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In Italia Sergio Mattarella dismette i panni di presidente della repubblica fantasma per indossare quelli di paciere all’interno del PD e, assumendosi la responsabilità di un ulteriore svuotamento della proposta di riconoscimento delle unioni omosessuali, con un gioco di prestigio dà una spintarella al premier Matteo Renzi per aiutarlo a salvare la capra gay-friendly e i cavoli catto-dem [La Repubblica], ovviamente a spese delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Ma se finora, osservando l’atteggiamento ridicolo, pavido e ipocrita della classe politica italiana sui diritti degli omosessuali, abbiamo guardato con invidia quello che succedeva in gran parte del resto d’Europa e d’America, ma anche in Sudafrica e Nuova Zelanda, tra poco ci toccherà diventare gelosi anche di una nazione dell’Asia, l’unico continente in cui nessun paese ha ancora legalizzato le nozze gay.

TAIWAN, LA PRESIDENTE GAY-FRIENDLY

Questa mancanza asiatica, però, sembra destinata a essere superata presto: varie nazioni del continente, infatti, sono sulla buona strada per il riconoscimento del diritto a sposarsi anche per le coppie dello stesso sesso. E se fino a pochi mesi il Nepal o il Vietnam sembravano destinati a diventare il primo stato ad approvare i matrimoni omosessuali [Il Grande Colibrì], ora Taiwan supera di slancio entrambi i paesi con l’elezione alla presidenza di Tsai Ing-wen, la candidata di centro-sinistra. Tsai si è sempre dichiarata a favore del matrimonio per tutti [Il Grande Colibrì]: “In amore siamo tutti uguali: che tutti siano liberi di amare a modo loro e di trovare la felicità” aveva proclamato, per esempio, in uno spot in occasione del Pride di Taipei [Facebook].

Secondo gli osservatori, Tsai ha vinto le elezioni grazie alle sue proposte economiche e al suo atteggiamento molto prudente nei confronti della Repubblica popolare cinese, ma anche le sue posizioni gay-friendly hanno giovato: secondo un sondaggio del governo condotto questa estate, infatti, il 71% dei taiwanesi è favorevole ai matrimoni omosessuali. Intanto dal 1° gennaio la capitale Taipei e Kaohsiung, la seconda città più popolosa dell’isola, si sono impegnate a riconoscere reciprocamente le unioni civili municipali dei rispettivi abitanti “per offrire conforto spirituale a più coppie omosessuali e garantire che possano mantenere le promesse che si sono fatte a proposito della loro vita” [Focus Taiwan].

VIETNAM E CINA, PICCOLI PASSI AVANTI

E il Nepal e il Vietnam, intanto, che fine hanno fatto? In Nepal la nuova costituzione promuove molti diritti delle persone LGBT, ma non quello di sposarsi. In Vietnam, invece, dal 1° gennaio è stato cancellato il divieto di celebrare nozze gay: le coppie omosessuali che si sposeranno, quindi, non saranno riconosciute dal governo, ma non saranno neppure più passibili di multe. Si tratta di un risultato modesto rispetto al riconoscimento dei matrimoni di cui si discuteva tempo fa, ma, come spiega Luong The Huy dell’Istituto per gli studi sociali, economici e ambientali (ISEE), “il legislatore ha detto che la società vietnamita ha bisogno di un po’ di tempo per accettare gay e lesbiche”. La nuova norma è solo un primo passo per dimostrare che “i matrimoni gay non danneggiano la società” [Bloomberg].

Intanto persino in Cina sembra muoversi qualcosa: il tribunale di Changsha, capoluogo dell’Hunan, ha accettato di discutere la causa intentata da Sun Wenlin, un ragazzo di 26 anni, contro l’ufficio per gli affari civili che si è rifiutato di fargli sposare il suo compagno. Sun è convinto di poter vincere la sua battaglia: “Penso che da un punto di vista legale, dovremmo avere successo. La legge sul matrimonio in Cina dice che c’è la libertà di sposarsi e l’uguaglianza tra i generi. Queste parole possono essere applicate anche al matrimonio tra persone dello stesso sesso” [South China Morning Post]. E allora c’è da augurarsi che presto finiremo per invidiare anche un miliardo e mezzo di cinesi.

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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