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Ho sempre associato il vocabolo fango a qualcosa di irritante, perché può sporcare, macchiare, lasciare una traccia. Per questo motivo, dopo la pioggia, evitiamo di rimanere colpiti da quegli schizzi che sporcano macchine, vestiti, mani. Il fango, però, oggi lo associamo anche ad un altro tipo di ruolo: sporcare l’anima…

Qualcuno potrà sorridere, affermare che non si può sporcare l’anima.

Ognuno di noi sa che si può pagare per un’idea, un principio, per la profonda soddisfazione di essere semplicemente se stesso… Bene, il fango, oggi, è la somma delle attività che i moderni giornalisti pongono in essere per attaccare, in modo continuato e stereotipato, un altro essere umano al solo fine di affondarlo. Qui, però, contrariamente al Luna Park, non si vince un peluche, si ottengono favori, controfavori, iperfavori, mentre colui che è sporcato, colpito, deve necessariamente subire l’onta di quel fango che attecchisce e che, mentre lo togli, solleva un po’ dell’epidermide che ha macchiato. Perché da allora nulla sarà più uguale a prima. Ha ragione Liana Milella che, dalle pagine di Repubblica, ha scritto: “Il possesso d’informazioni genera potere” (2.6.2011).

Il mondo GLBT ha sempre vissuto accanto ad una pozzanghera, rischiando di essere macchiato prima o poi. Sommerso in un delirante timore di una non-vita. Ultimamente, però, quest’attività è diventa costante, sistematica, quasi determinante per eliminare personaggi scomodi che vedono, in un lento e assordante stillicidio, la loro vita immersa in un gigantesco tritacarne da cui, vi assicuro, non è difficile entrare bensì tentar di uscirne… e quando termina, anzi, fai conti con te stesso e con gli altri e nulla, nulla è più come prima.

I problemi sono irrimediabilmente legati al coming out e questo genera molteplici problemi soprattutto se si vuol continuare a mantenere ruoli all’interno della scena pubblica e politica. Emblematico è il caso pugliese. Nichi Vendola, attuale governatore confermato della Regione Puglia, ha visto utilizzata la sua omosessualità come strumento di ritorsione, soprattutto quando si è candidato per la prima volta alla Presidenza della Regione.

Il suo modo di fare e di comunicare lo poneva, come si è rivelato, un candidato scomodo per i suoi rivali (e fermiamoci qui). Nel 1985 l’allora ventiseienne Nichi rilascia un’intervista al quotidiano La Repubblica dal titolo: “Il gay della FGCI“.

È eloquente l’interesse manifestato dal giornale. Stiamo parlando di venticinque anni fa. Era un’altra Italia e il coming out era davvero qualcosa di associabile al coraggio:

Nichi Vendola è un gay, il primo attivista omosessuale entrato a far parte della dirigenza comunista. Dice senza asprezza polemica: “Sono sicuro che parlerai dell’orecchino d’oro. Ho già dato un’intervista in cui raccontavo un po’ di cose, fatti personali e politici. Dopo ho avuto dei timori, credevo che ci fossero reazioni a Roma, nel partito. Invece i compagni sono stati benevoli. Mi hanno però avvertito: stai attento a non farti ingabbiare nel clichè, il gay alle Botteghe Oscure, eccetera. Prima c’erano i funzionari infagottati nei doppipetti grigi tagliati male, con le cravatte stonate in raso. Adesso l’omosessuale con l’orecchino. Al congresso giovanile avevo un magnifico, luminescente papillon sopra una camicia a righe. Dì, vuoi che ti stringa la mano sotto il tavolo?”. Rispondo che il passaggio sotto le forche del commento becero è obbligato: cosa si vuole aspettare, finezze anglosassoni? L’umorismo in Italia, e anche altrove, è spesso di genere caserma, dovrebbe esserci abituato. Però mica posso far finta di essere venuto per le sue preclare virtù politiche di cui tutta l’Italia parla. Sono venuto perchè Vendola è il primo dirigente comunista gay dichiarato (leggi).

Gli interventi di Vendola sono veri, forti, bruschi, frutto di ciò che l’intolleranza ha prodotto nel tempo. Sul ruolo genitoriale e sulla difficoltà di comunicare con i padri, Vendola affermerà:

Mio padre, comunista da sempre, un uomo magnifico, dolce, andava a fare le spedizioni per picchiare “i froci“. Una volta mi ha detto: “Se ti ammazzassi, noi tutti potremmo riacquistare una dignità“. Mi ha molto amato, ma per lui, come per tanti altri, gli omosessuali erano solo i turpi individui che adescavano i bambini nei giardinetti.

A un certo punto le parole che saranno utilizzate da Vendola diventeranno, nel futuro, il cavallo di battaglia dei suoi detrattori per montare l’associazione omosessualità-pedofilia:

Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti – tema ancora più scabroso – e trattarne con chi la sessualità l’ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione. Le donne, da questo punto di vista, sono notevolmente più sensibili.

Gli attacchi che pioveranno su Vendola, accusato di essere difensore dei pedofili, saranno continui, diventeranno massicci quando deciderà di raggiungere ruoli più prestigiosi. È emblematico l’articolo carico di odio che sarà pubblicato su Libero (26.5.2011) sotto la direzione di Vittorio Feltri. Il titolo del pezzo è significativo: “Così nel Palazzo si difendono i pedofili. Il caso dell’onorevole Nichi Vendola citato come esempio nei siti degli ‘orchi’“.

Il testo, a firma di Elisa Calessi, è duro in molti passaggi:

C’è una lobby che difende i pedofili. Non immaginiamoci una massoneria segreta. La ragione sociale di questa combriccola è far sì che l’attrazione verso i bambini sia considerata, almeno giuridicamente, un orientamento sessuale lecito come un altro. In Parlamento o altrove, dovunque si è missionari di questa idea. […] Ecco alcuni fatti. Il 19 marzo del 1985, il giorno della Festa del papà (prima strana coincidenza), Repubblica a pagina 4 pubblica un’intervista a Nichi Vendola, poi parlamentare di Rifondazione comunista. Il titolo è: “Il gay della Fgci”. Allora aveva 26 anni […] Quasi al termine dell’intervista c’è una frase. Vendola dice: “Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro o con gli adulti – tema ancora più scabroso – e trattarne con chi la sessualità l’ha vista sempre in funzione della famiglia e della procreazione”. La rileggiamo. Dice esattamente così: “diritto dei bambini ad avere una sessualità tra loro o con gli adulti”. Possibile? La dichiarazione, riportata da un quotidiano nazionale, non da un bollettino qualunque, non suscita scalpore. C’è qualche timida reazione nei giorni successivi, ma niente di più. La storia è confusa. Chiamiamo Nichi Vendola. Gli chiediamo se ricorda quella frase. Dice: “Certo che ricordo e mi arrabbiai. Fu il giornalista a capire male, il mio discorso era un altro. Ripeto: riportò male le mie parole. Io parlavo di libertà sessuale, mica di pedofilia”. Perché invece… “Avere rapporti con i bambini è una patologia”. Vendola, dunque, dice di non aver mai detto quella frase. Aggiungiamo per i maligni: se allora la disse, ora se ne dissocia.

La giornalista, ovviamente, non desiste. L’omosessuale pedofilo che intende scendere nel Regno pugliese dominato dal centro-destra targato Fitto, da sempre nelle grazie del cavaliere di Arcore, è un obiettivo troppo ghiotto da abbandonare e si citano altri momenti ove il pensiero di Vendola sarebbe stato ripreso. Almeno tre testi, diversi e indipendenti tra loro, riportano lo stesso episodio. Evidentemente non fu solo il giornalista di Repubblica a capire male.

Sembrerebbe in un certo senso terminata la lapidazione, ma ecco che viene sferrato un altro decisivo colpo:

Passiamo a tempi più recenti. Il 24 ottobre del 1996 viene presentata in Parlamento una proposta di legge (n.2551). Chi è il primo firmatario? Nichi Vendola. Il testo è agli atti. Si chiede di modificare la legge del 25 giugno 1993 “in materia di discriminazione”. In pratica si propone di estendere le norme antidiscriminatorie già presenti per quanto riguarda la razza, l’etnia, la nazionalità e la religione, all'”orientamento sessuale”. Per carità, l’intento è nobile. Vuol dire non discriminare chi ha propensioni sessuali diverse dalla media. E chi non è d’accordo? Peccato che tra le righe passi un concetto pericoloso.

Infine il paradosso. Perché a un certo punto si spara anche sui radicali. Ma in quelle file di allora vi è uno dei pezzi di diamante del PDL attuale. Il passaggio va letto nella sua interezza. Oggi qualcosa mi suggerisce che l’articolo si sarebbe concluso nel capoverso precedente:

Un parlamentare di An accusò: in questo modo si finisce per legalizzare la pedofilia. Avrà esagerato, forse, ma colpisce una coincidenza. Il 5 dicembre scorso Radio Vaticana intervista Daniele Capezzone, portavoce dei Radicali, a proposito di un convegno promosso dal partito di Pannella nel ’98 sul tema “Pedofilia e Internet”. Capezzone [1] spiega che la pedofilia “al pari di qualunque orientamento e preferenza sessuale, non può essere considerata un reato”. Dunque è un “orientamento”, dice Capezzone. Esattamente quanto dice il disegno di legge proposto da Nichi Vendola.

Quello stesso articolo, il coacervo di ignobili accostamenti che ne deriva fanno da apripista, nel 2010, alla campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Regionale pugliese. Infatti, Vendola – vincitore alle primarie pugliesi contro lo sfidante Boccia – interviene in una trasmissione televisiva de La7, Tetris (3.2.2010; poi Corriere della Sera, 4.2.2010), e dichiara al conduttore Luca Telese: “È vero, mi piacerebbe molto avere un bambino“.

Scoppia una nuova scintilla. Ovviamente il compito del leone è sempre affidato a una certa parte politica che insinua nuove malignità, cercando di fomentare quell’odio omofobico che già serpeggia nella penisola. Scelgo, per rappresentare e comprendere il clima descritto, un trafiletto comparso in una rubrica de Il Giornale (10.2.2010) diretto da Vittorio Feltri e firmato da Paolo Granzotto:

La seconda ragione per cui Vendola poco mi aggrada è la sua difesa della pedofilia [… ] Ecco perché, quando Vendola cinguetta, come cinguettò un paio di giorni fa, che gli piacciono i bambini, che vorrebbe giocare con loro e raccontargli le favole, a me vien la pelle d’oca. Un impostore (sebbene con la benedizione del Parlamento) favorevole alla pedofilia. Questo è […] il nuovo idolo dei “sinceri democratici”. L’uomo della speranza.

Ma se ciò non dovesse essere sufficiente, l’ombra della pederastia mescolata all’omosessualità diviene, sempre partendo dalla famosa intervista del 1985, un modo per arrivare alla definizione che tanto piace a una parte politica dominante del nostro Paese, secondo cui bisogna colpire la persona non tralasciando nulla, affondando la lama sempre più in profondità secondo criteri fascisti e deplorevoli in una realtà che si definisce democratica. Le persone e la loro dignità escono distrutte da queste bieche operazioni. Riporto uno stralcio della Padania (5.11.2010), emblematica voce di un partito mediaticamente molto presente, la Lega Nord:

Quanta ipocrisia negli indici puntati contro il premier. Quanta falsità nei giudizi distruttivi sparsi a piene mani sui media di tutto il mondo […] Tra i moralisti di oggi spicca chi, il 19 marzo 1985 […] dichiarava […] del diritto dei bambini ad avere una sessualità […] Apologia della Pederastia? Noi che una famiglia l’abbiamo o la desideriamo, noi che sappiamo nella nostra carne cosa sia la procreazione, noi che abbiamo dei figli piccoli, li amiamo e desideriamo educarli, ci sentiamo gelare il sangue […] Conati di vomito, impulsi di schifo a pensare che questa sarebbe l’alternativa democratica, uno dei possibili futuri premier di questo sciagurato paese [2].

Alla fine del 2010 si ritorna a utilizzare ancora quell’intervista e il suo accostamento omosessualità-pederastia per sferrare attacchi allo stesso Vendola, reo di essersi ribellato a un’infelice espressione (l’ennesima) che il Presidente del Consiglio dei Ministri, coinvolto in uno scandalo a sfondo sessuale, ha esternato al fine di mitigare la situazione: “E’ meglio essere appassionati di belle ragazze che gay” [3].

A partire dal 2004, poi, un grande risalto ha assunto l’orecchino indossato da Vendola con il chiaro intento di porre l’accento sulle sue preferenze sessuali, oltre che per sottolineare le differenze rispetto ai canoni eterosessuali [4]. Le polemiche legate al significato sociologico di quel simbolo permangono tuttora e alimentano un intenso dibattito.

In verità mi permetto di constatare che uno spazio maggiore i giornali lo dedicano al tema del transessualismo e uso questo termine, i trans, per comprendere, nello stesso modo impacciato e confusionario dei media, tutta la serie infinita di situazioni che sono presenti in esso. Di fatto giornali, televisione, internet dedicano a questo aspetto molto tempo, molto più che all’omosessualità in generale. L’obiettivo non è nobile ma preciso, anzi, direi, pensato da una certa stampa che sente la necessità di rassicurare i propri spettatori, lettori. L’obiettivo è sintetizzabile nell’affermazione: “Guardate gente quanto degrado esiste!“.

Naturalmente alla base vi dev’essere qualche scandalo in salsa rosa (si pensi al caso Sircana [5], portavoce di Prodi, o al più recente caso riguardante l’ex governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo [6]).

Il gioco dei ruoli impone che al trans sia affidato un ruolo principe: la prostituta o, come più elegantemente tendiamo a definire da qualche tempo a questa parte, escort. Mai, dico mai, qualche trans che svolga un lavoro meno antico. In tal modo il pensiero colonizzatore invade il popolo televisivo che, non sempre avvezzo a leggere tra le righe dei signori della televisione o della carta stampata, compie una serie di elementari processi logici: trans = vizio = prostituzione, con buona pace di un percorso fatto di dolorose storie di transiti infinitamente costellati di umiliazioni che non ricevono, come dovrebbero, alcun riscatto finale.

Basti pensare alla differenza di risonanza (ossia nessuna) con cui è passata la notizia della morte di Tiziana Lorenzi. La domanda di chi legge è spontanea visto che i media non hanno permesso la conoscenza di questa persona: chi era Tiziana? Trans, colpita da un infarto durante il Genova Pride del 27 giugno 2009, è morta il successivo 22 luglio. Lei non era un’appetibile informazione che i media potevano dare in pasto al popolo, non vi erano legami squallidi, non vi era del torbido in cui allocare le inevitabili associazioni che fanno sembrare più caldo il proprio focolare domestico. Scrive Mirella Izzo:

Solo pochi media hanno scritto della morte di Tiziana. Sono stata io a dare la tragica notizia ad alcuni suoi amici e amiche tramite il mio blog. Ho chiesto a chi lo desidera di scrivere una testimonianza. Per ora lo hanno fatto in pochi. Spesso una trans fa notizia sui giornali solo se la sua storia è legata alla cronaca nera, o se riguarda l’ambito della prostituzione (leggi).

La storia di Tiziana meritava, invece, di essere raccontata.

I media, invece, sono sempre più occupati ad assolvere funzioni inquisitorie. Quest’attività oggi si definisce “Metodo Boffo“. Dino Boffo è direttore dell’Avvenire da 15 anni, quando, nel 2009, muove dei rilievi giornalistici a Silvio Berlusconi. Immediatamente Il Giornale, sotto la direzione di Vittorio Feltri, pubblica in prima pagina una condanna per molestie di Boffo risalente al 2001 e aggiunge che lo stesso è attenzionato dalla Polizia come noto omosessuale. Dopo giorni di sciacallaggio giungono le dimissioni (Corriere della Sera, 4.9.2010). Tre mesi dopo, Vittorio Feltri ha ammesso di aver utilizzato informazioni prive di riscontro. Il peso delle manganellate ha colpito l’obiettivo partendo, come al solito, dalle preferenze sessuali (La Repubblica, 5.12.2009) [7].

Inevitabile diviene il riferimento a “Sbatti il mostro in prima pagina“, film del 1972 di Marco Bellocchio con Gian Maria Volonté che, tra l’altro, risulta ambientato nella redazione di un quotidiano che prende il nome de Il Giornale (non ancora fondato, visto che vedrà la luce nel 1974). La trama sembra una profezia dei nostri giorni. Il redattore capo, su invito della proprietà, segue gli sviluppi di un omicidio a sfondo sessuale per incastrare un militante delle sinistra extraparlamentare e sfruttare il fatto politicamente. La campagna mediatica sortisce l’effetto sperato e il “mostro” viene condannato innanzitutto sulle prime pagine del giornale.

Deprecabile ma reale, possibile.

Il fango, però, non colpisce solo per scelte singole ma si estende anche a quelle manifestazioni dove l’orgoglio di essere se stessi si trasforma in una grande riunione perché, nell’unione, si può trovare quella forza di alzare la voce che i singoli, spesso, non riescono ad avere. L’11 giugno scorso l’EuroPride a Roma, il 25 giugno Napoli con il Campania Pride e in Lombardia il Milano Pride. Due sindaci appena eletti, De Magistris a Napoli e Pisapia [8] a Milano, hanno dimostrato di poter credere che si stia per sollevare un nuovo vento: il primo partecipando direttamente al pride partenopeo, il secondo patrocinando la manifestazione lombarda.

Dunque giù con l’attacco.

Esattamente come previsto da Vladimir Luxuria, che da madrina del Campania Pride aveva ipotizzato la ritorsione dei giornali vicini ad una certa parte politica, Luigi De Magistris è stato irriso dalla solita stampa (Libero, 26.6.2011) per la partecipazione a fianco di una fetta di cittadini (ripeto: cittadini destinatari di diritti inviolabili della nostra Carta Costituzionale) che richiedono a gran voce di essere ascoltati. Per loro, per i moralisti a doppio binario, si tratta di un’enorme aberrazione.

Ma perché? Si ironizza su una platea colorita e s’ignora il vero significato del pride che discende dalla dolorosa ferita del 1969. Era esattamente la sera del 27 giugno, un venerdì, e lo Stonewall Inn era pieno come un uovo. Il locale era uno dei più noti locali gay di Manhattan. Era frequentato da pochi vistosi travestiti e molti anonimi clienti, soprattutto giovani, rassicurati dalla riservatezza del posto e dal fatto che la polizia portasse sempre via per prime le checche e desse loro il tempo di dileguarsi.

Quel venerdì si piangeva la morte di Judy Garland, icona di femminilità sempre venerata dalla cultura gay, quando verso mezzanotte sei agenti della polizia di New York piombarono con un mandato per controllare che non venissero venduti alcoolici, per cui i gestori non avevano mai ottenuto la licenza (fino a due anni prima nessun locale poteva servire alcoolici agli omosessuali, per legge). Il reato era tollerato in mille altri casi, ma era un’occasione per ribadire la sottomissione gay. I poliziotti presero a distribuire minacce e a rompere oggetti a colpi di manganello, e fecero uscire i clienti a uno a uno, fermando i travestiti. Ma quella sera qualcuno reagì.

Per la prima volta gli avventori resistettero all’intimidazione assieme, uomini e donne, gay ed eterosessuali. Volarono bicchieri e sgabelli, i poliziotti furono presto in difficoltà e bloccati all’interno, mentre fuori una folla di centinaia di persone, in parte espulsi dal locale, resisteva all’arrivo dei rinforzi dando vita a quello che sarebbe stato il movimento gay americano. Gli scontri durarono un paio d’ore, con alcuni feriti non in modo grave e una dozzina di arrestati sia eterosessuali che gay. Nelle sere successive le manifestazioni davanti allo Stonewall ripresero e si scontrarono ancora con la polizia che voleva disperderle.

Il seme era gettato, nelle settimane successive un movimento più radicale di persone chiedeva di avere i diritti degli altri e sceglieva per la prima volta di usare la parola “gay” per le proprie rivendicazioni (leggi).

Quindi la rumorosa affermazione del pride è da contraltare all’indifferenza dei restanti giorni dell’anno. È bello poter assistere a quella libertà di manifestare il proprio amore che ognuno di noi dovrebbe poter avere sempre, senza il timore che le macchie del fango lo costringano a correre a casa, per timore di essere classificati sporchi… anche quando si sta solo reclamando di poter vivere, anche quando si è puliti, dentro e fuori.

Nulla di più.

Mentre noi togliamo il fango dalle nostre esistenze o molto più mestamente conviviamo con esso, a New York un eroe postmoderno, Cuomo, ha compiuto il miracolo: legalizzazione dei matrimoni gay… proprio nel mese del grande ricordo di Stonewall. E se l’annozero, glaciale, dell’Italia terminasse ri-coltivando “il grande sogno americano“?

Gianfranco Meneo
©2021 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì
[*] Il testo riprende, integrandolo e modificandolo, il contributo “Sesso, politica e macchina del fango” inserito in G. Meneo, Trangender. Le sessualità disobbedienti, Palomar, Bari 2011.
[1] Non dimentichiamo che Capezzone nel 2006, radicale, aveva dichiarato di essere bisessuale (Corriere della Sera», 26.10.2006), salvo poi, una volta arruolato nelle file della destra, rinnegare tutto dichiarandosi un grande estimatore delle veline (leggi). Sempre nel 2006 su YouTube compare un video dell’attuale sindaco di Sulmona (AQ) che sostiene di vedere i gay come un’aberrazione genetica… dichiarazione ripresa nel 2011 e arricchita dall’autore con un’ulteriore profonda riflessione ossia che dinanzi ad un coming out lesbico delle proprie figlie indirizzerebbe immediatamente le stesse da uno specialista (La Repubblica, 18.6.2011).
[2] L’articolo è a firma di Giuseppe Reguzzoni. Il titolo è “Così ci distraggono dai veri mali del Paese. Darà man forte come sempre Il Giornale con pezzi a firma di Vittorio Sgarbi nell’edizione del 7 novembre 2010.

Nichi Vendola interviene contro quello che definisce “fango” gettato da alcuni uomini di centrodestra tra cui il giornalista Vittorio Feltri, che aveva pubblicato sul Giornale la dichiarazione di Vendola risalente al 1985. “Considero la pedofilia – scrive oggi Nichi Vendola sul suo blog – una aberrazione e un crimine tra i più odiosi. E mi sono sempre battuto perché si rompesse il muro di omertà che impediva di vedere gli abusi che, quasi sempre all’interno del contesto domestico, si andavano consumando nei confronti dei bambini. Queste cose ho avuto modo di spiegarle sulla stampa e nelle aule di tribunale a proposito di una frase che mi venne attribuita 25 anni fa in una intervista e che ciclicamente viene usata, in carenza di altri argomenti, per colpirmi. I difensori d’ufficio di una cricca di frequentatori di prostitute e minorenni, in un mondo in cui gira anche molta droga, ora cercano di usarmi come scudo per coprire le loro vergogne. Per questo ho dato mandato ai miei legali di agire contro l’on. Carlo Giovanardi, contro Vittorio Sgarbi e contro il povero Vittorio Feltri (che dimentica di essere già stato condannato in primo grado per la medesima questione)” (leggi).

[3] L’esternazione del Presidente del Consiglio è del 2 novembre 2010 e scatenerà le ire delle associazioni del mondo gay, lesbico, trans per cui si rinvia all’articolo “La rabbia e l’orgoglio delle associazioni gay“, in Liberazione (3.11.2010).
[4] Vittorio Feltri gioca su un prodotto tipico pugliese, le orecchiette, considerandole vezzeggiativo di “orecchio”, in modo da scivolare lì dove il lettore può immaginare (Libero, 19.1.2005). Sulla stessa testata, il 29 gennaio 2005, Miska Ruggeri arriva al punto di esternare: “Dai ‘ricchioni’ agli ‘orecchini’ il passo è breve“.
[5] Nel 2009 Il Giornale (15.3.2007), diretto da Maurizio Belpietro, ha scatenato una querelle attorno al portavoce dell’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, Silvio Sircana, per alcune foto che lo immortalavano mentre in strada approcciava una transessuale. A opera di S. Zurlo (17.3.2007), vi è la pedissequa ricostruzione della serata fin dalla cena. Un’infinità di dettagli che proviene direttamente dalle colonne dello stesso quotidiano che oggi invoca riservatezza sulle serate dell’attuale Presidente del Consiglio e conia l’idea di “gogna mediatica“.
[6] Il governatore della Regione Lazio viene filmato nell’appartamento di una transessuale in presenza di sostanze stupefacenti. Le immagini, riproposte con dovizia, rimbalzano da un media all’altro. Le dimissioni giungono qualche giorno dopo. Marrazzo continuerà a essere preso di mira, pur non svolgendo alcuna funzione pubblica. Sul Giornale (10.11.2009) l’ex governatore è altresì definito una “barzelletta“. Libero continua il 10 giugno 2010 con il pezzo ironico “Marrazzo ricomincia in Vicolo delle Palle“. Il riferimento è alla toponomastica dove Marrazzo sarebbe andato a vivere. Sempre Libero, nel tandem Feltri-Belpietro, il 1° febbraio 2011 fa uno scoop dando la notizia che una volante, durante normali controlli, avrebbe fermato Marrazzo con un viado a bordo. Non vi sono irregolarità contestabili, eppure non si può perdere la ghiotta occasione di colpire l’uomo. È l’apologia del “se così fan tutti, tutto è lecito“. In tal senso l’intervento “Lasciate in pace il cittadino Marrazzo” su Il Riformista (2.2.2011).
[7] Gad Lerner ha trasformato questa denominazione in “Codice Feltri” (Il Secolo d’Italia», 1.9.2010). Aggiungo che trovo agghiacciante l’affermazione dell’on. Giorgio Stracquadanio del Popolo delle Libertà che, per polemiche politiche, auspica per il Presidente della Camera Gianfranco Fini l’utilizzo del Metodo Boffo (Il Fatto Quotidiano», 31.7.2010).
[8] La forza e l’eleganza di Pisapia risiede proprio nel fatto di aver garantito, fin dall’inizio, un dialogo con la comunità glbt, resistendo agli attacchi omofobici del centrodestra che, anzi, giocando sulla nascita della “mecca dei gay” ha realizzato un tremendo autogol. E’ evidente l’irritazione dei giornali vicini al centrodestra dinanzi all’affermazione del candidato di SEL, nel periodo che precede i ballottaggi e che punta a spaventare i benpensanti al punto di spingere Franco Bechis a scrivere che Milano diverrà “la meta del turismo omosessuale e in particolare del turismo culturale omossessuale” (leggi).

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