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È un po’ deprimente guardare il documentario diffuso lo scorso 5 luglio da Vice Italia con il titolo: “Gay e cattolici”. È deprimente perché mette tutto sullo stesso piano e soprattutto, a causa della poca preparazione della ragazza che fa le interviste, permette che si dicano le sciocchezze più marchiane senza che nessuno faccia notare la loro gravità.

Un esempio per tutti è quello dell’intervista a Silvana De Mari che identifica l’omosessualità con la scelta di praticare i rapporti anali arrivando a dire che, siccome “la sessualità è l’incontro tra un gamete maschile e un gamete femminile” (dove l’abbia letta questa sciocchezza qualcuno avrebbe dovuto domandarglielo) non si può, bontà sua, parlare di omosessualità. Ma anche nell’intervista a don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), mi sarei aspettato che un’intervistatrice preparata, sentendo parlare di “certificazione di cattolicità”, avrebbe dovuto far osservare al suo interlocutore che questa “certificazione”, secondo il diritto canonico, deriva dal battesimo e che non c’è bisogno di nessun altro permesso da parte della gerarchia ecclesiastica.

Le terapie riparative

Un altro aspetto che lascia perplessi del documentario è la vera e propria fissazione che c’è per le terapie riparative dell’orientamento sessuale. Nate in alcuni ambienti vicini alle chiese protestanti statunitensi, queste terapie stanno progressivamente perdendo il loro appeal, perché è ormai un dato di fatto che l’orientamento sessuale non cambia e che, come dice lo stesso don Paolo Gentili, al massimo viene percepito in cambiamento solo perché c’era stata una definizione troppo precipitosa in una fase in cui la consapevolezza del proprio orientamento sessuale non si era ancora sviluppata.

Ex-gay: chiude Exodus, ma non è una buona notizia

Sarebbe stato simpatico se l’intervistatrice, dopo aver sentito che ci sono ragazzi che, magari pressati dall’ambiente esterno, si dichiarano omosessuali e poi scoprono di non esserlo, gli avesse chiesto se lo stesso si poteva dire delle tante persone che, pressate da un ambiente in cui l’eterosessualità è la norma, pensano di essere eterosessuali e magari si sposano per poi scoprire di essere omosessuali – ma come ho detto il problema della reattività della persona che ha condotto il documentario è uno degli aspetti più problematici del documentario stesso.

Storie senza domande

Quello che invece colpisce di questo documentario è il vissuto che viene raccontato da Iacopo Ialenti (anche se le immagini leziose con cui è stato accompagnato hanno rovinato un po’ la storia). Una storia in cui c’è un padre che gli dice che sarebbe stato meglio avere un figlio disabile piuttosto che avere un figlio omosessuale e una sorella che dice che l’omosessualità è un’aberrazione della natura. Una storia in cui Iacopo dimostra una grande maturità quando decide comunque di vivere la sua fede senza chiedere nessuna autorizzazione esterna.

Una storia che la regia, però, decide di bilanciare con quella di Giorgio Ponte, un insegnante di religione omosessuale che gira l’Italia tenendo conferenze in cui racconta il suo rapporto conflittuale con l’idea stessa che nell’omosessualità ci sia qualcosa di buono. Ho assistito a diverse conferenze di Ponte e ancora una volta debbo constatare che l’intervista non è andata abbastanza a fondo chiedendo, dopo che Ponte gli ha detto di essere riuscito ad innamorarsi di una ragazza, se poi questa storia è sfociata in una relazione, oppure chiedendogli semplicemente se ha ancora fantasie omosessuali. Se l’avesse fatto, sapendo quello che Ponte dice durante le conferenze che tiene in giro per l’Italia, il senso dell’intervista sarebbe cambiato radicalmente.

La voce della coscienza

In ogni caso credo che valga comunque la pena guardarlo, questo documentario. Vale la pena perché comunque ricorda a tutti che gli omosessuali cattolici ci sono e che, al contrario di Ponte, non sono persone che rifiutano il loro orientamento sessuale, ma sono persone che stanno imparando a viverlo senza chiedere il permesso a nessuno in piena conformità con quanto dice da sempre la dottrina cattolica quando raccomanda ai credenti di seguire, innanzi tutto, la propria coscienza.

E credo che sia bello chiudere questa recensione ricordando quello che San Tommaso d’Aquino risponde alla quaestio in cui si chiede se si debba seguire prima il Magistero della chiesa (“Praeceptum prelati”) o la voce della coscienza. Di fronte a questa domanda, il massimo teologo cattolico non ha dubbi. Prima osserva: “Praeceptum prelati nihil est nisi praeceptum prelati” (le indicazioni del Magistero sono espressione del Magistero). E poi conclude: “Conscientiam enim vox Dei est” (la voce della coscienza, invece, è la voce di Dio che parla dentro di noi).

Queste conclusioni sono state riprese dalla dottrina cattolica e sono riportate anche ne Catechismo che viene così spesso citato quando si parla di omosessualità. Ma, chissà perché, nessun prete le cita mai.

 

Gianni
©2017 Il Grande Colibrì

Purché se ne parli

Vedo su Vice Italia un tentativo di inchiesta riguardo gli omosessuali cattolici fatto da Irene Graziosi. Il rammarico è per la forma a “tesina” che mostra retorica da scuola superiore nell’apertura con la storia di Iacopo, non mettendo in luce il prodigio di una persona respinta e ripudiata dagli affetti di base che afferma la propria dignità: bisognerebbe non solo fargli i migliori auguri, ma anche ricercare un modo efficace per sostenere chi non ha la stessa sua invidiabile forza d’animo.

Il montaggio dell’inchiesta rischia anche di far scivolare via un altro aspetto non secondario: che il direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia della CEI abbia concesso udienza per discutere l’argomento. Fa rabbia che don Gentili sia sgusciato via dall’accoglienza nella Chiesa cattolica degli omosessuali usando un termine avvilente quale “certificazione di cattolicità”.

Vuoi per una manifesta impreparazione sull’argomento (si vede quando Irene “va sotto” e non riesce a controreplicare a don Gentili), vuoi per la preconcetta chiusura di matrice integralista di Silvana de Mari, i delicati temi affrontati vengono banalmente accostati uno all’altro in stile “tema: sviluppo”. Il documentario, comunque, è da vedere.

 

Franz
©2017 Il Grande Colibrì

2 Comments

  • Gianuario Cioffi ha detto:

    Lo guarderò, ma se dovesse fare davvero così schifo credo che Vice dovrebe rimediare, se non altro per difendere il suo buon nome!!

  • Daniele ha detto:

    Non concordo con l’articolo e con il commento precedente. L’intervistatrice non mi è sembrata affatto impreparata. Semplicemente l’intento dell’inchiesta non era incalzare gli intervistati, ma lasciarli parlare. Non credo che don Paolo Gentili o Silvana de Mari avrebbero accettato un contraddittorio. Per cui l’unico modo per mostrare l’insensatezza di quello che dicono era proprio lasciarli parlare a ruota libera. La de Mari, in particolare, è stata così aggressiva di fronte a domande semplicissime che non oso pensare come avrebbe reagito a richieste solo un po’ più incalzanti.

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