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Le lesbiche non esistono. Almeno nella coscienza collettiva e sugli schermi italiani di cinema e tv. E così Laura Landi e Giovanna Selis hanno pensato bene di farle esistere, di dar loro un volto, una voce, una storia. Sono andate su e giù per l’Italia a scovarle, intervistarle, filmarle. E sta nascendo così un interessante documentario, “Le lesbiche non esistono” appunto, sulle donne che nel nostro paese amano  altre donne nonostante sia un amore che non sa dire il proprio nome, perché mancano le parole e persino le parolacce. Ne parliamo con Laura.

Il vostro documentario parte dalla constatazione che non esiste alcuna parola offensiva per indicare una lesbica, se non la stessa parola “lesbica”, mentre un gay può vantare un florilegio di insulti: frocio, culattone, busone, finocchio e così via… Domanda provocatoria: perché sentite la mancanza di un insulto?

Non è ovviamente una questione di insulti, ma lo spunto, volutamente provocatorio, del nostro documentario segnala in realtà una mancanza linguistica su cui riflettere. Il silenzio nel dizionario, anche degli improperi, è sintomo di un’identità negata, nascosta, su cui tacere appunto. Insomma, in Italia di lesbiche non si parla proprio, spesso anche solo il termine suscita reazioni ostili. Per noi l’omofobia in questo caso comincia con la negazione. E con una pericolosa tendenza al silenzio. E allora ribalterei la domanda, rivelando le nostre vere intenzioni: perché non denunciare un’assenza?

Il vostro documentario, quindi, vuole denunciare questo silenzio…

Sì, per noi era importante colmare questa assenza e riuscire a dare una visione “altra” e realistica di cosa significhi essere donne e omosessuali oggi in Italia. Troppo spesso manca un’educazione alle parole, al dialogo, al confronto. E parlare di argomenti come questo è la prima maniera per non recepirli in maniera ostile e capire che alla fine tutta questa “lontananza” forse è puramente immaginaria.

Al di là della mancanza di insulti, è significativo che quando si parla di “omosessuale” la maggior parte delle persone pensa subito ad un uomo… 

L’esempio è corretto, ma il silenzio, il non chiamare le cose con il proprio nome è rintracciabile su più fronti. Anche all’interno della comunità LGBTQ*.

Credi che, nell’invisibilità delle lesbiche, ci sia anche una responsabilità della componente maschile della comunità?

Sicuramente in Italia si parla molto di più di uomini gay, questo però non vuol dire che lo si faccia nel modo giusto… Diciamo che nella visione “italica” i gay sono tanto stereotipati quanto le lesbiche “invisibili”. Io credo che il tutto sia egualmente sbagliato.

Quali processi sociali e culturali stanno alla base dell’imposizione dell’invisibilità?

Direi che l’invisibilità delle lesbiche è sicuramente legata al ruolo della donna e alla storia della sua emancipazione.

E’ frutto solamente di un’imposizione o anche, almeno in parte, di una scelta?

Probabilmente per molte donne l’essere state prese meno in considerazione ha portato alla convinzione che il silenzio protegga. Quando invece rende invisibili, cancella.

Prendiamo la lesbica più visibile d’Italia: Paola Concia. Secondo voi la sua storia può offrire spunti utili ad altre lesbiche?

Io credo che la storia personale di ognuno possa essere utile e interessante. Altrimenti farei un altro lavoro!

Concia viene anche criticata: per alcuni, la sua visibilità personale nasconderebbe l’immobilismo del PD sui diritti LGBTQ*…

Paola Concia è l’ unico parlamentare italiano dichiaratamente omosessuale e la sua visibilità, come quella di chiunque altro omosessuale che si dichiari, sarà molto importante finché non vivremo in un paese in cui l’orientamento sessuale non avrà più nessuna rilevanza negativa. Detto questo credo anche che sia impossibile nascondere l’immobilismo del suo partito e la mancanza in Italia di una classe politica pronta a rischiare. Basti pensare che mentre Obama dichiara che le coppie dello stesso sesso dovrebbero potersi sposare e Hollande, favorevole anche lui, diventa Presidente della Repubblica francese, in Italia la questione viene rinviata per l’ennesima volta…

C’è un ambito in cui donne presentate come lesbiche sono estremamente visibili ed è quello della pornografia ad uso e consumo degli uomini eterosessuali…

Questa non è di fatto visibilità: il cliché delle lesbiche così come le si rappresentano nei film porno ad uso e consumo degli uomini eterosessuali è tanto vicino alle fantasie di molti quanto estremamente lontano dalla realtà.

Come nel caso del documentario “Sesso, amore & disabilità”, recentemente presentato su Il grande colibrì, anche il vostro progetto si avvale della piattaforma “Produzioni dal basso”…

Le regole dell’ industria impongono che un documentario sia venduto ancora prima dell’inizio della sua realizzazione in maniera da poter coprire le spese di produzione. Va da sé che a queste condizioni molti progetti che, come il nostro, non rientrano nelle strette logiche di mercato difficilmente vedrebbero la luce. Abbiamo deciso quindi di “scommetterci” noi, cercando finanziamenti in maniera alternativa ai soliti sistemi tramite la produzione dal basso.

Ci puoi raccontare meglio come funziona?

Chi volesse prendere parte, ad esempio, alla nostra “produzione consapevole”, dovrebbe andare sulla nostra pagina, cliccare sul pulsante “sostieni” sulla sinistra e seguire la procedura guidata. Non servono carte di credito alla mano: saremo infatti autorizzate a chiedere di onorare la parola data solo se e quando verranno prenotate tutte le quote. Insomma, è un impegno di trasparenza e fedeltà sia nostro che del pubblico! In questo modo il pubblico, solitamente relegato a semplice fruitore, si trasforma di fatto in produttore, venendo coinvolto attivamente e consapevolmente nel progetto fin da subito. La produzione dal basso, comunque, non ci serve solamente per riuscire a coprire i costi della post-produzione, ma anche per avere un’idea della potenziale attenzione al nostro progetto e per stimolare l’interesse del pubblico.

 

Pier
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