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Il 7 agosto 2023, una circolare del Ministero dell’Interno, indirizzata a tutte le Prefetture del territorio italiano, ha indicato una sostanziale revisione della politica di accoglienza per chi ha già ottenuto una forma di Protezione Internazionale.

Il primo quotidiano a darne notizia è stato La Repubblica venerdì 11 agosto, ma la circolare era stata già recepita, e resa operativa, da diverse Prefetture a partire dal giorno successivo all’invio.

Per capire la portata di questa circolare, bisogna riassumere brevemente la situazione attuale.

© Foto di Francesco Bellina / Cesura

I CAS: UN APPROCCIO EMERGENZIALE

Chi arriva in Italia, anche in maniera irregolare, e dichiara di voler richiedere asilo a fronte della mancanza di mezzi di sostentamento, avrebbe diritto a un posto nel sistema di prima accoglienza, in attesa del giudizio espresso dalla Commissione Territoriale che deve valutare il suo caso (o del ricorso in Tribunale se la Commissione esprime un parere negativo).

Nei fatti questo diritto è subordinato alla disponibilità di spazi e ad altri fattori, ma in linea generale, negli ultimi anni, era un diritto garantito nella maggior parte dei casi.

E laddove l’accoglienza ordinaria – gestita perlopiù dalle istituzioni locali – non era sufficiente, il Governo incaricava le Prefetture di organizzare dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria). L’istituzione dei CAS era stata ufficializzata a partire dal 20151 e le Prefetture li attivavano tramite bandi pubblici.

L’accoglienza tramite CAS, nel tempo, è diventata quella più diffusa, anche perché i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno preferito mantenere un approccio emergenziale alle migrazioni.

© Foto di Francesco Bellina / Cesura

I TAGLI AL SISTEMA DI ACCOGLIENZA

Oltretutto, solo dal 2018 al 2020, circa 3000 strutture di accoglienza sono state chiuse (il 25,6% del totale). Questo calo è coinciso con una serie di tagli al finanziamento del sistema di accoglienza, in concomitanza con i Decreti Sicurezza del 2018 e con il memorandum Italia-Libia.

Dopo questi tagli, molti operatori che fino al 2018 si erano occupati di accoglienza avevano deciso di disertare i bandi, a fronte dell’impossibilità di garantire tutti i servizi richiesti rientrando nel budget messo a disposizione.

Tuttavia, il sopraggiungere della pandemia aveva rallentato l’apertura di nuove rotte migratorie. Così, di fatto, non si era sentito ancora il peso del depotenziamento del sistema di accoglienza italiano, che non è mai tornato ad avere risorse paragonabili a quelle che aveva prima del 2018.

Certo, dopo i tagli, i CAS gestiti dalle Prefetture hanno garantito solo vitto e alloggio, abbandonando gradualmente gli aspetti legati alla formazione e all’integrazione, e arrivando anche a lesinare sull’assistenza medica. Ma comunque gli ospiti potevano usufruire dell’accoglienza nell’attesa della valutazione della Commissione o del Tribunale.

Quando la loro richiesta di asilo risultava attendibile e ottenevano la Protezione Internazionale, avevano il diritto di restare ospiti del sistema di prima accoglienza fino al ricevimento del permesso di asilo, eventualmente in attesa di una collocazione in un progetto di seconda accoglienza, più orientato verso l’integrazione.

Questo percorso non era sempre così lineare: se le Prefetture verificavano che un richiedente asilo aveva lavorato quanto bastava per guadagnare un importo lordo pari ad un’annualità dell’assegno sociale (che, al momento, è pari a 6034,29 euro) potevano comunque revocare il suo diritto all’accoglienza. E i richiedenti che incorrevano in questa decisione erano anche tenuti a pagare una multa pari alla spesa sostenuta dai CAS durante tutti i mesi in cui avevano usufruito del sistema di accoglienza, pur avendo superato la somma di cui sopra2.

© Foto di Francesco Bellina / Cesura

L’IMPATTO DELLA GUERRA IN UCRAINA

Ora, dopo i tagli ai finanziamenti del 2018, molti bandi per la gestione dei CAS sono stati disertati, nonostante un crescente fabbisogno dovuto anche ad emergenze impreviste, come la guerra in Ucraina.

I primi a farne le spese sono stati tutti coloro che sono arrivati in Italia attraverso la rotta balcanica, o comunque non attraverso il Mediterraneo, tentando di formalizzare la loro richiesta d’asilo direttamente in Questura. La legge prevede che i richiedenti asilo senza mezzi di sostentamento debbano trovare posto nel sistema di accoglienza non appena gli viene data la possibilità di manifestare la volontà di richiedere asilo3; ma per non fargli occupare troppi posti senza infrangere la legge, si è iniziato ad accogliere le loro richieste sempre più tardi, lasciandoli in strada per periodi sempre più lunghi.

In questa situazione, sono aumentati anche i casi di provvedimenti di espulsione verso persone che, pur arrivando in Italia con l’intento di chiedere asilo, non ne hanno avuto la possibilità, e sono perciò rimasti semplici clandestini. Questo fenomeno si è acuito, appunto, con la volontà di dare la precedenza a chi proveniva dall’Ucraina.

LA SATURAZIONE DEI CAS

Nonostante questo approccio abbia rallentato la saturazione dei CAS, il definitivo ritorno alla normalità dopo la pandemia e l’aumento degli sbarchi dalla Tunisia hanno fatto riemergere il problema dell’inadeguatezza del sistema di accoglienza italiano e dei mancati investimenti degli ultimi anni. Dal 2017 al 2023 i posti disponibili nei CAS sono passati da 158.940 a 83.385.

Quindi, a fronte di un incremento degli approdi in Italia, che comunque restano di molto inferiori a quelli del 2015 (come si può vedere dai grafici forniti da UNHCR), la diminuzione dei posti disponibili ha portato alla tanto temuta saturazione del sistema di accoglienza.

Non è difficile capire, pertanto, da dove parte realmente il problema. A fronte di questa situazione, le alternative potevano essere solo due: aumentare gli investimenti nell’ambito dell’accoglienza o trovare nuove strategie per velocizzare il ricambio degli ospiti.

LA CIRCOLARE DI AGOSTO: QUALE SCENARIO?

La circolare del Ministero dell’Interno del 7 agosto 2023 sembra preferire la seconda opzione, e lo fa in maniera molto discutibile.

Invita le Prefetture che gestiscono i CAS ad allontanare dal sistema di accoglienza tutte le persone che hanno appena ricevuto qualche forma di Protezione Internazionale. All’indomani di una risposta positiva di Commissioni o Tribunali, i titolari dovranno lasciare l’accoglienza a prescindere dalle proprie condizioni economiche, dal loro stato di salute e dal loro livello di integrazione. E, soprattutto, senza avere già in mano il loro nuovo permesso di soggiorno.

Per ottenere un nuovo permesso, bisogna dichiarare un domicilio, tramite una certificazione di ospitalità o di residenza – certificazioni garantite automaticamente a quanti sono ospiti del sistema di accoglienza. Ottenerle senza aiuto non è semplice, soprattutto per chi non ha già avviato un percorso di autonomia, quindi il rischio è che nei prossimi mesi aumenti il numero dei titolari di Protezione Internazionale privi di documenti e di un alloggio.

Senza un permesso, non è possibile avere accesso a diversi servizi essenziali: firmare un contratto di lavoro o di affitto, aprire un conto in banca, anche solo fare domanda per entrare in un dormitorio pubblico; e soprattutto, rinnovare la tessera sanitaria – il che contravviene all’articolo 32 della Costituzione Italiana.

E questo è particolarmente grave alla luce del fatto che molti titolari di Protezione Internazionale sono anche malati cronici, che necessitano un rifornimento costante di medicinali. Tanto più che in alcuni casi hanno ottenuto un permesso proprio in ragione dei loro problemi di salute.

Inoltre, i rifugiati hanno diritto a beneficiare dei progetti di seconda accoglienza. Ma non avranno più il tempo materiale per procedere alla richiesta di inserimento tramite le strutture di prima accoglienza, che finora potevano garantire un alloggio in attesa dell’inserimento nella seconda accoglienza.

LE RIPERCUSSIONI SU RIFUGIATI LGBTQIA+

Un provvedimento di questo tipo avrà ripercussioni più gravi sui rifugiati che vivono in una situazione di maggiore vulnerabilità, come le persone LGBTQIA+ che spesso non possono appoggiarsi alla rete dei connazionali. Se poi si tratta di persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato in tempi molto rapidi, e dopo pochi mesi di permanenza in Italia, la situazione potrebbe rivelarsi davvero tragica, e non solo per i diretti interessati.

Basti pensare a tutte le persone sieropositive che, private della possibilità di seguire la loro terapia, potrebbero ritrovarsi nella condizione di doversi prostituire per sopravvivere, finendo per assecondare anche le richieste più imprudenti dei loro clienti.

Compromettere in questo modo tutta la fase, delicatissima, che accompagna l’ottenimento del permesso di soggiorno da parte di un titolare di Protezione Internazionale, rischia di vanificare un percorso durato anni. E, nel caso delle persone LGBTQIA+, i rischi a cui sono esposte possono aumentare esponenzialmente.

LE REAZIONI

È molto difficile prevedere come evolverà la situazione e se queste decisioni rientreranno in una strategia di più ampia portata. Il Dirigente Nazionale di Arci, Filippo Miraglia, ha dichiarato:

“Forse l’obiettivo è proprio creare il caos per alimentare la criminalizzazione dei rifugiati e scaricare la responsabilità sui sindaci”.

Nel frattempo, il TAI (Tavolo Asilo e Immigrazione) ha inviato un appello al Presidente della Repubblica.

Il problema è che, al momento, la circolare è già stata recepita e potrebbe iniziare a compromettere la vita di migliaia di persone, in buona parte LGBTQIA+, già dai prossimi giorni.

 

Valeriano Scassa
©2023 Il Grande Colibrì

 

1_ D.lgs. 142/2015, articolo 11
2_ In un primo momento, l’applicazione di questo provvedimento, stabilito da una norma del 2015, non è stata sistematica.
3_ Art. 2, c. 2, del D. Lgs. 18 agosto 2015, n. 142

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