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A cavallo di Ferragosto, alcuni quotidiani nazionali hanno riportato la notizia dell’avvio dei lavori per la realizzazione, a Pozzallo, del primo centro per richiedenti asilo sbarcati in Italia da Stati che rientrano nella cosiddetta lista dei “Paesi sicuri”, e che quindi verranno sottoposti a una procedura accelerata.

Questi centri, previsti dal DL 20/2023 (il cosiddetto Decreto Cutro), saranno delle strutture di detenzione amministrativa – in sostanza delle carceri, in cui i richiedenti asilo dovrebbero attendere al massimo un mese prima di avere una risposta dalla Commissione territoriale o, in caso di risposta negativa, da parte di un giudice. Se anche in questo caso la risposta sarà negativa, è previsto il loro rimpatrio, o perlomeno la loro espulsione. Inoltre la normativa europea prevede la possibilità di dichiarare inammissibile qualsiasi richiesta di asilo proveniente da un “Paese Sicuro” (direttiva 2013/32/UE Art 33/c)

QUALI SONO I PAESI SICURI?

Per inquadrare meglio la situazione, bisogna fare alcuni passi indietro.
La nozione di Paese sicuro è stata introdotta nella normativa europea dalla direttiva 2005/85/CE. Poi è stata deliberata la direttiva 2013/32/UE che permette di processare in maniera più veloce le richieste di asilo di chi arriva dai “Paesi sicuri”, inseriti in una lista che può essere compilata in autonomia da ciascuno Stato membro.

Il Decreto 4 Ottobre 2019 aveva introdotto per l’Italia una prima lista di “Paesi sicuri”, per i cui cittadini diventava molto più complesso portare avanti una richiesta di asilo in Italia .

Di questa prima lista facevano parte Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Ucraina e Tunisia. Con l’aggiornamento del Decreto 17 marzo 2023, è stata rimossa l’Ucraina (per ovvi motivi), e sono stati aggiunti Georgia, Gambia, Nigeria e Costa D’Avorio.

COSÌ SICURI PER LE PERSONE LGBTQIA+?

In Marocco, Tunisia e Algeria le persone omosessuali rischiano fino a 3 anni di carcere, così come in Ghana – dove, giusto il 7 luglio, è stata approvata anche una nuova legge che prevede fino a 10 anni di carcere per chi promuove i diritti LGBT+. In Senegal si arriva a 5 anni, in Nigeria a 14 (ma negli Stati islamici si può applicare la pena di morte), e in Gambia si può arrivare all’ergastolo. In questa lista ci sono anche altri Paesi che, nonostante una legislazione ufficialmente tollerante, vivono in un clima pesantemente omofobo e repressivo, come nel caso della Costa D’Avorio.

L’ASGI (Associazione Studi Giuridici Sull’Immigrazione) si è chiesta in base a quale criterio sia stata compilata e poi aggiornata la lista italiana, e ha provato ad analizzare nel dettaglio la questione. Tuttavia, quello che emerge dalla sua accurata indagine è che il governo italiano si dice convinto che la situazione in alcuni Paesi non sia poi così brutta come sembra, e che pertanto avesse senso inserirli in questa lista.

PAESI SICURI E COMUNITÀ DI RESIDENTI STRANIERI

Questa giustificazione lascia spazio a diverse perplessità, soprattutto se si confronta la lista dei “Paesi Sicuri” con gli ultimi dati ISTAT in fatto di residenti stranieri in Italia. Analizzando questi dati, ci si rende conto che quasi tutti i “Paesi sicuri” della lista coincidono con i Paesi dell’Africa e dell’Europa extra-UE che, in Italia, contano le più numerose comunità di residenti.
Per quel che riguarda l’area africana il Marocco è al primo posto (con 420.172 residenti), la Nigeria è terza (119.435), Senegal quarto (110.763 ), Tunisia quinta (99.002 ), Ghana sesto (48.280 ), Costa D’Avorio settima (28.385 ), Gambia ottavo (21.826), Algeria decima (17.998), mentre Capo Verde è solo alla diciannovesima posizione (3694). Da notare l’assenza di Egitto, Mali e Camerun (che pure sono al secondo, nono e undicesimo posto), forse dovuta ai recenti problemi diplomatici con la giustizia egiziana e all’oggettiva instabilità politica degli altri due Stati, che avrebbe reso ingiustificabile – anche di fronte all’opinione pubblica – il loro inserimento nella lista dei “Paesi sicuri”.

Per quanto riguarda i Paesi extra-UE dell’Europa centro orientale, invece, l’Albania è al primo posto (419.987 residenti), l’Ucraina (presente nella lista del 2019) è al secondo posto (225.307 residenti), la Macedonia del Nord è quarta (53.443), il Kosovo quinto (37.064), la Serbia settima (31.432), la Bosnia-Erzegovina ottava (21.234) e il Montenegro undicesimo (1.942 ).
Anche in questo caso la lista dei “Paesi sicuri” non coincide esattamente con le comunità più numericamente rilevanti sul territorio italiano. Mancano la Russia (per ovvi motivi), che è al sesto posto (con 36.982 residenti), e la Moldova, che è al quarto, con 114.914 presenze. Però, è pur vero che secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro, solo lo 0,2% dei moldavi residenti in Italia è presente a seguito di una richiesta di asilo.

La Georgia, che è stata aggiunta alla lista dei “Paesi sicuri” quest’anno, è invece al primo posto per quel che riguarda i residenti stranieri provenienti dall’Asia occidentale (22.907).

La sovrapposizione quasi perfetta fra la lista dei “Paesi sicuri” e i dati ISTAT potrebbe essere solo un’improbabile coincidenza, ma è difficile non leggervi la volontà di limitare la crescita di alcune comunità straniere già molto numerose, anche se questo significa bipassare la Convenzione di Ginevra, l’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani e l’Articolo 10 della Costituzione Italiana.

LE LISTE DEGLI ALTRI PAESI UE

Per avere le idee più chiare, si può consultare l’AIDA (Asylum Information Database) creato dall’ECRE (European Council on Refugees and Exiles), che mette a disposizione le liste di “Paesi sicuri” compilate da diversi Stati dell’Unione Europea.

Analizzando questi dati, emerge una situazione abbastanza curiosa: se su alcuni “Paesi Sicuri” (come l’Albania) c’è una generale convergenza, in altri casi viene il sospetto che la lista venga compilata con una discrezionalità opinabile. L’unica lista a includere il Pakistan, per esempio è quella della Grecia (primo punto di arrivo europeo per i pakistani che percorrono la rotta balcanica), e l’unica lista che ha aggiunto Nigeria e Costa D’Avorio risulta quella italiana.

Oltretutto, consultando i dati del Ministero dell’Interno riguardo agli sbarchi avvenuti in Italia da gennaio a maggio 2023, si scopre che la presenza più numerosa è stata proprio quella dei cittadini ivoriani (16% circa). Ivoriani che, guarda caso, a partire dal 17 marzo 2023, devono portare avanti la loro richiesta di asilo in condizioni più difficili. Da notare che Spagna, Portogallo, Polonia, Romania e Bulgaria non hanno una lista, valutando la sicurezza dei Paesi di provenienza in rapporto a ciascun caso.

UNA DETENZIONE PERICOLOSA PER I RICHIEDENTI ASILO LGBTQIA+

In situazioni di detenzione amministrativa, come nel caso del nuovo centro di Pozzallo, le probabilità di ottenere una risposta positiva saranno quasi pari a zero. Per le persone LGBTQIA+ (che, visti i “Paesi sicuri” di cui sopra, potrebbero rappresentare una buona percentuale di chi verrà sottoposto a questo trattamento) la situazione potrebbe essere ancora più svantaggiosa.

In generale, le persone che fuggono da contesti pesantemente omobitransfobici hanno subito traumi che richiedono un’attenzione specifica e hanno maggiore difficoltà ad esporre il proprio vissuto in modo convincente. Per riuscirci hanno bisogno di tempo e di un supporto adeguato.

In molti casi, non sono nemmeno consapevoli di essere arrivate in uno Stato dove il loro orientamento non è criminalizzato. Quindi, se non hanno tempo e modo di capire che in Italia possono chiedere asilo in ragione del loro orientamento sessuale o identità di genere, possono anche decidere di non raccontare la verità, compromettendo da subito il loro percorso.

Una situazione di detenzione amministrativa e una procedura accelerata, ovviamente, possono solo aggravare questa situazione. Vivendo in detenzione con altre persone che provengono da contesti omobitransfobici, queste persone avranno più paura di esporsi. Potrebbero esserci anche dei problemi legati alla loro incolumità fisica, senza che gli venga data la possibilità di chiedere l’intervento di associazioni o enti esterni.

Inoltre, anche ammesso che questi richiedenti asilo vogliano raccontare la loro vera storia e riescano ad esporla in maniera credibile, non avranno alcuna possibilità di portare in sede di valutazione dei riscontri verificabili sul territorio italiano, ad esempio intraprendendo una relazione sentimentale o frequentando la comunità LGBTQIA+ locale. Elementi, questi, che in molti casi possono davvero fare la differenza.

LA RESPONSABILITÀ È NAZIONALE

A scanso di equivoci, è bene ribadire che la direttiva europea 2013/32/UE stabilisce alcuni criteri per la designazione dei Paesi sicuri. La presenza di generalizzate persecuzioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere è sostanzialmente incompatibile con la definizione di “Paese Sicuro”, in particolare per chi appartiene ai gruppi sociali che ne sono vittima (2011/95/UE).

Quindi, la responsabilità della situazione italiana non si può imputare alle direttive europee, che non hanno mai previsto la creazione di centri di detenzione specifici per richiedenti asilo che provengono da “Paesi sicuri” – in cui però l’omosessualità è un crimine.
Pertanto, questa situazione potrebbe anche aprire la porte ad una segnalazione presso la Commissione Europea, l’ente preposto alla vigilanza sull’applicazione del diritto europeo.

PER MOBILITARSI

Se siete associazioni o cittadini europei e pensate che sia il caso di segnalare la situazione, potete farlo anche direttamente, attraverso il sito della Commissione Europea (link).

Nel frattempo, il governo italiano ha annunciato che a breve varerà nuovi decreti sicurezza, quindi è legittimo aspettarsi nuove sorprese.

 

Valeriano Scassa
©2023 Il Grande Colibrì

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