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“Da quando i prelati hanno dichiarato che Ebola è una piaga inviata da Dio per punire la sodomia in Liberia, c’è stata un’escalation di violenza contro i gay. Reclamano anche la pena di morte. Viviamo nel terrore” spiega l’attivista gay Leroy Ponpon a Reuters. Gli omosessuali liberiani subiscono pestaggi, devastazioni e abusi da parte di una popolazione terrorizzata dal virus mortale e aizzata dalle chiese, che descrivono Ebola come una punizione divina contro l’immoralità. A diffondere paura e odio non sono state solo le chiese evangeliche integraliste, protagoniste di tante campagne omofobiche in Africa, ma anche importanti esponenti della solitamente più “prudente” Chiesa cattolica: a maggio, ad esempio, l’arcivescovo di Monrovia Lewis Zeigler ha detto che “una delle principali trasgressioni contro Dio per le quali Egli starebbe punendo la Liberia è l’omosessualità”.

Non che ci sia nulla di particolarmente nuovo: siamo abituati a sentire come qualsiasi calamità naturale o umana, dai terremoti alla disoccupazione, sia attribuita alle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). E sul legame assurdo tra Ebola e omosessualità si sono già ampiamente espressi vari famosi predicatori statunitensi: ad aprire la macabra danza delle dichiarazioni folli è stato il pastore battista Ron Baity, in Carolina del Nord, che aveva dichiarato, senza far troppo caso al fatto che finora sono morti quasi 5mila africani e solo un americano, che con Ebola Dio starebbe punendo l’America per aver legalizzato l’omosessualità e i matrimoni tra persone dello stesso sesso [Good As You].

Rick Wiles, noto presentatore radio vicino al Partito repubblicano, è riuscito a dire sciocchezze persino peggiori, rallegrandosi esplicitamente per quella che definisce “una pandemia globale” che “potrebbe risolvere i problemi dell’America con l’ateismo, l’omosessualità, la promiscuità sessuale, la pornografia e l’aborto. Se ebola diventa una piaga globale, fareste meglio ad assicurarvi che il sangue di Gesù sia sopra di voi, fareste meglio ad assicurarvi di essere stati segnati dagli angeli affinché siate protetti da Dio. Altrimenti potreste essere candidati a incontrare la triste mietitrice [cioè la morte; N.d.R.]” [Right Wing Watch].

Dichiarazioni di questo tipo sembrano così insensate da non meritare neppure un po’ di attenzione, ma in realtà non sono da sottovalutare. Una popolazione nel panico può facilmente cadere preda di teorie assurde, come in passato è avvenuto tante volte (ricordate le cacce agli untori negli anni della peste?), oggi sta avvenendo in Liberia e domani potrebbe avvenire nei paesi confinanti e anche altrove.

Per questo il movimento LGBT oggi è chiamato non solo a difendere le persone omosessuali e transessuali di tutto il mondo chiedendo che tutte le istituzioni si impegnino nel contrastare teorie anti-scientifiche che individuino un qualsiasi legame tra la diffusione di ebola e l’omosessualità, ma anche ad attaccare coloro che stanno strumentalizzando ebola per vergognosi calcoli di potere, ovunque questo accada, chiunque lo stia facendo, contro qualsiasi categoria ciò stia avvenendo.

L’AIDS ha portato alla comunità LGBT non solo una lunga sequela di lutti e di traumi, ma anche una conoscenza approfondita di quello che succede quando una malattia diventa uno strumento politico per attaccare una minoranza. Le parole dei sacerdoti liberiani e americani le conosciamo bene, sono state violentemente scolpite nella nostra memoria collettiva. In fondo il discorso di Rick Wiles sull’ebola, ad esempio, può essere considerato come una semplice e triste riproposizione del discorso sull’AIDS pronunciato quasi trent’anni fa dal repubblicano Newt Gingrich: “L’AIDS sarà più efficace di qualsiasi altra cosa abbiamo mai visto nel ricordare all’America quanto costi violare i valori tradizionali e nel farle capire quanto certi comportamenti siano pericolosi: per noi è un grande grido di riscossa!”.

Conosciamo bene queste parole. Sappiamo quante discriminazioni, quanto dolore e quanta violenza possono scatenare. Sappiamo quanto la fobia irrazionale dell'”untore” possa ostacolare una lotta razionale alla malattia. E nella nostra storia abbiamo trovato, per coraggio o per disperazione, la forza per ribellarci, gli strumenti per reagire. Sono questi gli strumenti che abbiamo in larga parte abbandonato (come se lo stigma nei confronti delle persone HIV-positive fosse davvero passato!) e che dovremmo rispolverare oggi per impedire che religiosi e politici trasformino ebola nella “peste degli omosessuali” o nella “peste degli immigrati” come negli anni Ottanta trasformarono l’AIDS nella “peste dei gay”.

 

Pier
©2014 Il Grande Colibrì

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