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Il Pride di Tel Aviv è stato un successo per la grande partecipazione di israeliani e di turisti, ma ha anche messo in luce i limiti di una legislazione dettata dall’ortodossia ebraica che continua a impedire i matrimoni e il diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso [USA Today]. Da una parte il presidente Reuven Rivlin, che ben 22 anni fa ha contribuito ad avviare il percorso di normalizzazione delle persone gay e lesbiche nel paese, ha ricevuto una delegazione di giovani LGBT, congratulandosi per il loro entusiasmo e felicitandosi che quest’appuntamento coincidesse con il primo anniversario della sua elezione a presidente [The Jerusalem Post], dall’altra il comitato ministeriale delle leggi ha rigettato lunedì la proposta del deputato di opposizione Ofer Sela che mirava a vietare qualsiasi discriminazione oltre che per sesso, età e paese di origine, anche per orientamento sessuale [The Jerusalem Post].

Una norma in tal senso è stata immediatamente ripresentata con firme di rappresentanti della nuova coalizione di governo [Haaretz]. La proposta ora ha più chance di diventare legge, ma le speranze non sono comunque molte: sul progetto anti-discriminazione continua a pendere la spada di Damocle del comitato ministeriale che potrebbe bocciarlo di nuovo, come ha fatto quasi all’unanimità in questa circostanza.

Certo, Israele può con facilità sostenere di essere comunque il paese più accogliente per le persone LGBT in tutto il Medio Oriente. Lo ha fatto anche con un cartone animato realizzato dal Ministero degli esteri sulla “reale situazione a Gaza” in cui un giornalista un po’ disattento (probabilmente straniero) non vede la violenza e la sopraffazione, anche nei confronti delle persone omosessuali, che regnerebbero nel territorio governato da Hamas. Il video ha suscitato una ferma protesta dell’Associazione stampa estera che opera in Israele [FPA].

Ma la società sta davvero progredendo, come dimostra la proposta di un referendum per introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso, proposto dal sindaco di Tel Aviv in occasione del lancio delle iniziative per il Pride [The Jerusalem Post]. E come dimostra anche la storia di Dadu, drag queen di famiglia arabo-israeliana che ha trovato accoglienza a Tel Aviv, dove convive con alcuni ragazzi ebrei, dopo essere stato rinnegato dalla famiglia (anche con episodi di efferata violenza) a causa della propria omosessualità dichiarata [Channel News Asia].

Una conclusione felice ad una persecuzione familiare che, purtroppo, rischia di non avere John Calvin: con un percorso non molto diverso da quello di Dadu, è finito in Canada con una borsa di studio universitaria, ma ora rischia di essere rimpatriato in Palestina, dove potrebbe attenderlo una discriminazione feroce e violenta, perché lui – oltre alla rivelazione del proprio orientamento sessuale – ha anche deciso di convertirsi al cristianesimo [Times of Israel]. Per la sua causa è in corso una raccolta di firme, tramite petizione via web, con lo scopo di spingere il Canada a rivedere il provvedimento di espulsione [Change].

Ma in realtà nemmeno la comunità musulmana è staticamente irrigidita su posizioni omofobiche: lo dimostra la miriade di commenti critici, molti dei quali non anonimi, ad un intervento sul matrimonio del premier lussemburghese Xavier Bettel, scritto da Kamal Khatib, vice capo del Movimento islamico in Israele e intitolato “Mi fai schifo”. I commenti di privati cittadini e di rappresentanti dei partiti e della società civile mostrano che esiste un islam ben diverso da quello dipinto quotidianamente dalla propaganda, non solo in Israele [Times of Israel]. E, anche se l’impresa di sostenere il lavoro dei musulmani progressisti è titanica, è di quelle che vale la pena di tentare.

 

Michele
©2015 Il Grande Colibrì

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