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Dall’inizio degli anni ’80 l’AIDS e la positività al test HIV hanno rappresentato un incubo per generazioni di uomini e donne, condizionati a forza (o in qualche caso incuranti per ignoranza o per scelta) nelle proprie abitudini sessuali. Già oggi le cure per coloro che hanno contratto la malattia sono tali da mantenere in vita a lungo, e normalmente in buone condizioni, i colpiti dal virus, ma secondo i ricercatori americani è oggi finalmente ipotizzabile vedere una luce in fondo al tunnel ed ipotizzare una generazione libera dall’AIDS.

Penso che siamo ad un punto di svolta – spiega Anthony Fauci, capo dell’Istituto nazionale per le malattie infettive – ma non voglio fare promesse eccessive“, anche perché i numeri sono al momento impietosi: 34 milioni di sieropositivi nel mondo, tra cui 1,2 milioni nei soli Stati Uniti, mostrano che, se anche l’obiettivo è ipotizzabile, la strada da percorrere è ancora lunga.

Per realizzare questo straordinario risultato sono ipotizzati diversi percorsi, tutti ad alzare il livello di guardia nei confronti del virus: dall’immediato trattamento di pazienti neo-contagiati, senza attendere di verificare se siano solo sieropositivi oppure in AIDS conclamato, a misure di controllo e prevenzione maggiori nel caso di viaggi in Paesi a rischio, che comunque – in molti casi – stanno finalmente iniziando a combattere la diffusione della malattia (Huffington Post).  Di certo una mano potrebbe arrivare dall’annunciata approvazione del test casalingo per l’HIV, che dovrebbe aiutare a prevenire contagi e trasmissioni ai figli del virus (ABC News).

E all’obiettivo potrebbe concorrere anche, forse, l’obbligo di indossare il preservativo nei film porno prodotti a Los Angeles, come richiesto dai promotori di una raccolta firme conclusasi a gennaio (Il grande colibrì): misura educativa che spaventa le major del settore, e che forse avrà solo il risultato di spostare altrove la produzione. Ma perché la norma diventi legge occorrerà che si pronunci la popolazione in un referendum che si voterà il prossimo 6 novembre, come annunciato nei giorni scorsi (Los Angeles Times).

Ma se pensare di agire sulla diffusione del virus negli Stati Uniti appare (relativamente) semplice, non è certo così in alcuni paesi dove le leggi in vigore mettono in serio rischio l’azione di cura e prevenzione: è il caso del Kenya, dove il tasso di diffusione della malattia tra gli omosessuali è tre volte superiore a quello degli eterosessuali, ma dove l’impossibilità di dichiararsi gay (essendo l’omosessualità punita col carcere per legge) rende difficile arginare il contagio (NPR). Eppure, secondo il medico ricercatore camerunense Steave Nemandé, intervistato dalla rivista francofona dedicata alla lotta all’AIDS Transcriptases, la sola possibilità di vincere la lotta alla diffusione del virus in Africa passa attraverso la scommessa della depenalizzazione dei rapporti omosessuali. Cosa che non è esattamente ipotizzabile per un tempo ravvicinato, purtroppo.

In Italia, nel frattempo, è emersa invece una scandalosa e illegale pratica nei test di selezione dell’esercito, e dell’Arma dei Carabinieri in particolare, dove – sia che si voglia indossare la divisa per prevenire il crimine, sia che si voglia suonare nella banda o partecipare a competizioni sportive – è richiesta la negatività al test HIV. La vicenda, emersa nei giorni scorsi, è stata stigmatizzata dalla Lega italiana per la lotta contro l’AIDS in un comunicato in cui si chiede di cancellare questa inaccettabile prassi di discriminazione.

 

Michele
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MOI. Il governo della Malesia ribadisce (iGC): educhiamo i bambini contro l’omosessualità.
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