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Qualche giorno fa ho pubblicato sul mio profilo Facebook due articoli: il primo, “Facebook permetteva agli inserzionisti di raggiungere chi odia gli ebrei”, di ProPublica, spiega come il social network abbia considerato normali target pubblicitari i suoi iscritti che vogliono bruciare gli ebrei o che li considerano la rovina del mondo; nel secondo, “Le opzioni offensive di targeting pubblicitario di Facebook vanno ben oltre chi odia gli ebrei”, Slate mostra come non solo lo sfruttamento commerciale dell’antisemitismo non sia stato completamente abbandonato neppure dopo la prima denuncia, ma sia da allargare all’islamofobia, al razzismo e al neonazismo. Il karma, l’algoritmo o la loro micidiale interazione mi ha premiato con due blocchi successivi da Facebook, per un totale di tre settimane. Ma non è questo il tema di queste riflessioni.

I due articoli hanno attirato il malocchio, ma non l’attenzione delle persone – d’altra parte, si sa, l’antisemitismo è un tema che suscita noia o scetticismo: secondo la recentissima ricerca “Stereotipi e pregiudizi degli italiani”, svolta dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano con IPSOS, il 16,9% degli italiani pensa che questa forma di intolleranza sia assente in Italia, mentre la stragrande maggioranza ritiene che l’esistenza di ostilità nei confronti degli ebrei sia solo parzialmente vera (41,1%) o esagerata (36,9%).

“Falso antisemitismo”

Insomma, i commenti sono stati pochi, ma uno era particolarmente interessante: una persona a me sconosciuta, che chiamerò Umberto, ha lanciato una sparata sul “falso antisemitismo della propaganda sionista”. Contando prima fino a dieci (sembra funzionare), ho deciso di provare a interloquire civilmente per cercare una risposta alla domanda che mi tormentava: cosa cacchio c’entrava quel commento con i due articoli che avevo postato?

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Umberto stava dicendo che nessuno odia gli ebrei? No no, secondo lui esiste pure un “antisemitismo vero”. Riteneva che espressioni come “uccidere gli ebrei” o “bruciare gli ebrei” – quelle usate per il targeting di Facebook – non fossero “antisemitismo vero”? Figurarsi, era il primo a riconoscerlo! Forse (a volte non basta contare neppure fino a cento, vero?) per lui queste cose non erano da condannare? Macché, mi ha detto che sono robe gravissime, non aveva mica dubbi. Eppure di fronte a un biasimevole caso di “vero antisemitismo” l’unico commento che Umberto ha ritenuto ragionevole fare è stato quello sul “falso antisemitismo della propaganda sionista”. Perché? Perché sì, è evidente, non c’è bisogno di spiegare, mi ha scritto. Io ho insistito. Lui mi ha insultato e bloccato. Amen, così sia.

Al lupo, al lupo!

E invece no: non sia così. Le idee a cui non si riesce o non si vuole dare una motivazione devono essere indagate, scavate. C’è un tabù e va decostruito. Il discorso di Umberto – anche se scritto del tutto a sproposito e in modo semplicistico e ambiguo – riflette come uno specchio distorcente una realtà: ci sono persone e persino siti specializzati nel gridare “antisemitismo, antisemitismo!” come Pierino urlava “al lupo, al lupo!”. Amnesty International critica l’esercito di Tel Aviv? Antisemiti! La sinistra israeliana critica Benjamin Netanyahu? Antisemiti! Gli attivisti LGBTQIA di Gerusalemme criticano il governo israeliano? Antisemiti! Condividi una di queste notizie? Antisemita pure te!

Il chiasso di queste voci, che trasformano un’odiosa forma d’intolleranza in una barzelletta solo per difendere specifiche posizioni politiche di estrema destra e censurare ogni altra posizione politica, sembra sovrastare tutto. Sia chiaro: ovviamente questo non giustifica in nulla la negazione o anche la “semplice” sottovalutazione dell’odio, del disprezzo e del pregiudizio nei confronti delle persone ebree, della loro cultura, della loro religione. Ma occorre riconoscere che aiuta moltissimo chi – per volontà, calcolo, ignoranza o pigrizia – nega o sottovaluta l’antisemitismo, quel 17% che non ci crede, quegli 8 italiani su 10 che ne giudicano l’esistenza come esagerata o solo parzialmente vera.

Yair Netanyahu

Ma il discorso non si ferma neppure qui, come ci mostra bene Yair Netanyahu, il figlio del primo ministro israeliano. Il ragazzo, 26 anni, aveva già fatto parlare di sé dopo i tragici fatti di Charlottesville, in cui un suprematista bianco americano ha ucciso una militante antifascista: Yair aveva accusato gli attivisti di sinistra di essere più pericolosi dei neonazisti [The Times of Israel]. Ma più recentemente è riuscito a fare molto peggio.

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Per attaccare gli avversari politici di suo padre nel parlamento israeliano, il giovane Netanyahu non ha trovato di meglio da fare che farsi un giro nei siti contro gli ebrei, trovare un post sul “complotto giudaico” e usarlo da ispirazione per creare e postare online un fotomontaggio “escplicitamente antisemita”, per usare la definizione dell’Anti-Defamation League (Lega anti-diffamazione; ADL) [The Guardian]. Suo padre, che ha sempre mostrato grande orgoglio nei confronti di Yair, ha rifiutato di condannare questo gesto, nonostante le tante richieste. Il ragazzo non ha chiesto scusa e ha anzi beffardamente scritto che lo scandalo per la sua immagine antisemita era solo “ipocrisia di sinistra”.

Silenzi e paradossi

Ovviamente coloro che accusano di antisemitismo qualsiasi critica evidentemente non antisemita al governo israeliano di estrema destra si sono ben guardati dal dire un solo “beh” di fronte alle vignette esplicitamente antisemite di Netanyahu figlio, proprio come avevano taciuto davanti al revisionismo su Hitler di Netanyahu padre [Il Grande Colibrì]. D’altra parte ne condividono idee, mentalità e modalità – basta leggere le violente accuse di tradimento che muovono agli stessi ebrei israeliani impegnati nelle associazioni per i diritti o nei partiti di sinistra, dove spesso riprendono implicitamente ma abbastanza spudoratamente lo stereotipo antisemita dell’ebreo dissimulatore e malfido.

Insomma, per questi signori gli ebrei sono tutti da difendere, a meno che non abbiano idee politiche diverse – esattamente come per alcuni neonazisti gli ebrei sono tutti da attaccare, a meno che non condividano il loro razzismo. Ecco spiegato il paradosso del sito neonazista Daily Stormer che si è proclamato “primo sito mondiale dei fan di Yair Netanyahu”, definito da un po’ come “fratello” [The Times of Israel]. Ma questi sono gli effetti nefasti di chi, di fronte a un pregiudizio, non lo combatte, ma lo strumentalizza per alimentare altre forme di intolleranza.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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