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Il governo di Donald Trump rischia di avere gravi conseguenze sulla lotta all’HIV: da una parte, lo smantellamento dell’Obamacare, il sistema di protezione sociale voluto dall’ex presidente Barack Obama, non potrà non avere effetti negativi, considerando che prima della riforma il 24% delle persone HIV-positive non aveva nessuna copertura assicurativa sanitaria.

Dall’altra parte, lo sdoganamento di posizioni omofobe e razziste rischia di pesare molto, se teniamo conto che, secondo le stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie) sugli uomini che fanno sesso con altri uomini, a metà dei neri e a un quarto dei latino-americani verrà diagnosticata l’infezione da HIV nel corso della vita [Advocate].

Se aggiungiamo il fascino che il regime di Vladimir Putin sembra avere sull’amministrazione Trump, il quadro diventa ancora più cupo. Da inizio anno, in Russia le persone HIV-positive sono inserite in un registro, come ha annunciato il ministero della salute [TASS], idea che mette i brividi in un paese fortemente discriminatorio. E che dimostra anche la capacità di Mosca di fare proseliti: Ralph Weber, parlamentare del partito populista di destra Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania; AfD), ha già proposto di creare una specie di lista nera nazionale delle persone HIV-positive, anche per frenare il loro “comportamento irresponsabile” [Nordkurier].

Ma quale comportamento è più irresponsabile di quello di politici che fingono di voler combattere le malattie sessualmente trasmissibili (MST) e in realtà portano avanti politiche repressive e molto spesso chiaramente omofobe, nonostante sia ormai chiarissimo come queste politiche contribuiscano alla diffusione di queste malattie?

Facciamo un salto in Africa, per chiarirci le idee. In Tanzania la legge, eredità dei colonizzatori tedeschi prima e britannici poi, continuava a condannare i rapporti omosessuali con il carcere fino a 30 anni, eppure lo stato africano era relativamente tollerante: le norme anti-gay non erano applicate e l’omofobia non sembrava particolarmente violenta. Il numero di nuove infezioni da HIV, dalla fine degli anni ’90 al 2014, si era ridotto a un terzo.

Le cose sono cambiate con l’arrivo al potere del socialdemocratico John Magufuli: l’attuale presidente, eletto nel 2015, ha fatto della lotta ai gay uno dei suoi cavalli di battaglia. E questo pesa sulle politiche sull’HIV tanto negativamente che l’ambasciata degli Stati Uniti prevede su Facebook una “espansione dell’epidemia”.

Nell’estate dell’anno scorso il governo ha sospeso i programmi di prevenzione rivolti ai gay e finanziati dagli USA, accusandoli di promuovere l’omosessualità. Quest’anno, a febbraio, la polizia ha chiuso 40 cliniche private [ITV], guadagnandosi così gli elogi pubblici del ministro della sanità, Hamisi Kigwangalla, su Twitter: “La guerra contro la promozione e la normalizzazione dell’omosessualità in Tanzania è reale”.

Ora molti omosessuali e transgender, ma anche altre persone che temono di essere identificate con loro, per paura dei controlli di polizia nelle strutture sanitarie non fanno più il test per l’HIV e per le altre malattie sessualmente trasmissibili ed evitano di andare a comprare preservativi e lubrificanti. E chi è già malato non sa più come e dove andare a recuperare i medicinali [National Public Radio].

Il rischio è di fare la fine dell’Uganda, dove le nuove infezioni da HIV, in costante calo negli anni ’90, oggi sono il doppio rispetto all’inizio del millennio per colpa di politiche moralistiche (programmi basati su astinenza e fedeltà, piuttosto che sul preservativo) e omofobe. La persecuzione giudiziaria, lo stigma sociale e la discriminazione promossa dalle istituzioni religiose hanno reso sempre più difficile per le persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) ricorrere ai servizi di prevenzione e cura.

Gli ultimi dati mostrano chiaramente le conseguenze di queste scelte: nella capitale Kampala è HIV-positivo il 13% degli uomini che fanno sesso con altri uomini, contro il 4,1% di chi ha solo rapporti con donne [76 Crimes]. E nel resto del paese, dove le malattie sessualmente trasmissibili sono molto più diffuse, la situazione è sicuramente peggiore.

E allora, si vuole davvero sconfiggere l’HIV? Bisogna puntare non sulla criminalizzazione delle persone malate o sulla persecuzione delle minoranze sessuali, ma su politiche sanitarie inclusive, sull’educazione sessuale, su una cultura sociale di rispetto e di stima per tutte le persone. Perché alcune malattie sono trasmissibili attraverso i rapporti sessuali, ma ancora di più attraverso le esclusioni sociali.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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