è laureato in Storia Contemporanea del Mediterraneo con una tesi dal titolo “La questione omosessuale nei Paesi arabo-islamici”, un lavoro che verrà presentato proprio questa sera alla Fondazione FUORI! di Torino (via Santa Chiara 1, ore 21). Lo abbiamo intervistato.

Cosa ti ha spinto a occuparti di questo tema?

Allora… Circa un anno fa ho letto un articolo sul “Venerdì di Repubblica” che faceva riferimento al libro “Les Condamnés” di Philippe Castetbon, uno scrittore francese che ha deciso di raccogliere le testimonianze di persone omosessuali che vivono in paesi in cui l’omosessualità viene punita. Leggendo poi questo libro, mi resi conto che su 81 paesi in cui l’omosessualità viene considerata un crimine, la maggioranza sono paesi arabi o islamici. Tra questi ci sono i sette paesi in cui vige la pena di morte: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Mauritania, Sudan, Yemen e alcune regioni della Nigeria in cui è in vigore la shari’ah. Dopo queste letture, ho iniziato ad interessarmi e ad informarmi per cercare di comprendere i motivi che hanno prodotto un’avversione così radicata nei confronti delle persone omosessuali nella cultura arabo-islamica.


Come hai proceduto nella tua ricerca?

L’unico libro che avevo in mano e da cui avrei potuto prendere spunto era “Unspeakable love” di Brian Withaker, un giornalista britannico che è stato per molto tempo responsabile dell’area mediorientale per “The Guardian”. Questo libro si è rivelato molto utile per un primo approccio all’argomento. In un primo momento su internet non ho trovato nulla di interessante o che potesse servirmi, ma successivamente, approfondendo la ricerca soprattutto su siti gay arabi, sono riuscito a trovare alcuni articoli di giornali sia occidentali sia orientali che trattavano l’argomento. Inoltre, tramite l’aiuto di amici marocchini ed iraniani, ho reperito delle interviste/documentari in lingua araba mandati in onda dalla MBC (Middle East Broadcasting Center) in cui si parlava di omosessualità.

Quali sono state le principali difficoltà che hai dovuto affrontare nel tuo lavoro?

Le difficoltà principali sono state proprio quelle della ricerca, poiché la letteratura araba che tratta la questione omosessuale nel pensiero islamico è ancora esigua, in più non se ne parla mai apertamente, quindi tutti gli articoli ed i libri che sono riuscito a recuperare sono stati frutto di fatica e ricerca meticolosa.

Secondo te il concetto di “omosessualità” è applicabile facilmente a contesti diversi da quello occidentale e, in particolare, al contesto culturale arabo-islamico?

Un punto molto importante che bisogna comprendere è che gli arabi che praticano attività omosessuali generalmente non si considerano gay, lesbiche o bisessuali: soltanto alcuni di loro si riconoscono in una di queste categorie, ma la maggioranza no. Questo è giustificabile dal fatto che i confini della sessualità in Medio Oriente sono meno netti rispetto a quelli in Occidente e inoltre la società araba è normalmente più interessata all’atto sessuale in sé piuttosto che all’identità sessuale.

Nella tua tesi parli anche della transessualità in Iran…

Nella Repubblica Islamica Iraniana, dove l’omosessualità è un crimine punibile con la morte, il fatto che lo stato promuova e, ancor di più, finanzi il cambio di sesso può sembrare un fenomeno insensato. In realtà, se si analizzano le finalità, si comprende che la questione della transessualità non è altro che una strategia messa in atto dal governo per decretare la fine dell’ingombrante e fastidioso problema dell’omosessualità.

Nel corso delle tue ricerche hai anche contattato delle associazioni di arabi omosessuali?

Sì, sono riuscito a contattare due associazioni di arabi omosessuali. La prima si chiama Helem (“sogno” in arabo), un’organizzazione, dapprima registrata in Canada e successivamente anche in Libano, che è riuscita ad affiancare alla battaglia per i diritti dei gay anche altre lotte, quali la parità dei sessi, la divisione fra sfera statale e sfera religiosa, l’informazione sulle malattie sessualmente trasmissibili come l’HIV… Così facendo, il 7 marzo 2006 le autorità libanesi diedero il tacito consenso al primo convegno arabo sui diritti dei gay che si tenne a Beirut. Questo avvenimento è di vitale importanza per i diritti degli omosessuali in Medio Oriente e identifica il Libano come lo stato più tollerante fra tutti i paesi arabi.

La seconda associazione è di origine marocchina e si chiama KifKif (in arabo “come come”). Questa organizzazione ha diverse basi, tra cui una anche in Italia. Lo scopo di KifKif è quello di riuscire a costituire un centro gay in Marocco (paese in cui gli atti omosessuali sono puniti con una condanna da sei mesi a tre anni di reclusione) che fornisca supporto psicologico e uno spazio sicuro per l’interazione tra gay, lesbiche, bisessuali e transgender.



Che impressione hai tratto da queste due associazioni?

Per poter difendere realmente i diritti degli omosessuali in questi paesi ritengo sia doveroso conoscerne il contesto sociale e culturale, perché il lavoro meticoloso delle associazioni arabe per la difesa dei diritti dei gay rischia di essere danneggiato dall’approccio delle organizzazioni occidentali. Queste ultime ritengono che l’ostacolo principale per la libertà sessuale nei paesi arabo-islamici sia l’Islam e concentrano le loro battaglie contro gli aspetti immutabili della religione e della cultura. Così facendo, però, rischiano di sostenere senza volerlo la causa dei tradizionalisti arabi e musulmani, i quali si sentono giustificati a difendere il proprio patrimonio culturale chiedendo il diritto di continuare a punire l’omosessualità per rispetto della propria religione [per approfondire: Il grande colibrì; NdR].

Quale opinione ti sei fatto sul legame tra le cosiddette “primavere arabe” e la questione dell’omosessualità?

I crescenti cambiamenti politici nel mondo arabo avvenuti nell’ultimo anno hanno dato a milioni di persone la speranza di un grande cambiamento. Le opinioni delle persone omosessuali sono contrastanti. Alcuni ritengono che i cambiamenti non andranno ad influire negativamente sul loro stile di vita poiché rimarranno ad un livello politico. Altri invece vedono il futuro meno roseo, temono infatti che le forze conservatrici prendano il sopravvento peggiorando così la loro situazione. Personalmente credo la “primavera araba” influenzerà sicuramente le strutture sociali e politiche delle popolazioni arabe ed è presumibile che anche la sfera omosessuale venga toccata da questi sconvolgimenti, spero positivamente [per approfondire: Il grande colibrì; NdR].

Quali sono le conclusioni che ti sembrano più interessanti nel tuo lavoro?

L’analisi che ho fatto cerca di dare un’immagine generale su come venga considerata l’omosessualità in alcuni paesi arabo-islamici, ponendo l’accento sui problemi che quegli arabi il cui orientamento sessuale non rientra nel concetto di “normalità” devono affrontare. Sebbene in un primo momento, in particolare prima dell’influenza occidentale, la società araba musulmana mostrò una relativa tolleranza nei confronti dell’omosessualità, una delle questioni che ho cercato di spiegare è il motivo della riluttanza della società a tollerare le diversità sessuali. Come per molte altre cose proibite dalla società, ciò che conta è l’apparenza: finché si può fingere che qualcosa non succeda, non occorre far nulla per fermarla. Nei paesi arabi, dunque, l’omosessualità viene considerata un comportamento perverso, una malattia mentale e trattata di conseguenza da medici specializzati con terapie più o meno invasive. E’ comunque importante ricordare che le argomentazioni contro l’omosessualità, proposte oggi nei paesi arabi, caratterizzavano i paesi occidentali e cristiani.

 

Pier
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5 Comments

  • Anonimo ha detto:

    ho una domanda che non ha a che fare con questo argomento, ma ho visto che sei molto documentato….
    ma perché le guerre etniche si sono sviluppate in Africa e non negli altri paesi europei o americani??
    grazie

  • Anonimo ha detto:

    in Marocco c'è la condanna da sei mesi a tre anni di reclusione anche per etero. se hanno un rapporto sessuale senza essere sposati.I gay, almeno per la mia esperienza, riescono ad avere cmq. una vita abbastanza tranquilla,considerato che il marocco è un paese musulmano. ci sono personaggi dello spettacolo che tutti sanno che sono gay, ma non ho mai sentito che sono finiti in prigione. nel mio quartiere c'era un trans che d'estate lavorava alla fiera e si vestiva da donna, (parlo di 20 anni fa,nella città di Kenitra) ..mai una volta ho visto o sentito qualq1 prenderla in giro e non ha mai subito nessun arresto. ed era truccata anche di giorno! non sto dicendo che sono tutti rose e fiori per i noi gay.. ma credo che c'è un vivi e lascia vivere che a me piace!!

  • Raymond Bursi ha detto:

    salve
    ho una relazione da almeno 10 mesi con un ragazzo marocchino che vive in marocco ancora attualmente.Ci vediamo spesso perchè resco ad andarci abbastanza sovente.
    Mi interesserbbe tanto leggere la tua tesi, sempre sia possibile.
    nel caso che sì, potresti dirmi come fare per leggerla?
    Grazie
    ray

  • FrancescaG ha detto:

    ciao MI chiamo Francesca , anche io sto curando l'argomento per la mia tesi di laurea . potrei avere la mail di enrico , per chiedergli qualche info perfvaore ??

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