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Mia nonna diceva a mia cugina che guardare fuori dalla finestra non è una cosa che le ragazze devono fare, che è meglio evitare. A 10 anni, in quel Marocco, pensavo che fuori dalla finestra ci fosse qualche scena imbarazzante, qualche immagine non adatta a mia cugina. Come quando nei film mio padre o mia madre cambiavano canale quando si preannunciava la scena di un bacio o di sesso.

Mi affacciavo dalla finestra e vedevo solo il vento che portava via la polvere e qualche bambino giocare per strada. Mi arrabbiavo e discutevo fra me e me: “Non avrò fatto in tempo a vederlo? Di che cosa si trattava? Magari ripasserà fra qualche momento? Sì, aspetterò ancora un pò, passerà di nuovo, qualsiasi cosa sia… Passerà ancora!”.

Inutile! Oltre a qualche mendicante o qualche anziana signora, non c’era proprio nulla di strano. Quando mia nonna scendeva al piano inferiore della casa, prendevo mia cugina e salivamo su. Con un balzo ci trovavamo sul letto dei miei genitori e ci arrampicavamo fino a raggiungere la finestra. Ci reggevamo grazie a delle sbarre floreali e schiacciavamo i nostri musi fra un ferro e l’altro. Speravo che mia cugina, di sua spontanea volontà, mi raccontasse il segreto di quella strada, che condivideva solo con mia nonna. Temevo di chiederglielo.

Mia cugina non mi disse mai nulla, perché non c’era proprio nulla da dire o da vedere. La sconcezza era dentro mia nonna. (Sto facendo un bruttissimo servizio a mia nonna, che non è stata assolutamente una nonna crudele, anzi. Mia nonna è una donna di un metro e ottanta di dolcezza e bontà infinita).

Ma ritorniamo a noi e cambiamo anche paese. Dal Marocco ci trasportiamo in Italia. Per anni i miei occhi si sono posati verso una finestra illuminata, fatta di immagini e suoni. I miei occhi guardavano una finestra che riproduceva il mondo, la televisione. Con occhi sognanti e attenti guardavo le immagini dei Pride passare nei telegiornali serali, quando tutto ormai era concluso. Una folla oceanica colorata invadeva le strade di Roma. Ricordo l’emozione e l’invidia.

Da quella finestra volevo scendere e buttarmi in quell’ondeggiante folla e in ciò che rappresentava.

Ho temuto, per diversi anni, che il mio volto potesse essere colto da qualche telecamera e trasmesso in televisione. Mia nonna, che poteva guardare fuori da quella finestra, così come i miei genitori, avrebbero visto me, festoso e colorato marciare per quelle strade. Non c’è sconcezza nell’essere se stessi, non c’è illegalità nell’orgoglio. Ma che dire a loro? Da qualche anno a questa parte, le date dei Pride coincidono con il ramadan. Ciò ha sempre reso complicata la partenza per il Pride di Roma o di Bologna. Troppe domande e poche spiegazioni da dare.

Domani, o meglio oggi, visto che state leggendo le parole di ieri notte, scritte da una delle sale studio di palazzo Paleotti di Bologna, parteciperò al mio primo Pride. La città è di facile intuizione: Bologna!

Ecco, a questo Pride non ci sarà mia nonna, non ci saranno i miei genitori e non ci sarà nemmeno mia cugina, ma ci sarò io e il mio primissimo orgoglio reso manifesto dal mio corpo. Per questa volta, io sarò sia la strada che la finestra, ma anche mia cugina.

E a te, che sei a quella finestra e da quell’altezza guardi me, voglio dirti che devi imparare a mostrare il tuo orgoglio, proprio come hai imparato a camminare. Le finestre non rimarranno chiuse per sempre. Manca l’aria, soprattutto d’estate.

Felice Pride a tutti, ma soprattutto a chi, come me, è sceso da quella finestra.

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Anes
©2017 Il Grande Colibrì

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