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I Paesi Bassi hanno presentato al Consiglio dell’Unione Europea una bozza di accordo per difendere i diritti delle persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali). Il testo della proposta non era particolarmente radicale: si chiedeva alla Commissione europea di combattere le discriminazioni omotransfobiche, di promuovere l’uguaglianza e di raccogliere dati sulla condizione LGBT nei diversi paesi, ma al tempo stesso si esprimeva “pieno rispetto delle identità nazionali e delle tradizioni costituzionali degli Stati membri tanto quanto della competenza degli Stati membri nel diritto di famiglia“. Il governo olandese è riuscito a convincere anche gli stati che storcevano il naso (Polonia, Lettonia e Lituania), ma alla fine è arrivato il veto del governo ungherese, guidato dal partito nazionalista di destra Fidesz dell’autoritario Viktor Orbán [pinknews.co.uk].

EUROPA 2016: C’E’ ANCORA OMOFOBIA

Fidesz è nota non solo per le prese di posizione contrarie ai diritti fondamentali delle minoranze (a partire da rom e migranti), ma anche per il suo maschilismo. Per esempio, durante un congresso di partito, László Kövér, presidente del parlamento, si è scagliato contro le femministe, affermando: “Vorremmo che le nostre figlie considerassero come loro massima realizzazione il fatto di darci dei nipotini” [hungarianspectrum.org]. E quando Magyar Telekom, azienda di telecomunicazioni ungherese, ha cessato di sponsorizzare il cantante Ákos Kovács (reo di aver dichiarato: “Non è compito delle donne guadagnare quanto gli uomini: loro appartengono a qualcuno a cui devono dare una discendenza“), il governo ha accusato l’ex sponsor di discriminare il cantante [hvg.hu].

Il problema, però, non si limita all’Ungheria. Come nota Catherine Bearder, eurodeputata del Regno Unito, “negli ultimi anni l’UE ha giocato un ruolo vitale per l’avanzata dei diritti LGBTI nel continente. Tra le altre cose, ha reso illegale rifiutare di assumere qualcuno in base al suo orientamento sessuale. Ma la realtà è che in alcuni paesi europei le persone LGBTI affrontano ancora ogni giorno persecuzioni e discriminazioni“. E non si può fare finta di non vedere come le crociate contro le minoranze sessuali partano soprattutto dagli stati dell’Europa orientale, che per la maggior parte non riconoscono e anzi spesso ostacolano i diritti di omosessuali e transessuali.

L’UNIONE EUROPEA TRAMONTA A EST?

Le mappe che rappresentano il riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQI in Europa tendono a essere bicolori: con poche eccezioni, a occidente brillano le tinte dell’uguaglianza giuridica, mentre a oriente dominano i colori della discriminazione. Le cause specifiche di questa differenza non sono state oggetto di molte indagini, ma possiamo rifarci ad analisi più generali.

Secondo lo studioso tedesco Wolfgang Müller-Funk nell’Europa orientale persistono le claustrofobiche strutture culturali e mentali imposte dai regimi comunisti, che non potevano accettare forme di organizzazione della realtà diverse da quelle previste dalla dottrina ufficiale. Queste strutture oggi si manifesterebbero da un lato nel crescente nazionalismo, che si tinge spesso di razzismo, di antisemitismo e di islamofobia, dall’altro nell’ideologia della famiglia tradizionale, intesa come unico modello possibile messo in pericolo dalla semplice ipotesi di altre forme relazionali.

Un ruolo importante può averlo anche il rapporto di questi paesi con lo sterminio nazista. Come hanno notato molti storici, l’est europeo ha fatto i conti con la propria storia molto meno spesso e in modo molto meno chiaro rispetto agli stati occidentali. Secondo il sociologo polacco Jan T. Gross, i paesi dell’Europa orientale devono analizzare la propria storia e il modo in cui hanno collaborato con il nazismo, assumendosi le proprie responsabilità: questo processo culturale e politico aiuterebbe le opinioni pubbliche a capire la gravità delle discriminazioni e a denunciarle.

LO SPECCHIO DI QUELLO CHE SIAMO

E’ interessante analizzare anche il ruolo giocate dalle chiese. Perché le società dell’Europa orientale appaiono molto meno laiche di quelle occidentali, nonostante la lunga dominazione comunista? Sotto i regimi autoritari le comunità cristiane hanno rappresentato in tutto l’est europeo dei presidi di resistenza e di difesa dei diritti fondamentali delle persone (anche di quelle LGBTQI: le chiese protestanti hanno avuto un ruolo fondamentale nella depenalizzazione dell’omosessualità nella Germania dell’est, per esempio). Con il crollo del comunismo e delle sue strutture, le chiese sono diventate punti di riferimento imprescindibili, spesso però cercando di riconquistare le popolazioni con una morale che è diventata sempre più arcigna e implacabile – come in buona parte del mondo, a dirla tutta.

Perché quelli che possiamo vedere forse più nitidamente a est, con i suoi veti sui diritti delle persone LGBTQI e le sue frontiere chiuse in faccia a chi fugge dalla guerra, sono meccanismi in azione in molte parti del pianeta, compresa l’altra metà del continente: il ritorno del mito del salvatore della patria, la crisi della democrazia, l’emergere imperioso del populismo, la politica fondata sulla paura del diverso, lo sdoganamento del razzismo e dell’intolleranza, il rinchiudersi nei propri confini, il sentimento di essere sotto assedio. E così ciò che vediamo guardando a oriente si rivela per quello che davvero è: non la fotografia di una realtà estranea e lontana, ma l’immagine riflessa su uno specchio di quello che purtroppo stiamo diventando anche se facciamo fatica a riconoscerlo.

 

Pier
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