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Il secondo turno delle elezioni francesi ha lasciato l’amaro in bocca al Fronte nazionale (FN): al ballottaggio il partito di estrema destra, guidato da Marine Le Pen, non è riuscito a conquistare neppure una regione. Parlare di una sconfitta politica, però, è vero solo in parte: l’FN ha ottenuto una valanga di consensi nel primo turno e soprattutto le sue idee sono state adottate dalla destra cosiddetta “moderata” dei Repubblicani di Sarkozy e, in parte, anche dal Partito Socialista (PS). Negli ultimi anni Le Pen e il suo partito hanno costantemente indirizzato il dibattito politico, iniziando un’opera di revisione degli elementi fondamentali dell’identità francese: nel mirino è finito anche il concetto di laicità, difeso a tamburo battente dal Fronte Nazionale, ma solo dopo essere stato reinterpretato in una lettura che lo ha distorto a uso e consumo di finalità assai lontane da quelle che aveva in origine.

LAICITÀ PER LA CROCE

Così, secondo Bertrand Dutheil de La Rochère, consigliere per la laicità di Le Pen, il cattolicesimo non è religione di stato, ma le istituzioni pubbliche dovrebbero comportarsi come se lo fosse perché “la nazione francese è impregnata di cattolicesimo nei suoi paesaggi come in tutte le fibre della sua cultura: anche se c’è la libertà di professare qualsiasi culto, nessuno deve dare l’impressione di sostituirsi alle realtà nazionali di più lunga durata” [Front National de l’Aveyron]. Marion Maréchal Le Pen, nipote della leader e astro nascente del partito, si definisce paladina della laicità, ma proclama la Francia “terra culturalmente cristiana” in cui lo stato deve riconoscere al cattolicesimo un rango superiore all’islam e maggiore visibilità pubblica in nome di “tradizioni popolari che hanno connotazioni spirituali” [LCI].

L’FN si mobilita per chiudere le moschee, ma anche per tenere aperte le chiese; tuona contro le donne che indossano il velo in treno, ma anche contro chi non vuole i presepi in municipio; punta il dito contro i musulmani perché sarebbero sessisti, ma anche contro chi promuove l’uso di contraccettivi perché banalizzerebbe l’aborto e deresponsabilizzerebbe le donne; sventola la bandiera della guerra ai pregiudizi religiosi islamici, ma anche quella dei pregiudizi contro le famiglie omosessuali; lancia campagne animaliste per salvare i capretti che verrebbero sacrificati nella festa islamica di Id al-adha, ma poi per difendere la laicità organizza davanti alle moschee “feste repubblicane” a base di carne di maiale. E sono solo alcuni dei paradossi della rilettura xenofoba ed islamofoba della laicità.

L’estrema destra, seguita a ruota dalla destra cosiddetta “moderata”, si è impossessata del concetto di laicità per trasformarlo paradossalmente in uno strumento per difendere una cristianità ridotta a mero fenomeno culturale, se non addirittura a semplice folklore (le “tradizioni popolari”), e per attaccare le minoranze in nome delle “radici cristiane della Francia”. “Parlare di laicità diventa un modo per rivendicare una Francia bianca e cristiana, dove tutti condividono la stessa cultura e gli stessi costumi – sintetizza il sociologo François Dubet – E’ un modo per dire che non vogliamo i musulmani” [Le Monde].

LAICITÀ PER FORZA

In Francia alcuni sindaci di destra hanno cancellato dai menù delle scuole la possibilità di scegliere piatti alternativi alla carne suina “per evitare discriminazioni” (magari suggerendo per carità “cristiana” alle mense scolastiche di dare un po’ più di contorno ai bambini musulmani, ma anche ebrei, che dovessero rifiutare salsicce e cotolette di maiale). Atteggiamento tipico dell’FN. Ma l’estrema destra non c’entra nulla, ad esempio, con lo scandalo recentemente scoppiato a Charleville-Mézières: una ragazzina di 15 anni non è potuta entrare a scuola perché la gonna non abbastanza corta è stata giudicata “un segno religioso ostentatorio” [Le Monde]. I sociologi non hanno dubbi: queste decisioni servono solo a spingere i ragazzi alla radicalizzazione. Ma non è l’unico problema.

Se nelle mani di Le Pen la laicità diventa uno strumento per opporre il cristianesimo all’islam, per un’altra minoranza chiassosa si trasforma in uno strumento per opporre lo stato alle religioni. Anche in questa lettura, guidata dal sogno fideistico di un prossimo trionfo dell’ateismo, il dialogo è impossibile, nel nome del dogma per cui un individuo religioso non può essere un cittadino laico: ogni manifestazione di fede provoca repulsione, mentre la sfera privata che dovrebbe caratterizzare la religione in un regime laico si restringe fino a diventare una dimensione da nascondere e mantenere invisibile.

Il risultato è sempre lo stesso: per paura dell’intolleranza religiosa si risponde con nuove forme di intolleranza e la laicità, invece di proteggere i cittadini dalle imposizioni religiose nella sfera pubblica, finisce per schiacciarli con imposizioni politiche nella sfera privata, dettando regole morali senza basi razionali sul regime alimentare dei bambini o sulla lunghezza delle gonne delle ragazze. Questa “laicità che vieta le manifestazioni religiose invece di rispettarle, che conduce a logiche di esclusione invece di favorire la convivenza”, come la definisce il sociologo Pierre Merle, tradisce se stessa: da strumento per superare attraverso il confronto razionale le differenze etiche e valoriali, si riduce a strumento per imporre modelli identitari identificati aprioristicamente come buoni e giusti.

LAICITÀ PER POCHI

Intanto a sinistra molti denunciano il pensiero colonialista che ancora non è stato superato: l’Occidente impone i propri valori ed i propri modelli per descrivere il mondo, senza tenere conto delle differenze che esistono tra storie, culture, società. Tutto vero, ma esasperato fino a conseguenze estreme non necessarie: ogni popolo avrebbe proprie caratteristiche specifiche che si esprimono in diversi regimi e noi non possiamo condannare questi regimi perché sarebbe un’imposizione. Questo porta persino a difendere regimi teocratici e dittatoriali, che violano i diritti dei loro cittadini, in nome di una paradossale “libertà di non essere liberi”. E ognuno faccia il suo cammino, perché sarebbe scortese e arrogante prendere la parola per qualcun altro senza condividerne le esperienze e la cultura.

E così, per evitare di assumersi qualche responsabilità e di sporcarsi le mani nel resto del pianeta, si lascia il campo libero alle mani sporchissime ed irresponsabilissime dei ben finanziati ideologi integralisti e dei ricchissimi mercanti di armi. E si chiudono le orecchie di fronte alle richieste di aiuto dei laici dei paesi del mondo che non hanno avuto la fortuna – si pensa, ma non si dice – di avere la sacrosanta laicità nel proprio DNA culturale e di non raggiungere le vette etiche del tanto esecrato Occidente. Questo tipo di ragionamento anticolonialista non suona vagamente… colonialista?

L’intellettuale libanese Dalal Al-Bizri scrive: “Guardando quanto gli intellettuali europei sono in sintonia (probabilmente senza volerlo) con l’emergere delle idee dell’estrema destra, bisogna constatare come il pensiero europeo vada in senso contrario a una maturazione dell’illuminismo, come se le idee dell’illuminismo non si siano potute diffondere se non attraverso guerre coloniali. Guerre che oggi servono come pretesto per invocare la ‘libertà dei popoli a pensare ciascuno per sé’. Gli intellettuali ne parlano a ruota libera, come se volessero dire a noi che abitiamo in Medio Oriente e che non siano islamo-jihadisti: ‘Sbrigatevela da soli!’. Una notizia terribile per noi che siamo sprofondati in una lunga notte senza luce” [Al-Modon].

LAICITÀ PER CONVIVERE

Tutte e tre le riletture, partendo da presupposti distanti e con finalità antitetiche, finiscono per ottenere lo stesso risultato: spingono i popoli e le diverse comunità a chiudersi su se stesse, nella convinzione di essere divise da barriere impenetrabili di incomunicabilità. La morte dell’universalismo deturpa e uccide la laicità.La laicità non è la bacchetta magica per realizzare il mondo perfetto che vogliamo, anzi nasce proprio dalla constatazione amara che in una comunità un mondo perfetto non può essere neppure definito. Per questo la laicità non è un venerabile fine, non è la promessa di un mondo in cui tutti vivano felici e contenti, ma più modestamente – e molto più utilmente – è un semplice metodo per costruire insieme, attraverso procedimenti razionali, le regole per convivere nello stesso spazio pubblico pur avendo e mantenendo orizzonti ideali diversi o persino opposti. E’ un modello in cui lo stato, grazie a un atteggiamento davvero neutrale, permette che tutte le scelte individuali siano libere nel rispetto delle scelte altrui.

Per funzionare ha bisogno che le persone si concedano fiducia anche quando partono da punti distanti, che desiderino cooperare cercando quello che le unisce e accettando quello che le divide, che tutti credano nella possibilità del dialogo e del ragionamento, che nessuno strumentalizzi le religioni in un senso o nell’altro. E che la laicità non sia tradita trasformandola in un’arma santa per dividere i buoni ed i cattivi.

 

Pier
©2015 Il Grande Colibrì

One Comment

  • Vlad ha detto:

    la laicità è ancora la strada maestra, la destra se ne appropria se la sinistra la abbandona e ammira papa francesco

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