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Gli attivisti esultano: la Corte europea dei diritti umani (hudoc.echr.coe.int) ha stabilito che una persona che decide di affrontare la rettificazione chirurgica del sesso non può essere sottoposta a sterilizzazione forzata, che ne viola arbitrariamente l’integrità fisica. All’origine del pronunciamento, la controversia tra un cittadino transessuale FtM (dal femminile al maschile) e la Turchia, che invece – come molte altre nazioni – prevede esplicitamente di impedire alle persone che modificano le proprie caratteristiche sessuali la possibilità di procreare. E ad esultare non sono solo i turchi: la sentenza è importante per tutti gli stati che aderiscono alla Corte e tra questi anche l’Italia, impedendo – come ha osservato Maria Grazia Sangalli di Rete Lenford – allo Stato “di pretendere da una persona transessuale che non lo voglia, di sottoporsi a intervento chirurgico che comporti la sterilizzazione” (ogginotizie.it).

La sentenza ha immediatamente preceduto una presa di posizione anche da parte del Parlamento europeo, che ha chiesto espressamente “la messa al bando della sterilizzazione quale requisito giuridico del genere“, affermando tra l’altro che tali requisiti “dovrebbero essere trattati e perseguiti come una violazione del diritto all’integrità fisica, nonché della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti” (europarl.europa.eu).

Ma la sterilizzazione forzata non è un residuo arcaico di qualche giudice italiano o della sola Turchia, che non è notoriamente la patria dei diritti: ad avere ancora norme che la prevedono per le persone transgender ci sono ben 19 stati europei, tra cui l’Italia, il Belgio, la Francia e persino la Norvegia. A prevedere esplicitamente la possibilità di non “neutralizzare” la propria possibilità procreativa sono solo la Danimarca e, dalla scorsa settimana, Malta (trust.org).

Alla luce di questa situazione, si capisce come la sentenza della Corte europea e la raccomandazione dell’Europarlamento siano da considerarsi storiche e quasi rivoluzionarie, anche se non sono le sole buone notizie delle ultime settimane. Altri eventi “minori” si sono infatti verificati di recente e molti di loro rappresentano novità positive per le persone transgender.

In Svezia, uno dei paesi dove si è iniziato a discutere della questione delle sterilizzazioni forzate prima che in altri (ilgrandecolibri.com), l’Accademia nazionale delle parole (una sorta di Accademia della crusca svedese) ha incluso, dopo procedure che sono durate oltre un anno, il pronome “hen” nel proprio elenco (svd.se), riconoscendo la necessità di una forma che accettasse nella lingua, oltre che nella cultura, un sesso che non è né maschile né femminile.

Negli Stati Uniti, intanto, è stata installata la prima toilette di genere neutro – o, meglio, inclusiva – alla Casa Bianca. Il luogo non poteva essere simbolico per quello che è solo l’ultimo di una serie di atti con cui il presidente Barack Obama vuole distinguere come LGBT-friendly la sua presidenza (news.sky.com).

Un’altra, decisamente più importante, buona nuova arriva dal Brasile, dove cento donne transgender che da bambine avevano abbandonato la scuola per colpa del bullismo, hanno ricevuto aiuti economici dalle istituzioni per tornare a studiare e – malgrado le traversie che hanno portato molte di loro a un contatto più o meno profondo con il mondo della prostituzione o della delinquenza – hanno ora la possibilità di riprendere un’esistenza tranquilla e libera (diarionorte.com).

Un’altra storia che merita di essere raccontata è quella di Audrey Mbugua, nata maschio in Kenya e arrivata assai vicina a togliersi la vita per il bullismo che l’ha circondata quando all’università ha cominciato a vestirsi in abiti femminili e che, dopo battaglie legali per ottenere il cambiamento del suo sesso nei documenti scolastici, è diventata una celebrità e un simbolo di come anche in Africa, dove l’intolleranza raggiunge spesso picchi di violenza incredibili, si possano combattere battaglie per i diritti delle persone transgender (trust.org).

E la stessa cosa è possibile in Cina, dove Liu Ting, come Audrey, ha dovuto lottare prima di tutto con l’intolleranza familiare e dei conoscenti, ottenendo però quel rispetto che la sua omologa keniota non è riuscita ad avere: dopo un lungo percorso, sono arrivati i primi permessi ufficiali e, alla fine, anche una qualche forma di accettazione da parte della famiglia. Non proprio un idillio, ma certo un barlume di speranza (asiaone.com).

A ricordarci quanta strada c’è ancora da fare ci sono ancora però tante esperienze totalmente negative, come quella accaduta ad un gruppo di persone trans aggredite per strada a Swabi, in Pakistan, lunedì: due sono state uccise mentre una terza è stata prelevata con la forza e sottoposta ad uno stupro di gruppo (nation.com.pk). E benché, a quanto sembra, il delitto non abbia origine nel mondo dell’omotransfobia, è emblematico di come le persone transessuali abbiano bisogno di più riconoscimento, più dignità e più attenzione da parte della legge. Ovunque.

 

Michele
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4 Comments

  • A ha detto:

    Scusate la mia ignoranza, ma con capisco come faccia una persona che si sottopone a "rettificazione chirurgica del sesso" a non subire conseguentemente anche una implicita sterilizzazione attraverso l'asportazione dei testicoli o la chiusura delle tube?

    • Michele Benini ha detto:

      Non sono un chirurgo, ma non mi pare affatto che la rettificazione del sesso preveda asportazioni o chiusure di tube in automatico. Dipende dalla volontà della persona che decide di affrontare l'operazione… E solo da lei dovrebbe dipendere.

    • Francesco Salgari ha detto:

      La faccio breve e il più semplice possibile: il percorso di transizione per il "cambio di sesso" prevede innanzi tutto procedimenti che cambiano i caratteri sessuali secondari (barba, seno, etc…), che sono quelli che permettono alla persona il riconoscimento sociale che desidera. I cambiamenti che portano le modifiche ai caratteri sessuali primari (ossia l'apparato riproduttivo) spesso (anche se non sempre ovviamente) sono fatti per costrizione solo per poter cambiare i documenti. Questo perchè sono operazioni complesse e, in parte, anche pericolose, che possono portare anche complicanze gravi. Molte persone transessuali eviterebbero volentieri queste operazioni perchè, come detto prima, cercano principalmente un riconoscimento sociale (che non è dato da ciò che c'è sotto pantaloni e gonne, che riguarda solo la sfera personale e "di coppia"). Spero di essere riuscito a spiegarmi bene…

    • Lorenzo T ha detto:

      Oltre a quanto già detto c'è da aggiungere che una persona trans potrebbe voler essere genitore in futuro. Dunque è fondamentale mantenere i genitali. Spesso accade(va) che molti/e giovani trans si lasciassero operare (sterilizzare) senza che qualcuno li/le facesse riflettere seriamente sulla possibilità di voler procreare. Cosa che magari a 20 anni neanche si tiene in debita considerazione, oppure la si esclude a priori perché culturalmente permane l'idea che l'essere transessuali e l'essere genitori si escludano a vicenda. Oltre a ciò, c'è da dire che anche le terapie ormonali (specialmente quella con testosterone) a lungo termine portano alla sterilità. Quindi non c'è da stupirsi se qualcuno rifiutasse anche quelle

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