Skip to main content

La notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 i resti di un caicco partito dalla Turchia si arenavano sulla spiaggia di Cutro, in provincia di Crotone: 94 vittime, tra cui 34 bambini. È trascorso un anno da quella che è ricordata come una delle peggiori tragedie della migrazione degli ultimi anni. Purtroppo, quella data ha segnato anche un punto di svolta per quel che riguarda la vita e le opportunità dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia.

Un anno dalla strage di Cutro: una politica migratoria fallimentare

Cosa è successo da quel momento in poi?

GLI ANTEFATTI

Ricordiamo prima di tutto qual era la situazione poco prima dei fatti di Cutro: il 2 febbraio, era stato rinnovato il memorandum Italia Libia del 2017, e proprio il 24 febbraio 2023 era stato convertito in legge il decreto n. 1/2023 del 2 gennaio, che stabiliva le nuove regole per le ONG che si occupano di salvataggi in mare. Da quel momento è il Viminale a decidere quale deve essere il punto di sbarco, verso cui le navi devono dirigersi “senza ritardi” per non incorrere in pesanti sanzioni. Con questa legge, le navi sono state indirizzate sempre più spesso verso porti lontani dalle acque in cui recuperavano i naufraghi: ad esempio, è successo che si spostassero dal confine libico a La Spezia o a Carrara. E per “non ritardare”, sono costrette ad evitare salvataggi multipli. In seguito a questa legge, ci sono stati problemi e fermi (cosa accaduta più volte, per esempio, all’ONG spagnola Open Arms) e le procedure e tempistiche dei soccorsi sono diventate più complicate. Nel 2023, i morti in mare accertati sono stati almeno 2571: quasi 1000 in più rispetto al 2022.

Un anno dalla strage di Cutro: una politica migratoria fallimentare

IL DECRETO CUTRO

Dopo i fatti di Cutro, la situazione ha iniziato a delinearsi in maniera più chiara.

All’indomani della tragedia, è stato varato il decreto 20/2023 del 10 marzo (il “decreto Cutro”), convertito in legge il 5 maggio. L’accesso alla richiesta di asilo è diventato più difficoltoso, in particolare per chi proviene dai cosiddetti Paesi sicuri (di cui abbiamo già parlato qui). Inoltre, la legge favorisce la detenzione nei Centri per il Rimpatrio (CPR) e limita i servizi del sistema di accoglienza (corsi di italiano, orientamento legale e sanitario, supporto psicologico, ecc.). Questo ha reso ancora più difficile far emergere e offrire supporto ad alcuni tipi di vulnerabilità, come quella di richiedenti asilo LGBTQIA+.

Inoltre, sono stati rimossi dai criteri per la valutazione delle richieste di asilo tutti i riferimenti al percorso di integrazione del richiedente e al rispetto della sua vita privata. A fronte di alcuni punti poco chiari nel testo della legge, una circolare inviata il 1 giugno dal Ministero dell’Interno alle Questure specifica che i richiedenti che hanno ottenuto un permesso biennale per protezione speciale, potranno rinnovarlo solo due volte e non avranno più la possibilità di convertirlo in un permesso di lavoro, rischiando di diventare tutti irregolari nel giro di pochi anni. Tuttavia alcuni ricorsi hanno portato diversi Tribunali a pronunciarsi in maniera diversa, consentendo la conversione, e quindi la situazione resta estremamente incerta.

IL POTENZIAMENTO DEI CPR

Questo, però, è stato solo l’inizio.

Il 17 marzo, la lista dei paesi sicuri è stata ampliata con l’aggiunta di Nigeria, Costa D’Avorio e Gambia (link) e il 7 agosto, una nuova circolare ministeriale ha stabilito che chi ottiene la protezione internazionale dovrà abbandonare il sistema di accoglienza a prescindere dal suo livello di autonomia e dalle sue condizioni personali (link).

Il Decreto 124 del 19 settembre 2023 ha poi stabilito un ulteriore potenziamento dei CPR, stanziando fondi per costruirne di nuovi, anche in previsione di un aumento degli invii determinati dalle nuove norme del decreto Cutro. Oggi rischia di essere inviato in un CPR chi proviene da un cosiddetto paese sicuro e chi elude i controlli alla frontiera, ma anche chi ha il passaporto scaduto o fornisce false generalità, solo per fare alcuni esempi. Potrebbe essere trattenuto in un CPR anche chi è in attesa della valutazione dell’ammissibilità della sua richiesta di asilo e, soprattutto, chi non può fornire opportune garanzie finanziarie.

Le garanzie finanziare che permettono di non essere inseriti nei CPR, pur provenendo da un paese sicuro, sono stabilite dal decreto 14 settembre 2023, secondo il quale si può evitare questo rischio se si è in grado di inviare – tramite fideiussione bancaria – una somma pari a 4.938 euro. Dopo vari ricorsi – partiti da alcuni richiedenti provenienti da paesi sicuri e inizialmente trattenuti nel CPR di Pozzallo – la questione è arrivata alla Cassazione, che recentemente ha demandato la valutazione del provvedimento alla Corte di Giustizia UE, che al momento non si è ancora espressa.

In ogni caso, lo scorso dicembre, alcune ispezioni a sorpresa della Guardia di Finanza presso il CPR di Via Corelli, a Milano, hanno confermato tutti i peggiori dubbi riguardo a questo tipo di struttura (link).

I MINORI NON ACCOMPAGNATI E L’ACCORDO CON L’ALBANIA

Il 5 ottobre è arrivato il decreto 133, convertito in legge il 1 dicembre, che rende ancora più complicato il percorso dei richiedenti che scelgono di abbandonare il sistema di accoglienza. Il decreto stabilisce anche che i minori non accompagnati di età superiore ai 16 anni (e cioè la maggior parte) dovranno essere ospitati dal sistema SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), peraltro già intasato dalla presenza dei profughi ucraini. Se inizialmente lo scopo del SAI doveva essere quello di facilitare il percorso di integrazione della popolazione rifugiata (come ribadito anche dal decreto Cutro), a causa di questo ingolfamento ha finito per escluderla sempre più spesso.

Da notare che a fine 2023 i minori non accompagnati presenti in Italia – e presi in carico dalle amministrazioni comunali – erano circa 24.000, mentre i posti disponibili nel sistema SAI sono attualmente 34.827. Con la recente manovra finanziaria per il 2024/2027, sono stati ancora tagliati 15 milioni di euro all’anno dal fondo per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei minori non accompagnati.

Un anno dalla strage di Cutro: una politica migratoria fallimentare

In compenso, il 6 novembre sono state avviate le trattative per creare dei campi di detenzione in Albania, in cui inviare i richiedenti asilo (maschi e maggiorenni) arrivati in Italia, e proprio in questi giorni il progetto ha ottenuto l’approvazione del Parlamento e della Corte Costituzionale albanese. L’investimento ipotizzato dal Governo italiano per portare avanti questa operazione sarebbe di almeno 92,5 milioni di euro il primo anno e poi 49 per ognuno dei quattro successivi (link).

Inutile dire che, ad essere più penalizzate da questo accanimento, saranno ancora una volta le categorie più vulnerabili e in particolare i richiedenti asilo LGBT+, che vedranno ridursi drasticamente le opportunità di entrare in contatto con una rete che possa supportarli nel loro percorso personale e nell’affermazione del loro diritto di asilo. Magari finendo reclusi fin da subito in un CPR italiano o in un centro di detenzione albanese.

UNA MINACCIA IMMAGINARIA

Eppure questo approccio, finalizzato a presentare il diritto di asilo come una potenziale minaccia per la stabilità e la sicurezza del nostro Paese, diventa ancora più incomprensibile se si analizzano alcuni numeri.

Gli ultimi dati forniti da UNHCR (link) parlano di 114.000 richiedenti asilo (ad agosto 2023) e di 148.000 titolari di protezione internazionale residenti sul territorio italiano (a giugno 2023). Se, come riferisce l’Istat, gli stranieri residenti in Italia sono 5.141.000 vuol dire che richiedenti e titolari rappresentano rispettivamente il 2,21% e il 2,8% della popolazione migrante.

Per avere un’idea delle proporzioni, è bene ricordare che i profughi provenienti dall’Ucraina sono 160.000, e rappresentano da soli il 3,1% degli stranieri presenti in Italia (anche se il totale dei cittadini ucraini residenti raggiunge le 249.613 unità, e rappresenta il 4,86% ), e comunque sono meno dei 416.829 albanesi (l’8,11% del totale), in testa nella classifica dei residenti provenienti dall’Europa extra-UE. Il paese europeo con la più cospicua presenza di cittadini sul nostro territorio è invece la Romania, che copre da sola il 21,04% della popolazione migrante (1.081.836 residenti). Questo è un dato interessante, perché se si sommano i residenti provenienti da tutto il continente africano si arriva solo al 22,40% (1.151.433 persone), con una netta prevalenza dei cittadini marocchini (415.088 persone). La presenza asiatica più rilevante è quella dei cittadini cinesi, con 307.038 residenti, e vale da sola il 6%.

Quindi, dati alla mano, è evidente che solo una parte delle persone che sbarca sulle nostre coste resta sul nostro territorio portando avanti una richiesta di asilo, per poi divenire – a fronte della sua maggiore vulnerabilità – il bersaglio principale di tutti i provvedimenti che abbiamo riassunto sin qui. Anche se di fatto rappresenta una quota molto marginale del fenomeno migratorio in Italia, e di sicuro non giustifica l’allarmismo degli ultimi anni.

Un anno dalla strage di Cutro: una politica migratoria fallimentare

UNA POLITICA VIOLENTA E INEFFICACE

Il bilancio del 2023 ha dimostrato che questi provvedimenti non sono serviti nemmeno a limitare gli arrivi via mare. Nel 2023, sono sbarcati in Italia circa 158.000 migranti, il 50% in più rispetto al 2022 e oltre il 130% di più rispetto al 2021. In crescita anche gli arrivi di minori non accompagnati: 17.000, +23% rispetto al 2022 e +72% rispetto al 2021. (link)

In compenso, si tratta di provvedimenti molto efficaci quando si tratta di annichilire le vite e le speranze di chi, una volta approdato sul suolo italiano, meriterebbe tutt’altro genere di risposta.

 

Valeriano Scassa
©2024 Il Grande Colibrì

Leave a Reply