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L’antropologa culturale Ayşe Çavdar lo aveva già annunciato poco meno di un anno fa: in Turchia le giovani generazioni borghesi sono stufe dei modi di pensare e vivere imposti dal conservatorismo al potere, e questo vale anche per chi è cresciuto nelle famiglie più religiose. La studiosa si è spinta a profetizzare un nuovo ’68 turco che imporrà nel paese mediorientale i valori laici. Dal suo punto di vista, non sarà un movimento di rivolta contro l’islam, ma di profondo rinnovamento della religione.

Triplicano gli atei

Pochi hanno fatto caso alle parole di Çavdar e oggi non le ricorda quasi nessuno, ma un recente sondaggio dell’istituto Konda ha avuto l’effetto di un terremoto sull’opinione pubblica turca: negli ultimi dieci anni la percentuale di turchi che dichiara di rispettare tutti i precetti islamici è scesa dal 55 al 51%, mentre gli atei triplicano (dall’1 al 3%) e i non credenti raddoppiano (dall’1 al 2%).

Se il direttorato per gli affari religiosi continua a sbandierare il dato del 2014 secondo cui più del 99% dei turchi sarebbe musulmano, questa percentuale non convince davvero nessuno e comunque non rappresenta, come vorrebbe far credere il potere, la quota di fedeli che condividono una visione conservatrice dell’islam. La situazione è molto più complessa e difficile da interpretare: c’è una crisi della fede o solo una crisi delle istituzioni religiose? La pratica islamica sta diventando più rara e meno profonda o semplicemente è solo meno esteriore e più spirituale? I punti di vista sono tanti e tutt’altro che concordi.

Solo su una cosa tutti gli esperti seri sembrano essere d’accordo: è tutto un effetto del governo di Recep Tayyip Erdogan e del suo Adalet ve Kalkınma Partisi (Partito della giustizia e dello sviluppo; AKP). In altre parole, il trionfo dell’islam politico si sta rivelando una sconfitta per l’islam religioso.

erdogan

Islam VS Erdogan

È questa l’opinione di Selin Ozkohe, presidente di Ateizm Dernegi, la maggiore associazione atea turca: secondo lei, l’ossessione di Erdogan per creare una generazione di musulmani devoti conservatori è paradossalmente il principale fattore che spinge ad abbandonare l’islam.

Come denunciava qualche mese fa il celebre alpinista Nasuh Mahruki, “per lasciare la gioventù turca nell’ignoranza, il sistema educativo è stato riformato 16 volte in 15 anni da 6 ministri diversi. Davanti ai nostri occhi tutte le scuole sono state trasformate in scuole religiose, l’istruzione è stata fatta a pezzi, la scienza rimossa. Hanno aperto sale di preghiera persino nelle scuole materne, senza che nessuno se ne preoccupasse. Nei dormitori scolastici, abbiamo lasciato che le confraternite religiose abusassero sessualmente dei nostri bambini per mesi in modo sistematico”. E ora quella gioventù si ribella.

Anche il teologo Cemil Kilic pensa che la chiave di lettura sia l’immoralità degli islamisti al governo: “Le persone rigettano l’interpretazione predominante dell’islam, le sette, le comunità religiose, il direttorato degli affari religiosi e chi sta al potere“. La religione è stata schiacciata dalla strumentalizzazione politica: “La regolarità nella preghiera è diventata un modo per segnalare la propria obbedienza nei confronti della leadership politica e sempre di più le prediche nelle moschee riflettono la visione del mondo di chi governa“. Una svolta laica, conclude, sarebbe positiva anche per la religione.

islamismo

Islam in crisi

Il giornalista Levent Gültekin, fedele musulmano per lungo tempo affascinato dall’islamismo, ribadisce lo stesso concetto, invocando con forza la laicità e la libertà di fare scelte morali in base alla propria personale interpretazione del messaggio religioso o anche del tutto indipendentemente da qualsiasi religione.

Ma l’intellettuale va oltre: il problema, sostiene, non è legato solo alle contingenze politiche turche (anche se “l’AKP, distruggendo la laicità, fa torto all’islam“) ma anche a una più ampia crisi dell’islam stesso, che avrebbe bisogno di un urgente rinnovamento: “È la crisi di una visione della religione senza legame con la vita reale dei credenti o con i cambiamenti culturali; di una visione della religione costituita da concetti e da interpretazioni vecchi di secoli; di una visione della religione che, invece di dare risposte alle persone, gli rende la vita più difficile“.

Credenti LGBT

La richiesta sempre più pressante di maggiore laicità e democrazia da parte di esponenti religiosi e intellettuali credenti è senz’altro positiva, ma non è scontato che porti qualche frutto: da una parte, il potere di Erdogan mostra segni di debolezza sia sul piano interno che su quello esterno, ma resta forte; dall’altra, la diffidenza delle forze laiche tradizionali potrebbe impedire qualsiasi dialogo con i “laici credenti”. Lo sanno bene le persone musulmane LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), spesso ostracizzate dalla stessa comunità arcobaleno.

Deniz, persona pansessuale non binaria (cioè che non si riconosce nel binarismo femmina-maschio e che prova attrazione verso tutti i generi), racconta: “Non appena dico di credere nell’islam, la comunità queer inizia a insultarmi a causa della mia fede: mi accusano di bigottismo o di avere un quoziente intellettivo basso“. Esperienze simili sono riportate da altre persone non eterosessuali musulmane, che lamentano di essere tra l’incudine di istituzioni islamiche omotransfobiche e il martello di una comunità LGBTQIA islamofoba. L’avvento di un dialogo aperto a favore della laicità sarebbe per loro un immenso beneficio.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì – elaborazioni da Kremlin (CC BY 4.0) e pngimg (CC BY-NC 4.0)

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