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La giornalista Karima Moual ha lanciato su Facebook una sfida a noi magrebini e arabi laici, e io non posso e non devo sottrarmi, e neppure voi! In un interessantissimo articolo sulla Stampa, Moual aveva già denunciato quello che da troppo tempo sta accadendo in televisione: il voler enfatizzare e ridurre l’islam alla mera spettacolarizzazione.

La denuncia parte da Facebook, dalle stesse ragazze invitate a queste trasmissioni (ormai diventate tribunali) in cui si richiede un “dress code”: il velo. Partecipi alla trasmissione solo se indossi il velo. Il velo è diventato quasi una iconografia rappresentativa dei musulmani tutti nella logica dei mass media, spinti dal dio Share e non dalla volontà di fare vera informazione.

C’è un immagine che vende più di altre, quella della donna musulmana sottomessa, velata, costretta a subire la prepotenza genitoriale e sottoposta al classico padre padrone. Se non hai tutte queste caratteristiche, non sei abbastanza musulmana per la logica superficiale di certi autori.

Tutto ciò sta portando molte ragazze a boicottare questi inviti, in queste trasmissioni, che spesso fanno emergere solo stereotipi, per poi sfociare nella mera xenofobia. “Ci vogliono solo velate” dice qualcuno. Ci vogliono velate e con la barba lunga.

Noi europei siamo troppo abituati a pensare che il mondo arabo-magrebino musulmano sia un enorme monolite di anime tutte uguali, così uguali anche nel modo di intendere e vivere la religione. La realtà è molto più complessa di così.

Perché mi e ci interessa questo argomento? Perché riguarda tutti, credenti e non. Perché, pur essendo agnostico, agli occhi di molti sono pur sempre un magrebino e quindi un potenziale terrorista. E poi sì, ho la barba, ma per vezzo.

Siamo ragazzi di seconda generazione, siamo arabi, magrebini, berberi, sunniti, sciiti, sufi, ebrei, gay, etero, transessuali e siamo LAICI. Salve a tutti, siamo quelli che non fanno notizia, ma siamo anche la maggioranza. Una maggioranza silenziosa, perché ormai integrata, ma che non accetta più questa realtà soporifera, a tratti latente.

Esistiamo.

Siamo quelli laici, quelli delle libertà individuali, quelli dell’uguaglianza al di là di qualsiasi credo politico e di fede. Siamo quelli che non si riconoscono più nella fede dei propri genitori, ma anche quelli che credono a modo loro, pur sempre fieri delle proprie origini. Siamo quelli a cui costa caro urlare la propria laicità e la propria individualità. Siamo quelli per il pluralismo, le libertà e il femminismo. Siamo quelli che amano la pizza e che mangiano il cuscus il venerdì. Siamo quelli che ascoltano Lady Gaga e leggono i romanzi e i saggi delle femministe Fatema Mernissi e Nawal Al-Sa’dawi. Siamo quelli che non si sentono rappresentati né come musulmani né come arabi da uomini con la barba lunga e da donne velate dalla dubbia origine.

Non siamo la parte tragica, passiva e spenta della storia, bensì quella attiva. Non siamo gli esuli della storia, bensì quelli che si muovono per amor di conoscenza.

Fomentano certi pregiudizi ed esasperano certi modelli, chiedono alle donne di vestirsi con il burqa e di interpretare la parte dell’oppressa in televisione? Non è questo che siamo, non è questo che rappresentiamo, non è questa la nostra “normalità”.

E quindi? Che fare? Non ci resta che svelarci e svegliarci contro la semplificazione e la banalizzazione che preme contro noi e contro chi siamo realmente. Noi gridiamo, dunque siamo.

Non facciamo notizia, cari signori, e siamo ai margini del dibattito perché vi assomigliamo, ma in positivo.

 

Anes
©2017 Il Grande Colibrì

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