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Le richieste e – soprattutto – le concessioni di asilo a causa di orientamento sessuale sono spesso tra le più controverse. Essendo difficilmente comprovabili, si prestano – tanto da parte dei richiedenti che da parte di chi le deve prendere in considerazione – a manipolazioni e a sospetti. Neanche un mese fa abbiamo raccontato l’odissea di un palestinese musulmano che è ricorso all’Alta corte di Tel Aviv per ribaltare il giudizio negativo sul suo asilo (Il grande colibrì).

Nelle scorse settimane ha invece fatto molto più rumore il documentario, presentato a vari festival in tutto il mondo, tra cui quello di San Francisco, in cui il regista israeliano gay Yariv Mozer racconta la terribile esperienza quotidiana nel suo Paese dei gay palestinesi che fuggono dalle minacce di morte da parte della propria gente. Ma “Invisible men” non ha come intento quello “di presentare quanto orribili siano i palestinesi nei confronti della loro gente, ma piuttosto di mostrare le responsabilità che Israele ha nei loro confronti“, spiega l’autore del film al quotidiano online The Times of Israel, parlando della sua pellicola che racconta di come i palestinesi gay richiedenti asilo in Israele tentino di sfuggire alla cattura della polizia israeliana e alla deportazione in Cisgiordania, dove rischierebbero la vita per l’ira delle loro stesse famiglie.

E, alla viglia dei Giochi olimpici di Londra, è lecito e probabile aspettarsi, secondo il Nuovo movimento per i diritti civili, che un discreto numero di atleti, provenienti da nazioni dove l’omosessualità è punita con il carcere o peggio, possa approfittare della presenza sul territorio britannico per fare coming out e, contemporaneamente, richiedere asilo alle autorità del Regno Unito. La probabilità è decisamente realistica anche in virtù della sentenza del 2010 in cui la Corte suprema inglese ha stabilito che “qualunque rifugiato che sia perseguitato nel suo Paese per via del proprio orientamento sessuale ha titolo per richiedere asilo“.

Un altro caso positivo è quello dell’Olanda, dove il governo, considerando i gravi rischi che corrono i gay restando in Iraq (Il grande colibrì), ha deciso di aprire le porte a coloro che dal Paese dove l’Occidente ha esportato la democrazia vorranno chiedere asilo per il loro orientamento sessuale (Radio Netherlands). E, nel suo piccolo, anche l’Italia è appena stata protagonista di una sentenza importante, con il rigetto dell’espulsione per un tunisino gay da parte della Corte di Cassazione: in precedenza la Corte d’appello gli aveva negato rifugio poiché “mancava la prova dell’omosessualità” (Il Sole24Ore).

Allo stesso modo, sebbene il protagonista abbia ricevuto una seconda possibilità di fare richiesta di asilo, ha fatto discutere il caso di un cittadino nigeriano a cui la richiesta è stata respinta in Canadapoiché non poteva provare di essere gay” (National Post). E purtroppo le difficoltà nel vedere accettata una domanda di asilo permangono in molti altri luoghi, come segnala l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite IRIN facendo riferimento ad alcuni casi di domande rigettate in Sudafrica.

 

Michele
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