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Nel corso delle battaglie LGBT in Italia sembra essere ancora lontano il pieno riconoscimento delle famiglie omogenitoriali. Recentemente questa forma familiare si è vista negare – a seguito dell’approvazione del DDL Cirinnà – la possibilità di tutela legislativa dell’ambiente affettivo, la quale avrebbe portato alla perdita dello status quo di “famiglia” associato unicamente all’unione eterosessuale. In realtà, nonostante la legge non riconosca pienamente le famiglie omogenitoriali, l’idea di plurinuclearità (ossia l’esistenza di più tipi di famiglia) esiste da decenni.

La ridefinizione dei confini della famiglia ha portato a rendere i confini stessi mobili e sfumati. Eppure tale situazione non risulta essere completamente accettata dal panorama sociopolitico italiano, che vede le relazioni di cura attorno al bambino, così come la responsabilità genitoriale, appannaggio esclusivo delle coppie eterosessuali.

Questo ha portato a continue valutazioni psicogiuridiche nei confronti di quelle famiglie ritenute “a rischio”, poco adeguate alla crescita del bambino. Valutazioni che conferiscono alla famiglia “a rischio” una mancata parità genitoriale, soprattutto in casi come quelle famiglie omogenitoriali caratterizzate da genitore sociale (o adottivo) – vale a dire una persona che cresce il figlio del proprio partner – e genitore biologico.

Tenuto conto di questo, non servirebbe trovare situazioni particolari per dimostrare come il bambino possa crescere con una varietà di figure di riferimento con cui instaura delle relazioni durature. In Italia, dove la popolazione anziana rappresenta il 22% del paese, la figura dei nonni è esemplare, poiché ricoprono un ruolo simbolico e affettivo essenziale nella quotidianità del bambino.

È chiaro che alla base delle critiche mosse alla famiglia omogenitoriale ci sia un sentimento di carattere socio-culturale rivolto verso il ruolo genitoriale, ricoperto da due persone del medesimo sesso. A questo, si aggiungono le continue trasformazioni relazionali presenti nella coppia omosessuale. Trasformazioni che portano la coppia a una continua negoziazione del ruolo genitoriale all’interno dell’ambiente affettivo. Questo accade anche nella coppia eterosessuale, in cui sono presenti genitori che vivono una visione meno limitata del ruolo paterno e materno, rispetto ai nostri progenitori.

Non essendoci differenza di genere nella coppia omosessuale, e quindi mancando la distinzione tra marito e moglie, padre e madre, è evidente che il modo di “essere” non è ricondotto al genere sessuale, ma alla modalità con cui la coppia si rapporta con i propri figli.

Tale modalità può essere di ostacolo alle coppie omosessuali, dal momento che la socialità con la prole è messa a dura prova da una società eterosessista e omofoba. Questa costruzione relazionale, invece, nella coppia eterosessuale avviene per imitazione. In altre parole, non dovendo costruire una socialità ex novo, la coppia impara a stare insieme “osservando” le altre coppie prese a modello. Ci si chiede, dunque, se le dinamiche di socializzazione tra le diverse forme familiari siano identiche o dissimili nei confronti dei figli.

In questa serie di articoli, ho cercato di mettere a confronto famiglie omosessuali e famiglie eterosessuali, per chiarire come il dinamismo affettivo tra le due forme familiari sia pressoché simile nel rapporto genitori-figli.

Parto con l’affermare che si tenta di offrire esclusivamente una panoramica generale dei rapporti affettivi, vista la limitata possibilità di intervistare un gran numero di famiglie eterosessuali e omosessuali. Quindi è comprensibile pensare che i legami che si vanno a osservare siano utili solo per estrapolare alcune delle eventuali analogie e divergenze tra le famiglie.

In questa prima parte, ho preso in esame un pezzo di intervista fatta alla famiglia di Antonio e Giacomo, che hanno una figlia di undici anni, Elena. Nell’intervista ho chiesto a Elena come vivesse il rapporto con i suoi due papà, e come il suo mondo esterno, costituito da altri legami affettivi, percepisse il fatto che lei fosse nata e cresciuta da Antonio e Giacomo:

E ti sei chiesta come mai tu abbia due papà, mentre Chiara [la sua migliore amica; ndr] una mamma e un papà?
Beh no, no, cioè, papà Giacomo mi ha spiegato, però io non me lo sono mai chiesto.
Cosa ti ha spiegato papà Giacomo?
Mi ha detto che sono nata in Canada grazie ad Anna e Teresa perché loro non potevano avere figli.
Ah, ho capito. Ma i tuoi amici lo sanno?
Certo che lo sanno! Mi chiedono sempre dei miei papà, soprattutto la mamma di Chiara.
E cosa ti chiede?
Non so, cose così, se sto bene, se mi serve qualcosa, e all’inizio mi diceva se mi mancava qualcosa, poi ha conosciuto i miei e ha smesso.
E a te manca qualcosa, Elena?
Beh a Natale voglio un telefonino, ma papà Antonio non me lo vuole comprare e allora ho chiesto a Stefania [la mamma di Chiara; ndr] se lo convince. (Ride)
(RidoE senti, ma mica non vuoi bene a papà Antonio e a papà Giacomo?
Se mi comprano il telefonino gli voglio più bene. (Ride)
Quindi non ti piacerebbe avere una mamma? Come quella di Chiara?
Mmh no, non ci penso a questo, questa domanda me la fanno tutti quelli che conoscono i miei papà. Però io ho capito che se questa cosa la chiedi a Chiara, dicendole: “Ma a te piacerebbe avere due papà?”, lei direbbe di no, perché lei vuole bene a sua mamma.

Nelle parole di Elena si può immaginare che la costruzione dei legami affettivi tra genitori omosessuali e figli sia simile a quello dell’ambiente eterosessuale. Ma bisogna concentrarsi su due punti cruciali, suggeriti tra l’altro dalla stessa Elena:

  • Conflittualità tra società e famiglia omogenitoriale

Lo scetticismo preconoscitivo della mamma di Chiara suggerisce che i motivi di conflitto affrontati dalle coppie dello stesso sesso siano non tanto all’interno del nucleo familiare, quanto al mostrarsi come famiglia in società.

Lo stigma sociale è diverso tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali. Se quest’ultime discutono sulle differenze reciproche e, in modo positivo, tentano di risolvere il nodo conflittuale (spesso riguardante l’educazione della prole), nella famiglia eterosessuale questo non avviene. I motivi conflittuali nascono da questioni sociali, ad esempio, con la famiglia d’origine dei rispettivi partner, oppure per risolvere i problemi economici che, sempre più frequentemente, sono percepiti come estensione di un cattivo o buon risultato ottenuto nell’educazione dei figli.

  • Modus educandi

A questo punto, è reale la necessità di interrogarsi su quali siano i percorsi educativi nelle diverse tipologie di famiglia. A ben pensarci, se una famiglia omogenitoriale cresce un figlio, l’intento sembrerebbe quello di continuare gli insegnamenti ricevuti dalla famiglia d’origine. In parte questo è vero, ma domandiamoci quale sia il punto su cui i genitori omosessuali insistono maggiormente nell’educazione dei figli.

Un riscontro può essere dato dalla stessa Elena. All’ipotesi di cosa farebbe se un suo amichetto venisse insultato per diverse ragioni, lei dà questa risposta: “Non so se riesco a difenderlo, cioè, non sono forzuta. Soprattutto se vogliono picchiarlo perché fa qualcosa che gli altri non fanno o non so, ma lo direi ai miei. Loro almeno possono fare qualcosa, sanno cosa devono fare per queste cose”.

Questo modo di pensare apre la strada verso un approccio educativo basato sul rispetto reciproco e assistenziale, quindi sulla reale necessità di costruire un dialogo profondo tra genitore-figlio, che spesso è mancante in molte altre tipologie di famiglia.

A questo proposito, un’ipotetica risposta ci viene data dalla stessa Elena:

Ma pensi che Chiara dica tutto ai suoi?
Beh, penso di sì, però sicuramente Giuseppe [amico in comune di Elena e Chiara; ndr] non dice proprio tutto, cioè, non so se posso dirlo, però a volte ha preso di mira Giulio, facendolo cadere e rubandogli la cover del telefonino, e non credo che dica com’è realmente a scuola alla sua famiglia, perché sua mamma gli fa sempre dei regali e si vanta di come sia bravo.

In conclusione, sembrerebbe che Elena attesti una mancanza di un “adulto referente” all’interno del nucleo familiare di Giuseppe, ossia quella figura che sappia guidare e ascoltare il bambino, quell’adulto con cui il bambino può valutare quali siano gli elementi sociali nocivi e quali no per una corretta educazione al rispetto.

Nel prossimo articolo ci si concentrerà sui reali bisogni dei bambini e su come avvenga l’interazione all’interno di un nucleo familiare di tipo “tradizionale” e, infine, quali stereotipi si annidano al suo interno verso le nuove forme familiari.

 

Vincenzo
©2016 Il Grande Colibrì

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