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Proclamare che “i gay sono liberi di fare quel che vogliono, purché lo facciano di nascosto“, suona sempre più come un discorso retrogrado, e di questo buona parte del merito va al movimento LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Eppure questo stesso movimento spesso sembra arenarsi in discorsi molto simili. “L’orientamento sessuale è un fatto pubblico, la sessualità è un fatto privato” amano ripetere alcuni importanti attivisti, con una formula ambigua che porta, più che a rispettare le scelte di privacy degli individui, a frenare lo sviluppo di un discorso collettivo sulla sessualità. Questa, in un’ottica individualista, diventa un prodotto di cui dobbiamo usufruire il più possibile, ma solo in una dimensione privata e seguendo gli standard inevitabilmente borghesi del mercato, mentre potrebbe diventare una specie di bene comune, oggetto di un confronto pubblico sereno, fantasioso e costruttivo per tutti.

Chiunque sfugga a questa logica – in qualsiasi modo: poco importa se sia un frequentatore di battuage (ilgrandecolibri.com) o una asessuale (ilgrandecolibri.com) – paga pegno. Lo stesso succede per gli amanti delle pratiche feticistiche e BDSM (bondage e sadomaso), che non piegano la testa e chiedono orgogliosamente rispetto. In Italia la realtà più vivace è il Leather Club Roma, associazione senza scopo di lucro che è nata nel 1999 per promuovere in Italia e in Europa il rispetto di tutte le forme di sessualità. E che ora organizza nella capitale, dal 22 febbraio al 2 marzo, il primo Fetish Pride Italy, una settimana di feste ed eventi culturali dedicati al fetish e al BDSM. Fabio Cioni (nella foto), presidente del Leather Club Roma, ci presenta questa interessante manifestazione.

Partiamo dalle domande più banali: com’è nata l’idea del Fetish Pride Italy? E qual è il suo obiettivo?

A gennaio dell’anno scorso due soci del Leather Club Roma, Paolo e Roberto, hanno avuto l’idea di organizzare un evento che potesse rappresentare un punto di riferimento per tutta la comunità fetish italiana sia dal punto di vista culturale sia per quanto riguarda feste e momenti di socializzazione. E così è nato il Fetish Pride Italy. Il nostro obiettivo è duplice: da un lato, appunto, proporre a tutti gli appassionati un’occasione importante per fare esperienze e per divertirsi e, dall’altro, aprirsi all’intera comunità gay – ma anche a quella etero! – per mostrare con orgoglio un po’ del nostro mondo.

Chiunque fosse interessato può consultare il programma completo della manifestazione su fetishpride.it. Ci puoi comunque indicare quali saranno gli appuntamenti più importanti?

Gli appuntamenti sono davvero tanti, ma sottolineerei in particolare la Mostra fotografica internazionale di fotografia fetish, che raccoglierà dal 23 febbraio al 2 marzo le migliori immagini del concorso WeFetish nella galleria d’arte Mondrian Suite (via dei Piceni 41); il Roma Fetish Film Festival, con la proiezione, dal 26 febbraio al cinema Kino (via Perugia 34), di moltissimi lungometraggi e corti inediti e di grande valore; la Roma BDSM Conference, una due-giorni di workshop teorici e pratici su svariati aspetti del feticismo, del sadomasochismo e del bondage. E poi ci saranno numerosi party organizzati con partner commerciali italiani e stranieri: quello più importante sarà il Full Fetish Roma di sabato 1° marzo al Feel Unusual Club (via dei Conciatori 7).

Manifestazioni analoghe, come ad esempio il Folsom Europe di Berlino, hanno ottenuto l’appoggio ufficiale delle amministrazioni locali. Il Fetish Pride ha chiesto il patrocinio del Comune di Roma o di altre istituzioni?

Purtroppo no, per problemi organizzativi non abbiamo fatto in tempo, ma pensiamo di chiedere il patrocinio per le prossime edizioni della manifestazione.

Come ci hai spiegato prima, il Fetish Pride comprenderà anche un festival cinematografico e una mostra fotografica. Il linguaggio artistico cosa può insegnarci sulla sessualità?

Abbiamo scelto la fotografia ed il cinema per parlare delle diverse forme di sessualità perché l’opera d’arte, quando è tale, ha la grande capacità di stabilire con noi che la osserviamo un dialogo che ci arricchisce e che ci permette di aprire la nostra mente. Il linguaggio artistico comunica con noi direttamente, riuscendo, almeno in parte, a superare la barriera culturale del pregiudizio e del bigottismo creata da una società sessuofobica come la nostra, dove tutto ciò che riguarda la sessualità è tenuto nascosto o è confinato nell’ambito riduttivo del “pruriginoso”. Speriamo che il pubblico della mostra fotografica e del Fetish Film Festival sappia apprezzare l’aspetto artistico e possa iniziare da qui a riflettere sulle diverse sessualità.

Sicuramente, però, l’immagine abituale che il movimento LGBT dà di se stesso è molto diversa da quella che si potrà vedere nel festival e nella mostra. Diciamo che di solito prevale un’immagine da famiglia gay alla mulino bianco, no?

Detto un po’ schematicamente, quando una società, come fa la nostra, si dimostra razzista nei confronti di un gruppo di “diversi”, questo stesso gruppo ha in sostanza due alternative. Può tentare di cambiare la società per farla diventare più democratica, per far sì che essa sappia garantire gli stessi diritti a tutti, indipendentemente dalle differenze di razza, sesso, condizione sociale, religione, orientamento sessuale, eccetera, e quindi, in questo modo, contribuire significativamente al progresso dell’intera società; oppure questa minoranza può tentare di nascondere la propria diversità, intraprendendo la strada dell’omologazione e cercando di far credere di non essere “diversa”.

E, secondo te, il movimento gay ha scelto questa seconda strada?

Sì, mi sembra che negli ultimi vent’anni sia la comunità sia il movimento gay abbiano intrapreso, più o meno consapevolmente, un cammino di “normalizzazione” e di “standardizzazione” basato sui modelli eterosessuali. Credo che questa scelta non solo non porterà grandi risultati, ma soprattutto ci ha fatto perdere gran parte della nostra forza innovatrice e della nostra ricchezza, che risiede nella nostra diversità che invece a volte si cerca di nascondere. Il Fetish Pride Italy vorrebbe, anche per questo, essere un momento di orgoglio in cui le diversità si mostrano e diventano ricchezza, arte, divertimento, cultura.

In questo cammino di normalizzazione e di standardizzazione fai rientrare anche la lotta per i pari diritti, come il matrimonio e le adozioni?

Cercare di conquistare diritti come quello di sposarsi o di adottare è importante, ma si è scelta la strada della standardizzazione e dell’omologazione invece che quella di rivendicarli nella diversità.

Ma parlare di pratiche che la società spesso percepisce come “estreme”, ad esempio il feticismo delle modificazioni corporee, o “disgustose”, come il pissing (l’uso erotico dell’urina), non rischia di alienare le simpatie della maggioranza della popolazione?

Senza dubbio questo è un rischio, soprattutto in un paese permeato di bigottismo e falso moralismo come il nostro. Però direi che il punto non è tanto quello di guadagnarsi simpatie, quanto il rispetto. E crediamo che il rispetto non si possa conquistare senza mostrarsi apertamente. Se noi per primi ci nascondiamo, non ci mostriamo agli altri con le nostre luci e ombre, come possiamo pensare che gli altri ci capiscano, ci ascoltino e ci rispettino? Ovviamente ci sono molte persone a cui le nostre pratiche non piacciono o magari fanno proprio “schifo”, ma noi non vogliamo fare proseliti, né chiediamo che tutti abbiano la nostra stessa sessualità. Però chiediamo, anzi: pretendiamo, il rispetto nella diversità.

Parliamo invece di come vengono percepiti il feticismo e il sadomasochismo all’interno della comunità LGBT: la diversità dei gusti sessuali è accolta favorevolmente o è osteggiata?

All’interno della comunità gay si registra una certa dose di razzismo verso le sessualità feticistiche. Vi faccio un esempio: se esci con un pantalone di pelle e un harness [imbracatura in pelle usata in ambito fetish o sadomaso; NdR], puoi star sicuro che gli amici gay non feticisti se ne usciranno con battutine, risatine, eccetera eccetera. Io stesso, se vado ad una festa gay vestito in pelle o in skinwear [abbigliamento da skinhead; NdR], mi becco sguardi di riprovazione e di intolleranza, quando non offese o battutacce.

Questi comportamenti all’interno della comunità gay sono assurdi…

Infatti: premesso che la comunità gay è comunque più aperta su queste tematiche di quella etero, è assurdo che proprio i gay che chiedono agli etero di rispettare la loro diversa sessualità, poi si comportano nei confronti delle altre diverse sessualità esattamente come gli etero! Personalmente, penso che il movimento e la comunità gay, finché non riusciranno a vincere questo razzismo e ad essere essi stessi tolleranti e liberi, non avranno mai la capacità morale di reclamare i propri diritti. Al massimo potremo ricevere qualche briciola di diritto come elemosina elettorale di questo o quel politico, ma non avremo la forza morale di conquistarci pieni diritti.

Il Fetish Pride Italy potrà cambiare la situazione?

Il Fetish Pride ha come obiettivo proprio quello di vincere le resistenze ed i razzismi presenti anche nella nostra comunità, e devo dire che per ora stiamo ottenendo qualche piccolo successo. Infatti, fortunatamente, nell’organizzazione della manifestazione abbiamo avuto alcuni riscontri positivi da parte della comunità gay: si sono avvicinate a noi molte persone interessate al fetish, ma che avevano paura a vivere apertamente questo aspetto della loro sessualità. Inoltre abbiamo avuto un grande supporto da parte del Circolo Mario Mieli, che ha ospitato nei giorni scorsi la rassegna Fetish@Mieli, con la quale siamo riusciti a parlare delle tematiche fetish a molte persone.

 

Pier e Michele
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